Non è (ancora) un paese per videogiocatrici
Sessismo, gender gap, comunità tossiche? Parlano le donne italiane dei videogiochi.
È estremamente difficile raccontare la situazione che le donne sono costrette a vivere nel sottobosco dei videogiochi. È difficile perché chiunque non abbia subito determinati trattamenti tende a minimizzare il problema, addirittura a vederlo come una semplice provocazione, talvolta a pensare che si tratti del comportamento di poche mele marce isolate dalla maggioranza della comunità, come nel caso del sottoscritto, dato che non sono certo un esperto della tematica e anzi farò numerosi scivoloni terminologici ed errori tipici di una forma mentis dalla quale è complicato liberarsi interamente.
È difficile perché neppure un termine come "discriminazione" è adatto a descrivere il fenomeno in modo efficace. Perché si tratta semplicemente di donne che lavorano nel settore dei videogiochi o che decidono di trascorrervi il proprio tempo libero, e che unicamente in quanto donne devono fare i conti con il fatto che saranno trattate in modo diverso, magari non necessariamente con atteggiamento discriminatorio, ma senza ombra di dubbio degradante e prevaricatorio. In una parola, è sessismo.
E quante sono le obiezioni che già ci sembra di sentirsi sollevare a seguito di queste poche righe! 'È un problema che non riguarda solamente il mondo dei videogiochi'; 'Ecco l'ennesimo caso di vittimismo'; 'L'ennesima propaganda SJW'... Sapete, inizialmente abbiamo pensato di inaugurare questa analisi attraverso un parallelismo con la vita di Mark Bloch, uno degli storici più influenti di tutti i tempi, vissuto in Francia nella prima metà del ventesimo secolo e recentemente riportato in auge dalla fama di Alessandro Barbero.
Era uno storico ateo al quale, ben prima della promulgazione di qualsivoglia legge razziale in altri paesi europei, fu precluso l'accesso al prestigioso Collége de France a causa della religione praticata da suo padre, ovvero quella ebraica. Sarebbe stato un parallelismo forte, scomodo, che rischiava di inficiare o addirittura danneggiare la tematica delle donne nel mondo dei videogiochi, pertanto l'avevamo interamente scartato. Ma la verità è che si tratta del paragone più calzante per tentare di far prendere coscienza dell'entità del problema.
"Il primo commento a comparire sotto la [mia] analisi è: "Da quando fate recensire i videogiochi a una femmina?" - Stefania Sperandio"
Il professor Mark Bloch scoprì improvvisamente che sarebbe stato trattato in modo diverso nei confini del suo lavoro e della sua più grande passione per una caratteristica intrinseca della sua persona, un elemento sul quale non aveva il benché minimo potere. Allo stesso modo, una donna che scrive di videogiochi, che trasmette in diretta su Twitch, che si esprime su YouTube o che semplicemente vorrebbe divertirsi con questo medium fantastico, sa che sarà trattata in modo diverso nei confini del suo lavoro o della sua più grande passione per una caratteristica intrinseca della sua persona, un elemento sul quale non ha il benché minimo potere.
Il 3 aprile del 2012 Stefania Sperandio, oggi caporedattrice di SpazioGames e allora già attiva da tempo come giornalista, pubblica un'anteprima di Metal Gear Rising che costituisce il suo primo articolo d'opinione. Il primo commento a comparire sotto l'analisi è: "Da quando fate recensire i videogiochi a una femmina?". Quando siamo andati da Stefania e le abbiamo chiesto se c'è stato un momento preciso in cui si è resa conto che essendo una donna sarebbe stata trattata in modo diverso, ci aspettavamo che facesse riferimento a questo episodio, ma così non è stato.
Abbiamo posto la medesima domanda anche a Sara "Kurolily" Stefanizzi, probabilmente la streamer più celebre del paese. L'abbiamo rivolta a Giulia "Juniper" Migliore, già autrice su Eurogamer.it, oggi social media specialist di PG Esports. Abbiamo bussato alla porta di Lara "Phenrir Mailoki" Arlotta, che oltre ad essere una fra le penne più complete della nostra testata è anche una YouTuber della prima ora. Lo abbiamo chiesto, infine, anche ad alcune videogiocatrici "comuni", e abbiamo portato avanti questa ricerca chiedendoci se presto o tardi avremmo sentito anche una campana discordante, un rovescio della medaglia, cosa che purtroppo non è mai avvenuta.
A dire il vero c'è stata una ragazza che si è presentata come la cosiddetta mosca bianca, affermando di non aver vissuto chissà quale comportamento tossico videogiocando online, ed eravamo molto interessati a raccogliere anche la sua testimonianza. Il problema è che, non appena abbiamo approfondito l'argomento, è venuto fuori che di episodi simili gliene sono capitati a bizzeffe, ma il fatto è che non ci ha dato peso. Come quella volta che hanno registrato una partita a sua insaputa pubblicandola su YouTube con il titolo "Una girl in clan", o quella volta che cercava un gruppo per giocare a Destiny e si è sentita rispondere: "Una donna no, perché essendo donna morirai spesso e poi magari rompi pure i coglioni".
La verità che abbiamo scoperto a seguito dell'indagine è che non esiste donna che non abbia affrontato comportamenti tossici legati esclusivamente al proprio genere. "Mi sono resa conto che sarei stata trattata in modo diverso molto, molto prima della pubblicazione di un articolo", ha affermato Stefania Sperandio in risposta alla nostra domanda iniziale. "Già da piccolina mi sentivo fuori posto, mi ricordo che fin dalle elementari chiacchieravo e scambiavo dischi demo con i miei compagni, e questa cosa era parsa talmente strana a una maestra da spingerla a prendermi di peso e dirmi di andare a giocare con le bambine".
Questo discorso, che già di per sé è abbastanza triste, ci ha ricordato le parole pronunciate da Axel Fox, autrice del videogioco Freud's Bones, durante un panel organizzato da Nintendo con protagoniste quattro sviluppatrici italiane. "Il problema delle donne nei videogiochi e dei mestieri legati all'ambiente va ben oltre le iniziative che si possono attivare, perché è radicato in una cultura che ti vuole medico, avvocato, commercialista, senza insegnarti che esistono altre strade e tentando invece di inculcarti l'idea che una donna non debba programmare", ha detto Fortuna Imperatore in chiusura dell'evento.
Secondo gli ultimi report (We Are Social, IIDEA) le videogiocatrici in Italia costituiscono oggi il 47% del totale ma è evidente che sia una percentuale da prendere con le pinze. La base installata su console sarebbe infatti attorno al 33% e, nella nicchia degli appassionati "hardcore" che seguono l'informazione su base quotidiana e partecipano attivamente alla community digitale, la forbice si allarga ulteriormente. Si tratta comunque di un evidente passo avanti rispetto al trend dell'ultimo trentennio, un periodo storico che da una parte ha visto la crescita del pubblico femminile e dall'altra ha alzato il sipario su uno tsunami di comportamenti tossici da parte della comunità maschile.
Tutte le testimonianze che abbiamo raccolto raccontano un passato leggermente diverso, caratterizzato sì da prodotti ricamati attorno alle esigenze degli uomini, si vedano le prime istanze di Tomb Raider, ma fatto anche di un abbozzo d'inclusività che si è persa nel corso dei 2000. "Il momento in cui ho preso coscienza della situazione", ci ha spiegato Giulia Migliore, "è stato quando sono passata dal giocare per conto mio al provare primi videogiochi online, nel caso specifico League of Legends. Prima, quando uscivo da scuola e andavo a comprare Final Fantasy XIII, gli amici che mi scoprivano appassionata reagivano con meraviglia, ma c'era dialogo e interesse. Poi con l'avvento del gaming online è cambiato tutto".
In effetti il gaming online si è dimostrato una fucina di episodi deprecabili, capaci di spingere molte ragazze a nascondere la propria identità durante le partite per evitare una risposta tossica che, attenzione, non si limita semplicemente all'attacco verbale ma abbraccia anche le immancabili lusinghe. "Se da una parte ci sono quelli che dicono 'oh mio dio, una ragazza, perderemo', ce ne sono altrettanti che dicono 'oh mi dio, una ragazza, ora le comprerò migliaia di regali e le scriverò ogni giorno'", ci ha raccontato Kurolily.
"Per le donne che creano contenuti", ha continuato, "ciò significa che in un modo o nell'altro ci si rende conto che il proprio aspetto fisico finisce per scavalcare ciò che si porta al pubblico. Ci si impegna per creare prodotti ben fatti, ben articolati, poi arriva qualcuno e commenta 'che bella che sei', scavalcando interamente il contenuto". Ciò si traduce nella realizzazione del fatto che se giochi online, se pubblichi un video o se trasmetti in diretta, agli occhi del pubblico maschile sarai sempre prima una donna e solo in seguito una compagna di squadra, una giornalista o una streamer.
Secondo Lara Arlotta "se il problema comincia con l'infanzia, quando ci si trova a metà strada fra compagne di scuola che hanno interessi diversi e maschi che tendono a isolarti, poi esplode quando scegli di metterti su un piedistallo. A quel punto sai già che riceverai una pioggia di pomodori in faccia. Il mio caso poi è anche più grave, perché c'è l'aggravante del fidanzato famoso. Oltre al fatto che sei una donna, agli occhi della comunità tossica si aggiunge la componente dei fanboy che ti vedono come un'ombra e di quelli che ti vedranno inesorabilmente come una raccomandata".
Lara è la compagna di Sabaku no Maiku. "Ieri avevo 5.000 iscritti, oggi ne ho 49.000, magari fra tre anni 150.000. Ma per quella fetta di comunità sarà sempre e solo un risultato raggiunto per il fatto che sono la compagna di Sabaku. Poi, nel concreto, l'aspetto fisico scavalca il contenuto perché siamo cresciuti in un mondo di speaker maschi, laddove la donna era solo un supporto, di conseguenza è inevitabile che determinate qualità saltino immediatamente all'occhio di molti spettatori e che sia più facile astrarsi dall'immagine fisica di un uomo".
"Il problema non risiede solamente nell'incapacità di oltrepassare il fatto che si tratta di una ragazza, prendendo in considerazione prima di tutto il suo aspetto fisico", secondo Giulia Migliore, "ma soprattutto nella realizzazione che non va bene niente: se sei di bell'aspetto ti trovi lì solamente per quel motivo, mentre se non corrispondi ai canoni della tipica ragazza di riferimento, significa che sei brutta e allora cosa ci stai a fare lì?".
Stefania Sperandio ha parlato a lungo di questo spettro di reazioni. "Un episodio recente riguarda le prime pubblicazioni sui social delle foto con PS5, sotto le quali c'erano commenti come: 'SpazioGames, potevate scegliere una ragazza immagine più carina'. Alla persona che lascia un commento del genere non passa neanche per l'anticamera del cervello che io possa essere la caporedattrice della testata, per lui la mia era indubbiamente una presenza femminile pensata per rendere il contenuto più allegro, un po' come accadeva all'epoca delle booth girl".
"Nessuno andrebbe sotto la videorecensione di un creator maschio a scrivere una cosa come 'sorridi di più', e invece è la norma quando di fronte alla telecamera c'è una donna. E poi magari la prima cosa che pensano è che quella donna è brutta, e il fatto che sia brutta è una cosa gravissima, devono correre subito a scriverglielo nei commenti per farglielo sapere". Il che, a ben vedere, rappresenta un problema a qualsiasi livello della nostra struttura sociale, ed è fisiologico che il fenomeno sia esasperato all'interno di un settore ad altissima prevalenza maschile.
Ma perché c'è una concentrazione di comportamenti tossici verso le donne tanto elevata nel settore dei videogiochi? La risposta a questa domanda è piuttosto complessa. La tesi più accreditata vede il mercato dei videogiochi come una nicchia sociale storicamente occupata dal pubblico maschile, in modo analogo a quanto successo nel calcio in seguito agli anni '80. "Gli uomini con i videogiochi erano tranquilli perché sapevano che lì, come allo stadio, non avrebbero trovato le donne; vederne oggi, agli occhi della comunità tossica rappresenta una sorta di lesa maestà", spiega Stefania, che ha trattato l'argomento anche nella sua tesi di laurea.
"La donna entra nei videogiochi in un sistema che è sotto lo stretto controllo di una maggioranza maschile - Lara Arlotta"
Un po' come succede nell'esercito, e a questo proposito Lara Arlotta ha militato nell'Esercito Italiano, affrontando l'addestramento alle caserme di Ascoli Piceno. "La donna entra nei videogiochi in un sistema che è sotto lo stretto controllo di una maggioranza maschile, e viene vista da alcuni come l'invasore di un ambiente elitario, di un sottobosco che non deve assolutamente diventare 'per tutti'. Ma secondo me chi alza gli scudi non rappresenta la maggioranza, molti si muovono per goliardia, il che potrebbe sembrare una stupidaggine ma a mio parere sono desensibilizzati perché pensano di aggredire delle 'figure' e non delle persone reali".
"La situazione nei videogiochi è totalmente assimilabile a quanto si verifica nell'esercito; mi sono arruolata a 17 anni e, ad essere sincera, non so quanto le cose siano cambiate da allora. Ma già quando ti arruoli, per le persone i casi sono due: o sei affamata di uomini oppure sei omosessuale. Lì le interazioni sono state ancor più delicate, perché le ho vissute sotto una piramide costituita da uomini che occupavano tutti i ruoli di potere e donne esclusivamente sottoposte, quindi il terreno fertile per le malelingue, e ci sono stati anche degli scandali al riguardo".
Ci sarebbe da parlare anche dell'interazione a distanza zero portata dall'esplosione dei social network, senza dimenticare gli assalti coperti dall'anonimato che caratterizzano la maggior parte delle comunità online, strutturate per spezzare il legame empatico e portare a una conseguente "apertura delle gabbie". Verrebbe naturale pensare ad ambienti in cui il rapporto riesce a distendersi proprio a causa della personalizzazione dei contenuti, un mondo come quello dello streaming ad esempio, ma Kurolily racconta una storia molto diversa.
"Si è portati a pensare che l'interazione immediata delle dirette ponga un freno al fenomeno. In realtà è ancora peggio, perché seguendoti in live vogliono vedere la tua reazione in diretta, cercano di istigarla, cercano di stupirti in modo negativo perché non riescono a interagire diversamente. È anche vero che il pubblico di uno streamer è il riflesso dei contenuti che si producono sullo schermo, quindi bisogna educare le community per creare un clima sereno; da questo punto di vista non posso lamentarmi, anche e soprattutto grazie al lavoro dei miei moderatori".
"Anche se non dobbiamo fare di tutta l'erba un fascio, non dobbiamo nemmeno fingere che non esistano i disadattati", aggiunge Lara Arlotta. "Chi fa il mio mestiere lo sa, ci sono quelli che alle fiere ti pedinano con la macchina fotografica, quelli che commentano all'interno dei gruppi chiusi; sono persone incapaci di inserirsi in una società che oggi hanno sottomano una tastiera in grado di azzerare qualsiasi distanza e dare piena voce ai propri pensieri, su Facebook, su YouTube e su Twitch. Basta aprire qualsiasi social e seguire una donna per rendersi conto della situazione".
Il tema delle live su Twitch spalanca i cancelli su tante, tantissime discussioni oggi più che mai calde. Uno dei cavalli di battaglia degli oppositori risiede nella teoria secondo cui una donna partirebbe avvantaggiata nei confini di determinati settori. Del resto, tutte le intervistate hanno confermato che una fra le interazioni più frequenti si può riassumere nella frase: "sei lì solamente perché sei una donna". Un pensiero, questo, che spinge inevitabilmente alcune ragazze che lavorano nel settore a convivere con una sorta di ansia da prestazione che le convince sempre e comunque di dover dare il 200% per ottenere il giusto riconoscimento.
Kurolily continua: "Non ti nascondo che su una comunità come quella di Twitch, se un utente vuole seguire un gioco e si imbatte in una ragazza, quella salterà più facilmente all'occhio proprio perché siamo meno rappresentate. Al tempo stesso non ci si rende conto della mole di persone che non cliccherebbero mai sulla tua trasmissione solo perché sei una donna. Qualche volta ci penso, è inevitabile, riflettendo sui contenuti o su mie qualità come la parlantina penso che se fossi stata un maschio avrei sfondato".
Parlando di Twitch non si può glissare su un complesso fenomeno contemporaneo, ovvero quello delle cosiddette "Twitch Girls", termine più che mai improprio, ovvero le streamer che portano contenuti sessualizzati al limite del soft-porn sfruttando l'incertezza che caratterizza le linee guida della piattaforma. Dal canto nostro, non ve lo nascondiamo, abbiamo pensato immediatamente che la presenza di queste moderne "cam girls" potrebbe spingere il pubblico maschile a interiorizzare l'oggettificazione per poi tirarla fuori di fronte a professioniste come Kurolily.
Nel porre questa domanda alle intervistate abbiamo scoperto una linea comune che vede Twitch come responsabile della sovrapposizione fra i contenuti informativi e quelli sessualizzati, laddove la libertà delle Twitch Girls viene individuata come un diritto sacrosanto. "In primis, se c'è tanta offerta c'è anche una forte domanda", spiega Stefania Sperandio. "Spesso ci viene detto che il modo in cui veniamo trattate è colpa di alcune streamer, ma la verità è che è l'uomo a dover fare l'operazione di distinguo. Sarebbe come dire: 'Ci sono contesti in cui posso allungare le mani, quindi posso farlo anche con una ragazza qualsiasi che trovo in stazione'. Inoltre, in termini più ampi, la ragazza non sta sfruttando un potere ma sta utilizzando sé stessa per accedere al potere di un uomo, che in questo caso è rappresentato dai soldi".
Molto diversa, tuttavia, è stata la reazione di Kurolily, che lavora ormai da otto anni sulla piattaforma. "Credo che ci sia una responsabilità della piattaforma, del pubblico e anche di queste ragazze. Sarò onesta: sono stanca di dovermi dissociare e mettere le mani avanti quando parlando con amici viene fuori il fatto che lavoro su Twitch, perché ogni volta devo specificare che non faccio le cose che si trovano nella homepage. Al di là della moralità delle ragazze, è evidente che il pubblico sia determinante: a causa dei numeri enormi le streamer si rendono conto che mettendo in mostra il proprio corpo saliranno subito in cima alle classifiche, anziché doversi sforzare per ottenere risultati mediocri".
QUOTE"Twitch banna i contenuti borderline ma non in modo permanente, perché si tratta di una grossa fetta di introiti"
"Poi molti ragazzi se ne lamentano ma la maggior parte di loro segue la corrente. La piattaforma, dal canto suo, provvede a bannare i contenuti borderline ma non in modo permanente, perché comunque si tratta di una grossa fetta di introiti. Attenzione, il mio non è un intento giudicante: queste streamer sono assolutamente libere di agire nei confini del regolamento ma guardando alla mia esperienza mi rendo conto che c'è una vera e propria lesione dell'immagine per tutte le ragazze che adottano un approccio differente".
Secondo Lara, invece, "è un problema di contesti. Così come sono fuori contesto gli apprezzamenti rivolti all'aspetto fisico sotto una recensione, così è fuori contesto un contenuto di quel genere su una piattaforma come Twitch. L'atto in sé e per sé è difficilmente attaccabile, ciò che lo rende grave è solamente il contesto nel quale si verifica. Se domani venisse lanciata la piattaforma 'Twitch Red' per dare spazio a contenuti simili la discussione svanirebbe nel nulla", e dobbiamo ammettere che siamo piuttosto in sintonia con questa linea di pensiero.
Passando oltre al problema morale è possibile che una situazione come quella delle Twitch Girls alimenti la convinzione delle donne dei videogiochi a doversi impegnare il doppio dei colleghi maschi. "In realtà questa è una costante non solo nel settore videoludico", racconta Giulia Migliore, "ma in tutte le declinazioni della vita. Al giorno d'oggi il pensiero 'devo fare di più perché sono donna' è insito in ciascuna di noi, ed è evidente che sia ancora più martellante in un settore storicamente a netta prevalenza maschile". "Se dovessi impegnarmi di più pensando al fatto che arriveranno commenti sessisti", sostiene invece Lara Arlotta, "probabilmente dovrei dare il centomila per cento, perché ho la certezza matematica che quel genere di reazione arriverà comunque, e sono convinta che la responsabilità ricada unicamente sul commentatore".
"È triste da dire ma smentire chi ti mette i bastoni fra le ruote è una grande fonte di motivazione", aggiunge Stefania. "Quando ho ricevuto il mio primo commento sessista, me lo aspettavo. Sapevo che qualcuno se ne sarebbe uscito criticando la posizione che avevo raggiunto su SpazioGames. Almeno a livello interno le cose stanno cambiando: ho lavorato per tante realtà e in passato è capitato anche che mi dicessero: 'meglio che non sia tu a trattare questo titolo perché sei una ragazza'. Quando due anni fa ho scoperto che avrei recensito Death Stranding e sarebbe sorta un'ulteriore ondata di critiche sono stata io a chiedere: 'sei sicuro?' a chi gestiva la testata in quel momento. Sono stata felice di scoprire che lo avrebbe trattato anche Lara: più donne si occupano di tripla A, prima il pubblico smetterà di trovarlo inusuale".
"Al giorno d'oggi il pensiero 'devo fare di più perché sono donna' è insito in ciascuna di noi - Giulia Migliore"
Ma quello dei videogiochi è ancora oggi un mercato che viene interamente plasmato attorno alle esigenze del pubblico maschile? "Un tempo era ovvio che fosse così", racconta Kurolily. "Protagoniste sessualizzate, eroi maschi, ora è evidente che le cose stiano cambiando. Il fatto è che un tempo avvicinarsi ai videogiochi per una ragazza era una specie di incidente". A conferma di questa tesi c'è anche la testimonianza di Stefania: "Ho iniziato a giocare perché un cugino e mio fratello avevano le console, perché è evidente che secondo la nostra cultura a nessuno verrebbe in mente di regalare un videogioco a una bambina".
"Oggi le cose stanno cambiando: il titolo migliore della generazione (il riferimento è aThe Last of Us 2, ndR) ha non una ma ben due protagoniste estremamente lontane dal classico topos della damigella in pericolo, cosa che ovviamente ha attirato tutta una serie di polemiche. Ma bisogna anche prestare attenzione: ricordo al tempo del reboot di Tomb Raider di Noah Hughes, quando dissero che 'l'obiettivo non era quello di immedesimarsi in Lara, ma di aiutarla a tirarsi fuori da una situazione di pericolo'. Allora ho pensato 'No cacchio! Non vedevo l'ora di immedesimarmi in Lara!'. Mi sono resa conto che nemmeno loro sapevano bene quel che stavano facendo".
Ci sono alcuni casi, tuttavia, di comunità videoludiche storicamente più aperte e inclusive rispetto alla media, come ad esempio quella di Final Fantasy. Ecco l'esperienza di Lara: "Sono cresciuta insieme a una coppia di nonni cattolici. Già è stata una guerra portare in casa quelle diavolerie elettroniche, quindi figuriamoci poter giocare titoli con gli zombie o con le armi da fuoco; Final Fantasy è uno dei pochi prodotti dall'aria innocente, poi nasconde ovviamente anche un'anima hardcore, ma nella sostanza esula da quella forte componente di machismo stereotipato che ha caratterizzato tutte le grandi produzioni".
Per quanto i videogiochi contemporanei tentino di perseguire l'inclusività all'interno dei mondi virtuali, è difficile assistere a un processo simile anche dall'altra parte delle scrivanie. Il reboot di Tomb Raider è stato scritto da Rhianna Pratchett, il terzo capitolo della saga da Jill Murray, lo stesso The Last of Us Parte 2 è stato co-sceneggiato da Halley Gross. Ma, sottolinea Stefania, in anni e anni di carriera ed eventi stampa non è mai capitato di intervistare, nei confini di un videogioco tripla A, una director o una creative director di sesso femminile (in realtà è accaduto, come nei casi di Amy Henning e Jade Raymond, ndSS). La mano che guida i progetti e che ne muove la regia è ancora prevalentemente maschile.
"È capitato che mi offrissero posti come giocatrice in campionati femminili. È una ghettizzazione priva di senso - Kurolily"
Un'altra declinazione del sottobosco dei videogiochi che è finita al centro della polemica è quella maturata attorno al mondo dell'esport. Verrebbe naturale, in effetti, pensare che nel contesto delle competizioni virtuali non ci sia spazio per problematiche legate alla parità dei sessi, dal momento che non esiste il benché minimo requisito fisico per posizionarsi sulla linea di partenza. E invece no: a fronte di alcuni esport misti, molte organizzazioni stanno fondando leghe e squadre completamente al femminile.
"Trovo che sia allucinante", ha affermato Kurolily. "In passato mi è capitato spesso di giocare nel competitivo, specialmente in card game come Magic o Hearthstone, anche con buoni risultati. Ed è capitato che mi offrissero posti come giocatrice in campionati femminili. È una ghettizzazione completamente priva di senso, anzi, è addirittura controproducente; ho rifiutato categoricamente, non c'è discorso sull'importanza delle videogiocatrici che tenga, perché il gaming è di tutti".
Leggermente diversa l'opinione di Giulia Migliore, che lavora a stretto contatto con PG Esports: "A me dispiace che stia succedendo ma bisognerebbe fare un discorso con i coaching staff per capire come funziona l'ambiente all'interno di una gaming house. Personalmente mi piacerebbe vedere qualcosa di misto, ma potrebbe essere più complesso di quel che appare".
Dal tessuto dell'esperienza emerge il caso di Geguri, giocatrice di Overwatch cinese ingaggiata dagli Shanghai Dragons per competere ai massimi livelli, prima donna a varcare il confine della lega in franchise nell'ormai lontano 2018. Una donna che è stata prima accusata di cheating perché non era possibile che ci fosse una ragazzina così forte, e poi tacciata di essere una semplice operazione di marketing. A seguito di questo filotto di testimonianze viene naturale chiedersi a che punto ci troviamo lungo il percorso dell'accettazione, nonché come e dove ci sia bisogno di un intervento diretto.
"Le cose stanno cambiando, lentamente ma stanno cambiando", secondo Stefania. "Un tempo c'era solo una campana, mentre oggi quando arriva l'immancabile insulto sessista c'è qualcuno pronto a intervenire in tua difesa. Non bisogna però fare l'errore di pensare che le nuove generazioni siano del tutto immuni allo strascico culturale: quando apri i messaggi privati trovi un sacco di cose irripetibili, e molte di queste provengono dai giovani e dai giovanissimi".
Secondo Giulia Migliore "la nuova generazione è senza dubbio più libera dagli schemi con cui siamo cresciuti, e la risposta risiede nella perseveranza. Bisogna perseverare nella risposta al comportamento positivo ancora più che a quello tossico, bisogna perseverare nel far sentire la propria voce, ed è ovvio che ci saranno degli scontri, ma ci saranno anche delle sorprese, persino nei gruppi sociali che inizialmente erano restii all'inserimento delle donne. E più donne siamo, meglio è".
Dal canto nostro abbiamo sollevato un problema che senza ombra di dubbio si presenterà anche al momento della pubblicazione di questa analisi, ovvero la strumentalizzazione di queste voci per alimentare il cameratismo. Il fatto stesso che abbiamo deciso di denunciare la situazione sarà senza dubbio trasformato in un'arma dalla frazione tossica della comunità, che vedrà in queste testimonianze un nuovo "giogo nel perseguimento della giustizia sociale". È come se ad ogni sforzo corrispondesse una reazione uguale e contraria, e spiace dover porre questa constatazione di fronte alle intervistate.
"È molto difficile inserirsi in questa lotta", aggiunge Giulia. "Per ogni persona che apre gli occhi trovi una porta sbattuta in faccia". "Il problema del costrutto di genere non si risolve un giorno con l'altro" dice Stefania. "La superficie della community tossica ti fa l'esame: 'Ma a che giochi giochi? Ah, ma quelli non sono giochi veri, le donne non giocano ai soulslike', e via dicendo. Poi c'è una parte sotterranea, inconsapevole, che ad ogni denuncia risponde con una scappatoia, come: 'ti hanno presa solo perché serviva una quota rosa'; oppure: 'la presenza delle donne sta cambiando i nostri videogiochi, guarda Ellie e Abby'. Il risultato da raggiungere è che queste persone inizino a sentirsi isolate e si facciano delle domande del tipo: perché la penso così? E perché tutti questi invece mi dicono che non è così?".
Kurolily vede la soluzione in un lento processo di sensibilizzazione: "La parità dei sessi nel gaming è una cosa che può arrivare. Dipende da tutti noi, specialmente dall'utilizzo che facciamo delle piattaforme. Nel mio piccolo cerco di fare il massimo, specialmente ora che lavoro a contatto con i media tradizionali". Poi aggiunge: "Una ragazza che oggi volesse iniziare a streammare dev'essere consapevole che dovrà rimettere al suo posto una grossa fetta di pubblico. Sai, capita spesso che mi scrivano ragazze quando ormai è già troppo tardi, dopo che si sono già arrese, invece fra colleghe è molto importante supportarsi fin dall'inizio, e io sono sempre a disposizione".
"Sono convinta che questa fetta di community si estinguerà", conclude Lara Arlotta. "La comunità dei videogiocatori crescerà sempre di più e diventerà sempre più inclusiva, al punto che la percentuale tossica diventerà completamente irrilevante. Ora non siamo fermi, siamo in una fase di transizione, e già il fatto che se ne parli è un grande traguardo; un giorno la popolazione femminile nel pubblico dei videogiochi crescerà tanto che sarà sciocco anche solamente parlarne, perché sarebbe come fare il calcolo di quanti sono gli italiani e quante le italiane. Ciò detto, non dobbiamo dimenticare che al netto del nostro sottobosco continuiamo a vivere in una società maschilista".
Queste erano le testimonianze, le proposte, le idee e le opinioni di alcune donne che respirano quotidianamente il mondo dei videogiochi, un mondo che per molti appassionati è stato unicamente una fucina di grandi esperienze e di grandi emozioni ma che, a una parte della comunità, quella femminile, riserva un lato oscuro del quale è necessario parlare con frequenza sempre maggiore.
Non vogliamo perderci in una chiusura moralizzante, anche perché non siamo nella posizione di poterla strutturare, ma una cosa importante l'abbiamo imparata: dobbiamo regalare tante console, tanti PC e tanti videogiochi alle nostre figlie e alle nostre nipoti.