Old - recensione
Il nuovo thriller fanta/horror di Night M. Shyamalan.
L'articolo non contiene più spoiler del trailer.
È indubbio che ogni nuova uscita di un film di M. Night Shyamalan susciti sempre un po' di curiosità. Perché si tratta di un autore che, dopo l'esordio trionfale con Il sesto senso nel 1999, è riuscito a inanellare una serie di film altalenanti, che poco alla volta avevano fatto scendere molto il consenso (e l'aspettativa) nei suoi confronti.
Poi a sorpresa la rinascita, con due film come Split e Glass e la serie tv Servant (ma non dimentichiamo l'originale The Visit) Shyamalan era stato capace di riaccendere l'interesse di critica e pubblico. Con questo suo nuovo Old, torna ai temi sovrannaturali/horror, talvolta ricchi di metafore da decifrare, che aveva già mostrato di gradire in film come Lady in the Water e The Village.
Siamo in uno di quei pettinatissimi resort per turisti medio-ricchi, solito paradiso tropicale dove arriva una famigliola, marito, moglie e due figli, uno di sei anni, l'altra più di dieci. Sembrano allegri e felici, in realtà qualche problema serpeggia. Trattati come principi, il giorno dopo vengono pure mandati in una spiaggia super-elitaria, insieme a un altro gruppetto famigliare ospite nell'hotel, dove anche le frizioni non mancano. Sono increduli per la loro fortuna, perché il posto in fondo lo avevano trovato cercando su internet.
La spiaggia è davvero bella da mozzare il fiato, anche se difficile da raggiungere, ma quasi subito cominciano ad accadere cose inquietanti, mentre un'altra coppia di ospiti sopraggiunge. La tensione cresce e una sconvolgente verità si fa strada fra i protagonisti. Intanto dall'alto di lontane colline un baluginio fa supporre una presenza estranea. Passano minuti che pesano come decenni, in un'accelerazione che manda tutti fuori di testa scatenando reazioni scomposte. E ha inizio la decimazione. Tutti i personaggi scopriranno di avere qualcosa in comune, un filo che li lega e li ha fatti riunire tutti insieme in quel luogo soggetto a leggi fisiche sovrannaturali.
Il cast è affollato di attori che interpretano gli stessi personaggi in varia età (per quanto riguarda i ragazzi), gli adulti sono facce note invecchiate col trucco, le coppie adulte sono Gael García Bernal e Vicky Kneps, Rufus Sewell e la filiforme Abbey Lee, Ken Leung e Nikki Amuka-Bird.
Una volta svelato il meccanismo, ci si aspetta che succeda qualcosa, il famoso colpo d'ala che risollevi tutta la narrazione che tende a farsi ripetitiva, e sorprenda e intrighi. E si pensa a cosa si sarebbe potuto dire del tempo, che scorre nell'universo con sovrumana indifferenza e noi abbiamo spezzettato, frantumato in parti sempre più piccole per adattarlo alla nostra finitezza.
E mentre una farfalla fa tutto quello che deve in un giorno, noi anche dopo più di novant'anni siamo qui a lamentarci di non avere avuto abbastanza tempo per questo e per quello. Ma non sarà così, perché non si deve mai confondere quello che vorrebbe lo spettatore e quello che intende fare un regista. A parte che questa volta Shyamalan è autore della sceneggiatura, ma la storia originale è tratta da un fumetto francese, Château de sable di Pierre Oscar Lévy (disegnata da Frederik Peeters).
Quindi sembra che al regista, che nel film si ritaglia come sempre un cameo, qui più sostanzioso di altre volte, interessasse solo fare un piccolo film di genere, un fanta/horror/thriller complottista (agiterà molti no-vax), con personaggi che scivolano a tratti nel macchiettistico, al quale ha nuociuto l'assenza dell'indubbiamente geniale produttore Jason Bloom, che era dietro tutte le sue ultime produzioni di successo, cui si ascriveva la sua rinascita artistica dopo gli insuccessi abissali di L'ultimo dominatore dell'aria e After Earth.
Ma qualcosa è andato storto e non stiamo a stigmatizzare su dettagli contraddittori nella trama o sulla cattiva scelta di qualche attore, quanto all'età che deve avere nella narrazione (se vuoi un cinquantenne, perché ingaggi un attore che ha dieci anni di meno e si vede?) e ormai in certi film è inutile polemizzare su quanto tempo gente non addestrata riesca a tenere il fiato sott'acqua. O sulla musica inutilmente enfatica di Trevor Gureckis, che in alcune occasioni davvero fa a pugni con la narrazione.
Questi sono dettagli su cui si tende a sorvolare, se si è soddisfatti del risultato finale. Qui così non è e alla fine Old sembra solo un episodio stile Ai confini della realtà, ma di quelli meno riusciti.