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Out There: Oceans of Time Recensione, una peregrinazione nello spazio desolato

La natura è il vero nemico.

Era il 2014 quando il Mi-Clos Studio lanciava il primo Out There, gioco sci-fi che ha portato su Android e iOS l’avventura interstellare che ha affascinato mezzo milione di videogiocatrici e videogiocatori. Otto anni e qualche spin-off dopo, lo studio francese torna con un sequel diretto del primo titolo, ovvero Out There: Oceans of Time.

Non è semplice inserire Out There: Oceans of Time (così come i suoi predecessori) in una categoria ben precisa, poiché il gioco fonde elementi di esplorazione interplanetaria conditi da una cornice narrativa a fasi gestionali dalla forte componente survival, inframezzando il tutto con delle sessioni più di matrice roguelike.

Dopo il successo del primo titolo Mi-Clos Studio ha scelto di alzare l’asticella assoldando dei professionisti di tutto rispetto, tra new entry e nomi già noti. In Oceans of Time ritorna il compositore del primo gioco, Siddharta Barnhoorn, mentre esordiscono in questo titolo della saga Benjamin Carré (Alone in the Dark, Transformers: Age of Extinction) come illustratore e persino Christos Gage, lo sceneggiatore dell’adattamento Netflix di Daredevil e del videogioco Marvel’s Spider-Man, ai dialoghi. Carne al fuoco ce n’è in abbondanza ma riuscirà a soddisfare il palato degli affezionatissimi fan di Out There?

Nei primi istanti di gioco ci ritroviamo catapultati in un futuro in cui il Sole si è spento costringendo gli esseri umani a migrare su delle arche orbitanti. Molteplici forme di vita aliena ora affollano l’universo, tra cui delle divinità cubiche che lo controllano e regolano. Ma l’Arconte, un malvagio semi-dio, è determinato a sovvertire l’ordine cosmico e conquistare le civiltà sparse per lo spazio.

Durante l’esplorazione dei pianeti potremo muoverci di pochi passi, rivelando di volta in volta una porzione più ampia del livello.

È in questo scenario che ha inizio l’avventura di Nyx e Sergeï, due umani che subiscono in prima persona un attacco dell’Arconte che li costringe ad abbandonare la loro nave spaziale in capsule d’emergenza e in stato di sonno criogenico. Dopo ben 100 anni i due si risvegliano su un pianeta sconosciuto con un solo quesito a tormentarli: come rintracciare e sconfiggere l’Arconte?

Nel tentativo di tornare sui passi dell’accaduto per raccogliere indizi sulla posizione dell’Arconte, aiuteremo Nyx e Sergeï a orientarsi in una mappa cosmica costellata di sistemi solari verso l’obiettivo della storyline principale, esplorando lo spazio siderale in lungo e in largo per portare a termine le missioni che si dischiudono nel corso dell’avventura.

Alle fasi di esplorazione sulla mappa cosmica si alternano momenti di stampo roguelike quando atterriamo su pianeti visitabili. Una volta messo piede sul suolo alieno, la nostra squadra dovrà destreggiarsi per raggiungere un obiettivo variabile a seconda della tipologia di pianeta, come la visita di un villaggio alieno o il reperimento di un particolare tipo di risorsa utile al sostentamento.

Durante le nostre peregrinazioni troveremo una vasta tipologia di navicelle spaziali (che non è raro trovare abbandonate in qualche orbita sperduta) di cui potremo impossessarci alla ricerca di una stiva più grande, che possa contenere un numero superiore di risorse e strumenti tecnologici (indispensabili per accedere ai pianeti più ostili) nonché una maggiore capienza per l’equipaggio, creando spazio per reclutare nuovi membri del team che si uniranno nel corso delle missioni.

Quando esploriamo un pianeta possiamo scegliere un numero limitato di personaggi da portare con noi.

Come in Out There, anche in Oceans of Time i combattimenti sono del tutto assenti: la vera nemica è la natura. Tra spore velenose, terreni ostili, atmosfere irrespirabili e pianure desolate, la sfida più ardua di tutte è sopravvivere.

Data la precarietà della condizione dei protagonisti e dell’intero genere umano, ogni minuto nel mondo di Out There: Oceans of Time è una continua lotta per la vita. Ci sono quattro parametri che dovremo continuamente tener d’occhio: carburante, ossigeno, la resistenza della navicella e il morale dell’equipaggio. Se uno dei primi tre indicatori raggiunge lo zero, il gioco terminerà e sarà necessario iniziare da capo o dall’ultimo salvataggio disponibile.

Per evitare di incorrere in questa situazione, dovremo raccogliere le risorse necessarie alla manutenzione della navicella spaziale nei diversi pianeti in cui si nasconde una specifica tipologia di materiali utili. Per esempio, nei pianeti rocciosi troveremo il ferro utile per risanare la resistenza del nostro veicolo, mentre sarà possibile estrarre elio e idrogeno dai pianeti gassosi per aumentare le scorte di carburante.

All’interno dell’avventura capiterà di imbattersi anche in pianeti civilizzati, dove la natura incontaminata è stata domata da arcane specie aliene che potranno rivelarsi di vitale aiuto nelle nostre avventure. C’è però un “piccolo” problema: non parlano che la loro incomprensibile lingua.

All’interno della nostra navicella spaziale sceglieremo quali risorse portare con noi e quali utilizzare per ripristinare i parametri fondamentali per la sopravvivenza o strumenti tecnologici rotti.

E se non abbiamo nella squadra un personaggio originario di quel pianeta o uno xenolinguista, predisposto all’interpretazione degli idiomi alieni, sarà pressoché impossibile decifrare i dialoghi. E in tal caso dovremo affidarci alla fortuna per scegliere l’opzione corretta, sperando di non indispettire troppo il nostro interlocutore.

Nelle nostre peregrinazioni astrali capiterà di imbatterci in delle sporadiche stazioni di stoccaggio che ci consentono di salvare i progressi. E ne avremo un gran bisogno, considerando cosa comporta muoversi ripetutamente da una parte all’altra del cosmo…

Per compiere ogni azione è necessario consumare risorse a nostra disposizione. Quindi per progredire verso ogni sistema solare (e di conseguenza verso l’obiettivo della storia) avremo bisogno di un quantitativo di carburante, ossigeno e resistenza variabile a seconda della sua distanza dalla nostra posizione. Ma ciò che troveremo al suo interno è una sorpresa.

Immaginiamo di essere a corto di carburante e di avere a tutti i costi bisogno di trovare un pianeta gassoso. Entriamo in un primo sistema solare, dove però ci sono solo pianeti rocciosi, poi in un altro contenente unicamente pianeti alberati… ed è game over in un batter d’occhio.

Quale scelta sarà la migliore per la crew della nostra navicella spaziale?

Come nella prima iterazione della serie, la fortuna ricopre un ruolo fondamentale all’interno di Out There: Oceans of Time. Oltre alla casualità con la quale sono generati i pianeti, ritroviamo una buona dose di randomicità anche nel comparto narrativo.

Lo storytelling del gioco si snoda principalmente in lunghi inserti testuali che non possono non ricordare le parole di un Dungeon Master quando descrive una scena nel corso di una sessione di Dungeons & Dragons, oppure un’avventura testuale della vecchia scuola. Grazie alle scelte multiple c’è una buona dose di interattività, in cui però il caso ha un grande impatto.

Mentre siamo sulla mappa cosmica, di tanto in tanto ci imbattiamo in dei pop-up testuali che ci pongono davanti a dei bivi. Scegliendo alcune risposte possiamo guadagnare utili oggetti o persino varcare dei misteriosi passaggi che teletrasportano la navicella in un altro segmento di spazio. In altri casi, il gioco non avrà pietà: anche se saremo convinti di aver compiuto la scelta più plausibile per il nostro equipaggio, rischieremo di perdere un’ingente quantità di risorse preziose (prima tra tutte il carburante) o punti vita.

Quel che ne consegue è che il game over è sempre dietro l’angolo e la scarsità di punti di salvataggio rende l’esperienza di gioco spesso ripetitiva o frustrante similmente ai precedenti capitoli di Out There, come la community ha spesso rimproverato al Mi-Clos Studio. Ma cosa ha imparato la casa di produzione francese dal primo titolo del 2014?

Nella maggior parte delle sequenze dialogiche vediamo i modelli tridimensionali dei membri del nostro equipaggio o delle creature aliene con le quali avremo a che fare.

L’impianto del gioco è rimasto il medesimo, rinnovando la formula che la fanbase di Out There tanto apprezza, ma l’interfaccia grafica è notevolmente migliorata. Si abbandona lo stile cartoon (a tratti incongruente con l’ambientazione e i toni del gioco) a favore di una grafica più squisitamente fantascientifica costellata da sequenze animate e completata da una buona colonna sonora, che riesce a farci immergere al meglio nelle atmosfere sci-fi del vasto universo. Nel complesso, tuttavia, il gioco mantiene una vena retrò (specie nei modelli 3D dei personaggi) che ricorda più un gioco di altri tempi che un’uscita del 2022.

Out There: Oceans of Time è un gioco difficile da digerire per chi non sia avvezzo al genere e richiede un certo impegno per evitare di dover ricominciare da capo la partita. È consigliato ai fan dei precedenti titoli della serie, che di certo non rimarranno delusi dalla grande mole di contenuti al suo interno.

7 / 10