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Utilizzare le interfacce neurali per rendere più selettive le loot box? per Valve ed il Dr. Mike Ambinder un giorno sarà possibile

Vediamo di cosa si tratta.

Durante la GDC 2019 i riflettori sono stati puntati su Stadia, nuova piattaforma per il gaming in streaming ideata da Google. Tuttavia nel corso dell'evento Valve ed il Dr. Mike Ambinder hanno parlato delle interfacce neurali e di come potrebbero trovare spazio nel settore del gaming, in futuro.

Come riporta Ars Technica, Ambinder afferma che in futuro i caschetti VR/AR saranno legati a dispositivi (non invasivi) per elettroencefalogrammi al fine di permettere agli sviluppatori di creare esperienze più adattive per i giocatori. Con le tecnologie giuste si potrebbe anche pensare alle interfacce neurali, che sfrutterebbe i cosiddetti bio-feedback, ovvero battito cardiaco, la risposta galvanica della pelle, il movimento dell'occhio, le espressioni facciali, la tensione dei muscoli e la postura ed altri dati fisiologici del giocatore, al fine di "informare" il gioco stesso circa lo stato dell'utente (annoiato, divertito spaventato ed altro ancora) ed adattarsi di conseguenza.

Questo grado di connettività potrà anche essere sfruttato per far si che ogni utente riceva specifici tipi di ricompense derivanti dalle loot box, in base alle loro preferenze. Quest'ultima teoria è da prendere però con le pinze in quanto una pratica simile andrebbe sicuramente a cozzare con le norme sulla privacy e sul gioco d'azzardo. Secondo Ambinder uno dei problemi principali è riuscire a capire come raggiungere il cervello (al momento una barriera impenetrabile), una volta fatto questo però si aprirebbe una nuova frontiera per quanto riguarda lo sviluppo e la fruizione di videogiochi.

Cosa ne pensate? Come vedete un futuro del genere?