Non siamo più vivi Recensione (Serie TV): Tutti noi siamo morti?
Meglio vivere da mostro che soccombere da umano.
Che cos'è uno zombie? Un'inarrestabile macchina di morte tesa solo al proprio nutrimento, che diventa immediata moltiplicazione della specie. Quale meccanismo più mirabile? Ricorda il virus ma ancora meglio perché mai uccide l'ospite ma lo rende immediata uguale a se stesso. Certo a lungo andare, anche la materia prima si esaurirebbe, nel dilagare di un'epidemia globale.
L'inizio della serie Non siamo più vivi, crudele, sanguinoso ma non nella direzione prevedibile, ci fa subito capire che A) siamo in una serie tv coreana B) che in effetti meritiamo di estinguerci. E cosa c'è di meglio allora di una bella epidemia di zombie? Infatti il titolo italiano recita Non siamo più vivi, anche se quello origina diceva Tutti noi siamo morti e il senso della frase si chiarirà abbastanza velocemente.
Non dimentichiamo infatti che la Corea del Sud ha un triste primato, quello del bullismo scolastico. Non che nelle altre fasce della società le cose vadano tanto meglio, come visto nella nerissima serie Squid Game, di planetario successo. Ci ritroviamo quindi nel solito liceo con ragazze in gonnellina a pieghe e ragazzi in gilet, tutti con cravattino con i colori della scuola, mentre lavano pavimenti e fanno ordine, soggetti alla disciplina ferrea e intransigente impartita dagli insegnanti, come unica evasione gare di tiro all'arco e di cori, dove però guai non primeggiare. Sarebbe preclusa la possibilità di accedere all'Università, vera stella polare verso la quale sono mirati obbligatoriamente i ragazzi.
Un bulletto arrogante, protetto dal Sistema, infligge terribili punizioni e umiliazioni attraverso due suoi scagnozzi. Qualcosa però sta per succedere: un'incauta ragazzina viene morsa da un topo chiaramente infettato da qualcosa di terribile, con la solita velocità dovuta a imprudenza e superficialità il contagio inizia a diffondersi, il virus a moltiplicarsi. Tutto ha avuto inizio dalla disperazione di un padre, professore di scienze, che si è illuso di trovare una "cura" per salvare il proprio figlio da un'esistenza di botte e umiliazioni.
Mentre il contagio dilaga, l'azione si suddivide in diversi scenari. Nella scuola si forma un gruppetto di 10/15 ragazzi, con composizione e numero che varierà, che fugge di piano in piano, barricandosi in diverse aule. Cercano di sopravvivere braccati dai mostri nei corridoi della scuola, dove noi sappiamo che nessuno verrà ad aiutarli, perché il Governo ha messo la cittadina in lockdown e sotto legge marziale e ha interrotto linee telefoniche e internet per evitare i diffondersi di notizie destabilizzanti.
In un'altra parete della scuola 4 studenti restano a loro volta isolati. All'esterno il padre di una delle studentesse, che fa parte di un'unità di soccorso, dopo aver compiuto un salvataggio eccellente, fugge per raggiungere la figlia. Intanto due poliziotti restano isolati in un'altra zona del paese. Pochissime però sono le figure di adulti stimabili e chissà come mai, non ce ne stupiamo.
Il caos dilaga, il panico esplode, profughi non contagiati vengono ferocemente respinti, in una prigione abbandonata su un'isoletta il Governo istituisce un campo di concentramento per i sopravvissuti, soggetti però a ferree regole militari, la Chiesa tuona contro un supposto castigo divino che coglie solo chi se lo merita, le multinazionali evacuano i pezzi grossi, le Borse crollano, Youtuber vanno sul posto per fare video idioti e raccattare più clic.
Intanto però il virus evolve con imprevisti effetti proprio su alcuni soggetti molto diversi fra loro. E cosa c'è di più pericoloso di uno zombie? Uno zombie che ragiona. La speranza lascia il posto alla disperazione (anche fra i militari) e i ragazzi capiscono che nessuno verrà a salvarli e quindi è meglio morire provando a farlo da soli. Alcuni arrivano a chiedersi se per preservare quella vita che conducevano prima valga la pena lottare tanto.
Come in Squid Game, meglio non affezionarsi a nessun personaggio (ma nemmeno fidarsi). Le scene di fuga sono frenetiche e angosciose e gli zombie non saranno gli unici da cui guardarsi. Per fare contenti anche i complottisti e i polemici dei nostri giorni, dove un virus infinitamente meno rischioso ha ugualmente influenzato il comportamento umano in tutto il mondo, ci sono molte allusioni, fra cui quella che la minaccia più letale si nasconde nell'infetto asintomatico. E si dice che "La scienza inizia con l'immaginazione e finisce in un mistero".
Ignorare tante piccole violenze ha riempito il mondo di violenza. La storia raccontata nella serie, al di là dell'aspetto più ludico (zombi sanguinolenti, sbrindellati e digrignanti che inseguono, assediano e sbranano un gruppo di ragazzini), è la conferma della pessima situazione sociale del paese, del classismo senza pietà che rende ogni strato sociale ostile a quello appena inferiore, in un sistema che ricorda quello tanto vituperato delle caste indiane, con il disprezzo esibito, la prepotenza fisica e verbale che sfonda là dove trova vergogna e sottomissione. Tutti sono solidali nell'accanirsi contro la vittima di turno, nessuno solidarizza, anzi si allea ai bulli, quasi trovando sollievo nel vedere che, in quel momento, la vittima è un altro, allontanando così il pensiero che un giorno possa toccare proprio a lui.
Nelle pochissime parentesi più rilassate, i ragazzi riescono anche a pensare ai giochi dei loro sentimenti (c'è un bell'intreccio di interessi amorosi fra due delle coppie) e ci sono un paio di personaggi che (con sobrietà) danno la possibilità di alleggerire il tono. Ma sono solo attimi fra un inseguimento ansiogeno e l'altro, fra ammazzamenti crudeli, fra prese di coscienza dolorose, mentre appare più chiaro di quanto lo sia mai stato, che agli adulti dei ragazzi non interessa nulla. E ci si interroga sulla massima che recita "Se muore un bambino muore la speranza, se muore un adulto muore la saggezza", a cosa dare più valore?
Non è solo il sonno della ragione a generare mostri, anche la sua distorsione, e molto cinema coreano ci ha raccontato la drammatica situazione che in questa serie viene contaminata con l'horror. Pensiamo innanzitutto allo splendido film Whispering Corridors, che per primo nel 1998 denuncia una situazione inaccettabile con il pretesto di una narrazione tipicamente horror e, per arrivare ai giorni nostri, al toccante Better Days del 2011. E poi varie serie tv, Beautiful World, The Heirs, Boys Over Flowers, Solomon's Perjury, Save Me. Quindi Non siamo più vivi, serie che si ispira al webtoon Now at Our School di Joo Dong-geun, un fumetto digitale nato per gli smartphone, non va scambiata per la solita sciocchezzuola teen o l'ennesima variazione su un tema sfruttatissimo dall'horror.
Si tratta dell'ennesima denuncia di un sistema sociale ferreo nel preservare le regole inflitte dall'alto e del tutto indifferente ai reali problemi delle persone, problemi che ciascun si deve risolvere da solo senza azzardarsi a incrinare la fasulla perfezione della superficie. Perché tutto è organizzato rigidamente ma (secondo il Potere) con precisione e giustizia e quindi il problema è chi non si riconosce, chi non ce la fa, chi soccombe. E così "disturba il manovratore". E il "popolo" invece di ribellarsi subisce a testa bassa, ogni classe sociale che disprezza un'altra, anche se divisa da pochi won di redito e che mai si sognerebbe di aiutare.
Tutto si riflette nei comportamenti dei ragazzi, che riproducono il modello famigliare e i rapporti di forza fondati sulla sopraffazione si prolungano di generazione in generazione. Vane, inefficaci e volutamente ignorate le norme che il Governo ha istituito già dal 2004 contro questo fenomeno e il tasso dei suicidi fra adolescenti resta altissimo. Del resto dopo decenni di isolamento, la Corea del Sud doveva recuperare un gap con il resto del mondo e uno dei metodi usati è stato spingere sulla competizione scolastica, per creare una nuova classe in grado di affrontare le sfide con il resto del mondo, garantendo così un veloce sviluppo economico.
Cosa che si è realizzata, ma a che prezzo? Così quando a spazzare via tutto arriva un'orda incontrollabile di orridi e famelici zombie, sporchi, laceri, insanguinati, disarticolati, scomposti, si arriva alla ben triste conclusione che abbandonare il contesto sociale tossico trasformati in morti digrignanti e sanguinari, potrebbe sembrare una liberazione.
Non siamo più vivi ci conferma che quella dello zombie è una delle figure più eversive inventate dal genere fantastico, che ha percorso un arco narrativo che qui la fa tornare alle origini, dopo essere stata abusata come pura e semplice icona di terrore, e riassume nei suoi 12 episodi tutte le variazioni e lo sviluppo cui è stata sottoposta negli anni. "Zombie" da epiteto offensivo potrebbe diventare un complimento, perché forse è quello che ha capito tutto e vive meglio. Almeno in Corea del Sud.