No Man's Sky NEXT e l'indefinibilità dell'opera d'arte videoludica - editoriale
Quanti No Man's Sky esistono?
La Gioconda, il Ratto di Proserpina, la Piramide di Cheope. Opere d'arte conosciute in tutto il mondo, giustamente apprezzate ed acclamate da chiunque, accomunate da una fondamentale caratteristica connaturata alla loro intrinseca natura di manufatti estetici: la sostanziale, profonda ed inalienabile immutabilità dell'oggetto fisico che li rappresenta, sia questo una tela "imbrattata" da colori ad olio, o un blocco di marmo a cui è stata data una forma specifica. Ai tempi dei DLC, degli aggiornamenti software e dei season pass non è così se si parla di videogiochi.
Piuttosto che al cinema, sarebbe più corretto e significativo paragonare i videogiochi al teatro. Non tanto perché ogni messa in scena, ogni partita, similmente ad un qualsiasi spettacolo dal vivo, è unica, irripetibile, differente dalla precedente. La similitudine riguarda,semmai, la mutabilità, l'instabilità dell'immanenza, "dell'involucro" che contiene entrambi i medium, costantemente soggetti, con crescente frequenza in tempi recenti, a pesanti aggiornamenti, upgrade, modifiche.
Il teatro contemporaneo è pieno di esempi simili, spettacoli che solo nell'incontro con il pubblico hanno raggiunto una forma (parzialmente) definitiva, frutto di un lavoro di preparazione volutamente incompleto ed incompiuto. Il Living Teather, solo per citare la compagnia teatrale più nota in questo senso, soprattutto nell'ultima fase dalla sua esistenza, quella più sperimentale ed "estrema", ha concepito diverse rappresentazioni, la più famosa delle quali è Paradise Now del 1968, solo in funzione della diretta partecipazione del pubblico, caratteristica, feature verrebbe da dire, che di fatto rendeva ogni messa in scena sì condotta e diretta verso punti di passaggio inamovibili (li si potrebbe chiamare checkpoint), ma suscettibile, per l'appunto, a continue mutazioni, variazioni, omissioni, aggiunte.
No Man's Sky, nella sua prima ed originaria versione, non era poi molto differente da Electroplankton, rhytm game a modo suo rivoluzionario, pubblicato da Nintendo nel 2005 su DS. Così come il titolo della Grande N non proponeva alcuno scopo preciso, prefigurandosi come esperienza "usa e getta" al punto da impedire all'utente di salvare le sue creazioni, destinate all'oblio una volta spenta la console, la creatura di Hello Games instradava l'aspirante esploratore in un sentiero quasi asfissiante, guidato e consolato solo da un lontano, ed effimero, obiettivo finale, posto da qualche parte all'interno di una galassia digitale per lo più disabitata, desolata, avara di punti d'interesse.
Un po' come in Endless Ocean, altro gioco Nintendo guarda caso, nella visione originaria di No Man's Sky non si facevano sconti all'utente occasionale, costretto ad accettare tutti i compromessi del caso, a trovare un senso personalissimo nel viaggio proposto, a dedurre in solitaria le tematiche affrontate nell'evanescente trama che si insinuava nel potenzialmente infinito errare dell'astronauta di cui si vestiva i panni.
Due anni e quattro maxi-aggiornamenti dopo la pubblicazione, ci ritroviamo con un'avventura profondamente diversa, restaurata, potenziata in ogni ambito a tal punto da innescare un'inevitabile quesito, di stampo prettamente filosofico ed estetico, non da poco: abbiamo ancora a che fare con lo stesso oggetto, con la stessa opera d'arte che ha esordito nel 2016 inizialmente solo su PlayStation 4 e PC?
Critici e giornalisti di tutto il mondo, senza contare gli stessi videogiocatori beninteso, sono stati fondamentalmente costretti a giudicare a più riprese il gioco, ricalibrando continuamente il loro parere e rivalutando il loro apprezzamento. Ha senso, quindi, parlare di un solo No Man's Sky?
Non è l'unica domanda che è giusto porsi. Ce n'è un'altra, se possibile, ancora più fondamentale nel tentativo di definire le fattezze di un'opera come questa. Sarebbe infatti necessario, oltre che estremamente interessante, capire quali fossero realmente le intenzioni del team di sviluppo, cosa costituisse sin da subito No Man's Sky e cosa, eventualmente, sia stato aggiunto in seguito per accontentare i fan o per perseguire successivi obiettivi che Hello Games si è posta una volta fatto esordire il gioco sul mercato.
Da semplici videogiocatori, abbiamo constatato la progressiva, graduale trasformazione di No Man's Sky da ambiziosa esperienza dalle tinte zen, solo vagamente survival, timidamente action, superficialmente in stile Minecraft, ad avventura tuttotondo sorretta da un buon numero di quest, da incarichi secondari, persino da un multiplayer che, di fatto, stravolge completamente il feeling e l'atmosfera del gioco.
Ben più che la terza persona, anch'essa comunque fautrice della messa in crisi del concept originario, avvalersi dell'aiuto di altri esploratori pescati nella rete significa stravolgere i ritmi, attenuare quel vago senso di pericolo persistente, eliminare dalla schiera dei nemici da tenere in considerazione buona parte degli ostacoli naturali e il vuoto cosmico che distanzia un pianeta dall'altro. Aumentano esponenzialmente le possibilità offerte al videogiocatore, verissimo, ma viene a cadere buona parte del fascino con cui No Man's Sky ha attratto ed ammaliato chi lo ha amato sin dal day one.
Non è un caso che multiplayer e terza persona siano opzionali. Da un lato inspessiscono l'offerta, ingolosiscono un pubblico più ampio e donano maggior libertà di scelta. Dall'altra, proprio perché facoltative, queste feature palesano la loro natura derivativa di aggiunte in corso d'opera.
Il discorso, va da sé, può naturalmente essere esteso ad una fetta sempre più grande di videogiochi, da The Division a For Honor passando per Sea of Thieves per esempio, svelando quanto e come l'industria videoludica produca, oggi più di ieri, oggetti difficilmente definibili, costantemente in movimento e in divenire.
Ciò che giochiamo oggi, non sarà affatto identico a ciò con cui ci interfacceremmo domani e questo fattore, oltre a questioni prettamente estetiche, ne attiva altre che riguardano il già difficile e complesso sistema di catalogazione e conservazione del videogioco, problematiche che, non a caso, già affronta quotidianamente l'Archivio Videoludico di Bologna, orgoglio nazionale troppo spesso dimenticato.
No Man's Sky continuerà a cambiare pelle, su questo non ci sono dubbi, diventando un prodotto sempre più mainstream e profondo, allontanandosi progressivamente da quel titolo, un po' sperimentale e un po' incompleto, che si affacciò sul mercato nel 2016. Alle domande che ci siamo posti poco sopra, non c'è risposta, perché questa questione estetica, esattamente come tutte le altre, non prevede una risposta univoca e definitiva. Quale sia la reale immanenza della produzione di Hello Games, quale sia la versione che più di altre ne rispecchia la visione originale del team, non lo sapremo mai, né una risposta precisa dei diretti interessati potrà mai concludere e chiudere definitivamente il discorso.
È tuttavia necessario porsi il problema, indagare su di esso, non fosse altro per capire, nei musei del futuro, cosa conservare di fianco "all'immutabile" Gioconda e cosa, invece, sarà possibile tralasciare.