Mr. Harrigan’s Phone, la recensione
La recensione di Mr. Harrigan’s Phone, film su Netflix tratto da un racconto di Stephen King, che racconta di un uso improprio dello smartphone.
Harlow, New England, due ore di auto e una galassia lontano da Boston, boschi e piccole villette, per trovare un emporio tocca andare nella cittadina vicina. Lì vive il ragazzino Craig, precocemente ferito dalla morte della mamma, con un papà amorevole ma piegato dal lutto.
Un anziano e facoltoso residente, Mr. Harrigan, lo richiede per farsi leggere gli amati libri, troppo vecchi e stanchi i suoi occhi. Stanchi forse per leggere ma ancora lucidi e imperiosi, perché Mr. Harrigan è un famoso uomo d’affari che per misteriosi motivi ha deciso di ritirarsi a vivere in una splendida magione della zona. Visto che sotto la candida capigliatura a dardeggiare sono gli occhi di Donald Sutherland, mai scelta è stata più precisa.
Il rapporto procede per una decina d’anni, dalle elementari Craig passa al liceo, continuando le sue letture, correttamente retribuite. Intanto però l’introverso ragazzo stabilisce un rapporto con l’anziano signore, inizia un dialogo, si apre con lui più che con il padre. Dialoghi scarni ma punteggiati da affermazioni decise, perché Harrigan (come Craig scoprirà cercando su Internet quando ne avrà l’età) è stato un uomo potente anche se controverso.
La narrazione inizia nel 2003, quando poi Craig arriva al liceo e nota subito che quasi tutti posseggono uno smartphone; anzi, che sono raggruppati quasi come tribù in base alla marca del proprio cellulare. Quando finalmente il padre gli regala un iPhone, il più ambito, Craig pensa di prenderne uno anche per Harrigan, per introdurlo alle meraviglie del progresso.
L’uomo si interessa allo strumento, anche per i suoi affari ma ne vede lucidamente i limiti, le conseguenze distruttive su molti fronti, oltre al senso di estraniamento dalla realtà che si può instaurare come un’infezione che si diffonde lentamente. Eppure, se ne fa attrarre come tutti (attenzione a farsi possedere dalle cose che possediamo). Attraverso questo mezzo, si instaura fra i due un rapporto ancora più complice.
Intanto Craig cresce, matura grazie a questa frequentazione o forse anche grazie a tutti i meravigliosi classici che continua a leggere ad alta voce e che parlano di amore, di potere, di ricchezza e di morale, prova interesse sentimentale per una compagna, se la deve vedere con un bullo in ambiente scolastico, la vita insomma va avanti, fra un appuntamento e l’altro con quella che per il ragazzo è diventata una figura paterna a tutti gli effetti.
Ma una serie di eventi lo induce a sospettare che Harrigan sia qualcosa di più, diverso da quanto sembri, dotato di un potere misterioso, temibile e severo, anche se in fondo giusto. Un potere che lui potrebbe usare ma che gli provoca dilemmi insormontabili. Quando gli dèi vogliono punirci esaudiscono i nostri desideri: che decisioni prenderà Craig? E soprattutto, riuscirà a capire se ciò che avviene è reale o sono solo coincidenze che la sua sensibilità gli fa fraintendere?
Anche la scelta di Jaeden Martell per il ruolo di Craig è appropriata: lo ricordiamo nella parte dell’adolescente omertoso difeso oltre ogni ragionevole certezza dal padre nella serie tv Defending Jacob. Dirige e scrive John Lee Hancock, già noto per The Blind Side, Saving Mr. Banks, The Founder, Highwaymen, Fino all’ultimo indizio.
Mr. Harrigan’s Phone è un film malinconico, in fondo è una storia di formazione e di elaborazione del lutto che forse funzionava meglio sulla pagina scritta. Non va certo preso per un horror, anche se è tratto da un racconto di Stephen King presente nella raccolta antologica del 2020 dal nome ‘Se scorre il sangue’, e siccome fra i produttori compaiono gli “specialisti” Ryan Murphy e Jason Blum, era lecito attendersi qualcosa di più sostanzioso.
Non possiamo raccontare di più per non spoilerare ma diciamo che il film vive di questo dubbio costante, soprattutto dell’incertezza riguardo il personaggio di Harrigan (e ripetiamo, grazie alla presenza di Sutherland). Invece nel suo scorrere senza provocare sobbalzi, senza incutere spaventi, sempre nell’attesa di qualcosa di truculento o di una rivelazione epocale, lascia la risposta in sospeso fra il reale e il sovrannaturale, come è caro allo scrittore, che qui figura anche come produttore esecutivo. E che ci invita a riflettere sull’uso che faremmo di una possibilità simile, che se esercitata nel verso giusto sarebbe un dono davvero divino.