No Time to Die - recensione
Abbiamo avuto tutto il tempo del mondo…
Un paio di riflessioni prima di parlare del nuovo film con 007, No Time to Die. È tornato, ma sarà l'ultima volta con Daniel Craig: potremo farcene piacere ancora un altro?
Quando Ian Fleming, ex ufficiale della Royal Navy arruolato poi nel Servizio Informazioni della Marina Militare, scrive il primo libro su Bond, James Bond, aka 007, siamo nel 1953, anni ancora reazionari, di conservazione feroce di vecchi valori e politicamente gli anni della Guerra fredda.
Nulla pertanto ci scandalizza, quando nel 1962 il suo protagonista approda sul grande schermo, né per i comportamenti professionali del personaggio e certo nemmeno per quanto riguarda quelli privati. E dire che intanto erano arrivati gli anni di una rivoluzione dei costumi epocale. Ma chi si sarebbe mai messo a sprecare il suo tempo polemizzando su un personaggio come 007? Nella loro follia, erano tempi più seri di quelli di oggi.
Non potevamo esimerci da queste riflessioni accingendoci alla sospiratissima visione di NoTime to Die, che finalmente approda sugli schermi dei cinema, dopo gli infiniti rimandi (dall'aprile del 2020) dovuti al Covid, virus che si è fatto molto odiare anche per motivi frivoli come questo, avendoci sottratto per mesi e mesi quella che è l'ultima interpretazione di Daniel Craig nei panni della spia che tanto abbiamo amato, bombardati intanto da irritanti rumors su chi dovrà succedergli.
Irritanti perché tendono a stravolgere un personaggio che esiste sulla carta da 72 anni, aggiornandolo a problematiche attuali dovute all'ipocrita coscienza sporca di molti ambienti, quando poi nella realtà delle vite comuni, i problemi restano intatti.
Ma siamo qui per parlare di un film, per seguire Bond in tutta la sua maschile durezza, con tutta la sua problematica capacità di concedersi ai sentimenti e il suo estremo senso del dovere, nell'avventura definitiva che porterà Daniel Craig ad avere l'onore di chiudere un cerchio lunghissimo, iniziato negli anni '60 e fatto di 25 film.
No Time to Die è una classica avventura alla James Bond, nello stile di tutti i film che lo hanno preceduto, ricca di omaggi alla lunga saga, comprese le molteplici citazioni del mitico tema di Monty Norman e di un'altra celeberrima canzone inserite da Hans Zimmer nella colonna sonora (la traccia dei titoli di testa è di Billie Eilish, scritta insieme al fratello Finneas O'Connell ed è nel mood anche lei). Anche nella scenografia di Mark Tildesley si rintracciano omaggi a quella storica di Ken Adam. E i titoli di testa sono ancora una volta di Daniel Kleinman, omaggio a quelli storici di Maurice Binder.
Così avremo luoghi di pace idilliaci da cui venire strappati dai nemici o dal lavoro, missioni che sembrano sempre suicide per salvare il mondo dal solito megalomane che, immancabilmente, ha qualche scienziato folle e deviato al suo fianco, per apparecchiare una bella fine dell'umanità. E ci sono i colleghi e gli amici di sempre e gli amori di passaggio, e inseguimenti e fughe, sparatorie ed esplosioni attraverso varie nazioni.
Si passa dall'Italia di Matera e Sapri, alla Giamaica (quella degli esordi) per poi transitare per Londra, Norvegia e Isole Faroe. C'è la mitica Aston Martin e ci sono i consueti gadget tecnologici. E non manca la Spectre, naturalmente, l'eterno avversario, quella piovra fra i cui tentacoli avventurarsi alla ricerca del grande disegno criminale che 007 ha combattuto per tutta la vita, per vendicare i tanti amori e gli amici morti, per salvare il mondo ovviamente. E non manca l'amore con la A maiuscola, quella Madeleine che gli aveva preso il cuore nel film precedente.
Non possiamo e soprattutto non vogliamo dire altro, che già le brevi sinossi ufficiali dicono troppo di un film che, rispetto ad altre volte, rinuncia ad iperboli eccessive per scegliere, nelle scene d'azione, un tono di realismo enfatizzato ma non tanto esagerato, come ormai si usa nel genere.
No Time to Die è un film di puro genere Bond fino alla quasi alla fine. E poi cambia. Cary Fukunaga, autore e regista portato al successo mondiale dalla serie tv True Detective, dirige e scrive la sceneggiatura insieme ai due veterani Neal Purvis e Robert Wade con l'aggiunta di Phoebe Waller-Bridge, ma non dubitiamo che simili narrazioni siano frutto di infinte mediazioni fra autori e produzione.
Daniel Craig si congeda dal ruolo con un'interpretazione che non è mai stata tanto "bondiana" e ci lascia pertanto in una piena crisi di istantaneo rimpianto. Perché in questo film si annodano tutti i fili che ci porteranno a tracciare il definitivo quadro di un personaggio ormai ben lontano da quello abbastanza monodimensionale che era nato sulla carta stampata, al quale Sean Connery aveva dato cinica coolness e ben pochi rovelli morali, afflitto anche lui da pene del cuore mai troppo incisive.
Un personaggio che poi è stato variegato dalle altre interpretazioni (chi ricorda George Lazenby?), tra cui spiccano il più frivolmente british Roger Moore e poi Pierce Brosnan, per noi scelta azzeccata perché più vicina a quella originale.
Nel resto del cast ritroviamo l'amata Léa Seydoux, figlia di un nemico che però ha potuto amare l'assassino di suo padre. Torna il manipolo dei suoi fedelissimi: Ralph Fiennes è di nuovo M, con il suo fidato aiutante Rory Kinnear, mentre Naomie Harris è l'insostituibile Moneypenny. Faremo pure incursione nella casa dell'ineffabile Q, che conosceremo nella veste di meticoloso casalingo single.
Ricompare brevemente Christoph Waltz, aka Stavro Blofeld, cattivo per il quale avremmo preferito un altro interprete. Come novità abbiamo Rami Malek nel ruolo di un insolito "cattivo", attore che tuttora non riusciamo a decifrare. E poi una deliziosa Ana de Armas, che è una giovane e incosciente Bond Girl.
Lashana Lynch è Nomi, il nuovo che avanza, spia che non ama nessuno ma prova forti simpatie, androgina o come si potrebbe definire ai nostri giorni, una donna un po' virile per atteggiamento e muscolatura. Billy Magnussen, simpatico attore scoperto con Game Night e poi con la serie Made for Love, è un agente CIA, collega dell'amico per sempre Felix Leiter, che è nuovamente interpretato da Jeffrey Wright, personaggio che aveva già subito un "upgrade" di correttezza, perché in origine bianchissimo. Figura immancabile nei film di Bond, Dali Benssalah è la longa manu del "cattivo", il suo mastino da guerra con occhio bionico.
Alla fine del film, due ore e quaranta minuti circa, compare la scritta "James Bond ritornerà" e, come dicevamo all'inizio dell'articolo, ci sono stati molti rumors sul successore di James. La speranza è che si voglia restare fedeli alla caratterizzazione originaria di Fleming: piuttosto che modificare personaggi esistenti è meglio crearne di nuovi e altrettanto validi.
Bond, il nostro James Bond, ha attraversato decadi di cambiamenti epocali di progresso e imbarbarimento. E ora passa oltre e non si volterà più verso di noi, nel mirino del gunbarrell. Come gli diceva Mr. White in Spectre, Bond è stato "un aquilone che danza in mezzo agli uragani". So Long 007, dall'Italia con amore.