Onimusha: Warlords - recensione
Il ritorno della minaccia Genma e di un grande classico di casa Capcom, finalmente con supporto ai comandi analogici.
Con la saga Resident Evil nel pieno della sua - nuova - fioritura, è probabile che molti fan, vecchi e nuovi, abbiamo colto al volo l'occasione offerta dall'uscita di Resident Evil 2 Remake e degli sconti di Natale e gennaio per recuperare i titoli originali della saga.
È anche probabile che, tra queste persone, alcune abbiano messo dentro il loro carrello Onimusha: Warlords, un gioco realizzato dalla stessa azienda e dal nome senza dubbio familiare ma che non hanno mai avuto modo di provare in prima persona per motivi anagrafici o che, giocato ai tempi della sua uscita nel 2001, ha lasciato loro ricordi ormai nebulosi.
Non ci si dovrebbe stupire se queste persone, insieme a molte altre, siano quindi rimaste confuse davanti a Onimusha: Warlords, notandone le numerosissime somiglianze stilistiche e strutturali con la celebre saga horror di casa Capcom.
Onimusha: Warlords è il capostipite di una IP del tutto autonoma per ambientazioni e tematiche rispetto a Resident Evil, ma l'ombra del fratello maggiore ha influito molto nella sua creazione, tanto nel bene quanto nel male: menu, enigmi ambientali, gestione delle inquadrature, persino alcune scelte di level design strizzano pesantemente l'occhio al sempreverde universo post-apocalisse zombie, ma calando il tutto in un contesto fantastorico di Giappone feudale.
Niente non-morti e (quasi) nessuna arma da fuoco: il samurai Samanosuke Akechi giunge al castello Inabayama in aiuto della Principessa Yuki, la quale gli ha inviato una richiesta di aiuto per via degli eventi inquietanti che hanno luogo ormai da tempo tra le mura del maniero.
Il problema è purtroppo assai più grave di quanto Samanosuke e Yuki possano pensare: ucciso durante una battaglia, il condottiero Nobunaga Oda ha forgiato un patto con le schiere demoniache, perdendo la propria umanità e aprendo la strada a un'invasione paranormale che non ha nulla da invidiare al disastro scatenato dall'Umbrella Corporation a Raccoon City.
Ferito gravemente, Samanosuke vede rapita la principessa davanti ai suoi occhi, senza che possa far niente per impedirlo... questo finchè gli Oni, entità ostili ai demoni, si offrono di aiutare il samurai nella sua missione di salvataggio, fornendogli un potente e magico artefatto in grado di ferire le creature malvagie e assorbirne le anime.
Con il termine souls-like ormai diventato più un meme che un sottogenere videoludico, molti tra i più giovani giocatori troveranno similitudini fra Onimusha: Warlords e l'IP di From Software: creature dalle fogge più varie si parano infatti davanti all'indomito protagonista, che armato di katana e Guanto Oni si fa strada attraverso l'orda, assorbendone le anime per potenziarsi e affrontando un enorme boss dopo l'altro.
In effetti non mancano le meccaniche di schivata, parata e contrattacco (in questo caso più un colpo critico ottenibile reagendo ai movimenti nemici al momento giusto) ma, battute a parte, Onimusha: Warlords rimane un titolo ibrido, sperimentale, che pur con i suoi molti limiti ha portato avanti delle scelte ardite ed efficaci: un curioso incrocio tra un horror, un action con elementi GDR e un puzzle game, con una spruzzatina di meccaniche picchiaduro nel sistema di combattimento.
Il più grande merito della recente versione rimasterizzata è la compatibilità con i comandi analogici del controller: l'originale Onimusha: Warlords, infatti, prevedeva il movimento del personaggio solo tramite croce direzionale e questo limite è stato fonte di non poca frustrazione nei momenti in cui il giocatore fronteggiava nemici veloci o gruppi numerosi. È ancora possibile utilizzare indistintamente levetta o pulsanti (e alcune mosse, come il calcio stordente, si possono effettuare solo tramite questi ultimi) ma salvo situazioni di gioco particolari o un attacco acuto di nostalgia masochistica, l'intera esperienza di gioco risulta infinitamente più piacevole grazie al nuovo input binding.
Onimusha: Warlords eredita da Resident Evil anche alcuni tipi di enigma ambientale, per quanto basilari e spesso opzionali, ma focalizza l'attenzione sui combattimenti all'arma bianca. Samanosuke ha a disposizione un discreto arsenale di lame, armi per gli attacchi a distanza e attacchi magici, diversi in base al globo elementale equipaggiato sul Guanto Oni.
La varietà dei nemici non è altissima e spesso la gestione delle inquadrature causa punti ciechi tanto fastidiosi quanto pericolosi; il gioco è infatti discretamente punitivo anche al livello di difficoltà standard e Capcom ha deciso di non semplificare la vita alle nuove leve inserendo sistemi di checkpoint automatici. Il salvataggio dei progressi del giocatore era e rimane manuale, limitato agli altari Oni sparsi per la mappa.
Purtroppo o per fortuna, la durata media di una campagna non supera le sei ore, a meno di puntare a un assoluto completismo. Sono presenti alcuni livelli opzionali e un'arma "segreta", utile ma non necessaria alla vittoria della battaglia finale. Onimusha: Warlords gode comunque di una buona rigiocabiltà, grazie a un livello di difficoltà selezionabile. Inutile precisare che, proprio come in Resident Evil, per ottenere una buona valutazione alla fine della storia sarà importante usare poche cure, salvare raramente e muoversi in fretta tra una stanza e l'altra.
Oltre al già citato sistema di comandi analogico e all'ovvia rimasterizzazione di modelli poligonali e fondali prerenderizzati, questa versione di Onimusha: Warlords gode di un adattamento italiano di menu e sottotitoli, voci selezionabili tra giapponese e (l'atroce) inglese e, ultimi ma non meno importanti, possibilità di giocare il un formato schermo 16:9 e supporto agli achievement / trofei dei software moderni. Il framerate del titolo rimane - ovviamente - stabilissimo per tutta la durata dell'esperienza, mentre si sarebbe potuto fare un lavoro migliore sui fondali, troppo "pixellosi" rispetto ai nuovi modelli poligonali.
Onimusha: Warlords è un gioco invecchiato male sotto quasi ogni punto di vista, ma riportato alla vita da Capcom grazie a piccoli, intelligenti ammodernamenti. Il concept alla base non urla all'originalità oggi come non lo fece 18 anni fa, eppure il risultato complessivo era e rimane intrigante e, pure con tutti i suoi oggettivi problemi, l'esperienza finale soddisfa e fa sempre venir voglia di un'altra partita.