Nope, la recensione
"C’è qualcosa di malvagio là fuori”.
La Famiglia Haywood da generazioni si occupa dell’allevamento di cavalli sulle colline fuori Los Angeles. Addirittura il quadrisavolo era proprio l’uomo che montava il cavallo immortalato nel primo esperimento di immagine in movimento (il famoso Animal Locomotion filmato dal fotografo Eadweard Muybridge nel 1878).
Ai nostri giorni il riservato James, ultimo discendente della famiglia, per campare noleggia i suoi esemplari alle produzioni di cinema o spot pubblicitari. A condurre l’azienda era l’amato padre, morto tempo indietro per un misterioso incidente, colpito da un oggetto caduto da chissà quale aereo, divenuto un proiettile mortale.
Durante una ripresa, l’arrivo sul set della sorella Jill, chiassosa e invadente quanto lui è timido e discreto, lo mette ancor più in crisi. Al ritorno nella fattoria, isolata fra le aride colline, iniziano a verificarsi strani fenomeni, che Jill pensa di registrare per farne un documentario da portare a Oprah, idolo e mito assoluto.
Nella faccenda vengono coinvolti un commesso complottista, da cui comprano il materiale, e un regista decaduto e un po’ eccentrico. Una specie di misero parco dei divertimenti nell’area confinante subisce un incidente misterioso e molti spettatori spariscono, insieme al proprietario, un ex ragazzino prodigio che recitava in uno show di cui era star uno scimpanzé che un giorno era impazzito e aveva sterminato tutto il cast. Ma altra origine sembra avere la minaccia che incombe sui protagonisti, una presenza inspiegabile e ugualmente devastante.
Ci sono i film d’autore. Quelli che si vanno a vedere come “l’ultimo film di..”. Nope è l’ultimo film di Jordan Peele, l’autore di colore divenuto famoso con film come il geniale Get Out, che sotto l’apparenza di un thriller/horror ci ricordava quale fosse la situazione negli USA oggi quanto a razzismo, pregiudizi, discriminazione. E lo faceva con entusiasmante sarcasmo, con intelligente e amara consapevolezza, con sorprendente ironia. Peele ha poi diretto il più inquietante Us - Noi, film dal quale si era usciti pensando a quante interpretazioni se ne sarebbero lette.
Peele scrive, produce e dirige i suoi film, che poi trovano oggi agevole distribuzione. Si tratta di film “di genere” ricchi di allusioni alle reali situazioni sociali e politiche, metafore di una storia di soprusi nei confronti della gente di colore che si trascina da secoli. Nope è una parolina gergale che sta per “no”, come “yep” sta per “sì”. Quindi, trattandosi di un film di Peele, cosa si nasconde già dietro il titolo, a cosa si riferisce, cosa vuole significare la storia che ci racconta? Una storia che sembra un ironico divertissement, e forse tale in fondo è, e come tale andrebbe presa. E che valore avrebbe allora questo film, se non fosse un film di Jordan Peele? Sarebbe solo una surreale narrazione, un racconto nella twilight zone di un posto ai confini della realtà? E in tal caso, che valore avrebbe? O per trovarlo dobbiamo per forza captare le allusioni, la metafora, il “messaggio”? Sono interrogativi cui ciascuno darà la propria risposta.
Per quanto ci riguarda non è un elemento a favore la presenza nel ruolo di protagonista di Daniel Kaluuya, che era già protagonista di Get Out, visto poi anche in Judas and the Black Messiah, attore che attraversa tutti i film con un’unica atona espressione sulla sua faccia chiusa e distante. Qui inoltre subisce la presenza chiassosa della sorella Jill, affidata all’attrice Keke Palmer, dalla fastidiosa esuberanza.
Al loro fianco troviamo Brandon Perea, il coraggioso commesso del supermarket di cose tecnologiche. Una nota positiva è la ricomparsa di Michael Wincott, bene invecchiato dopo una carriera fra molti saliscendi, ex villain di molti film celebri quali Triplo Gioco, Il corvo e Strange Days su tutti, che qui si diverte con il suo regista arty e fuori di testa. Nel ruolo dell’ex bambino prodigio si riconosce Steve Yeun, già protagonista del film Minari.
Nessuno mette in dubbio la capacità di Peele di girare un film in modo da intrigare lo spettatore e questo avviene nella prima parte del film. Che poi però si dilunga in una parte centrale (il film dura 135 minuti, troppi) e delude in un finale che in fondo sembra semplicemente alludere ai valori della famiglia come unico baluardo contro le mostruosità che ci circondano. Certo in quel monito “non guardarlo mai negli occhi”, in quella negazione del titolo, ci possono stare un mare di significati.
Ma tornando al ragionamento precedente, stiamo a cercarli solo perché siamo in presenza di un “film di...” (tutti dubbi che avevamo anche all’uscita del film precedente, Us - Noi che era del 2019). Quali che fossero le sue intenzioni e le sue ambizioni, i modelli di riferimento (Carpenter?), quali che saranno le recensioni dei critici, a importare sarà la reazione del pubblico davanti a un film che viene venduto come un horror fantascientifico (il film uscirà l’11 agosto anche in IMAX).
Del resto alla premiere del film, Jordan Peele ha dichiarato a Variety: “Vuoi entrare e parlare con un amico di questioni sociali, puoi farlo. Se vuoi venire a rilassarti e allontanarti da tutto e vedere Keke Palmer alle prese con un UFO, allora è quello che abbiamo per te”. Noi pensiamo che se Nope fosse un “film di” M. Night Shyamalan, verrebbe ferocemente stroncato.
Come nel precedente Noi si citava Geremia salmo 11:11 (“Perciò, così parla l'Eterno: ecco, io faccio venir su loro una calamità, alla quale non potranno sfuggire. Essi grideranno a me, ma io non li ascolterò”), anche Nope si apre sulla frase tratta dal libro del profeta del ‘600 A.C. Nahum 3:6: “Io getterò su di te sporcizia abominevole, ti svergognerò e ti esporrò al ludibrio”.
Il libro si conclude sulle parole (3:19) “Non c’è rimedio per la tua ferita, incurabile è la tua piaga. Chiunque sentirà tue notizie batterà le mani. Perché su chi non si è riversata senza tregua la tua crudeltà?”. Si percepisce sempre quel minimo di ostilità, sacrosanta intendiamoci…