Outer Wilds - recensione
Misteri e meraviglie di un Sistema Solare.
Mobius Digital è uno studio che dal 2013 spinge verso lo sperimentalismo e la creazione di prodotti particolari e tendenti all'assurdo. Finalmente propone un lavoro che in questo riesce benissimo.
Non è un caso che Annapurna Interactive (già publisher di Ashen, Flower e What Remains of Edith Finch) abbia sostenuto quello che, in origine, era un progetto universitario di Alex Beachum, poi sviluppatosi in qualcosa di più sotto il vessillo del Team Outer Wilds. Come insegna Portal: mai diffidare dei lavori nati dal basso.
Il prototipo nel 2015 vinse il Seumas McNally Grand Prize (in gara con Shovel Knight e The Talos Principle) all'Independent Games Festival. Lo stesso premio vinto recentemente da Return of the Obra Dinn, di un designer sopra le righe come Lucas Pope.
Chi bazzica l'ambiente Indie, già da questi dati starà fremendo... e frema pure! Outer Wilds è un gioco di esplorazione spaziale a dir poco incredibile per inventività, atmosfera e realizzazione tecnica. Dalla fisica alla storia, tutto è curato con dovizia, e l'esplorazione aperta ci permette di visitare liberamente un Sistema Solare intero, che è stato pensato in ogni suo equilibrio, persino gravitazionale.
Ovviamente, poiché siamo in ambito Indie, non ci riferiamo a grandezze quantitative del calibro di No Man's Sky, nonostante ci sia molto - tolto l'action e l'elemento GDR - del Mass Effect delle origini, con i suoi misteriosi artefatti Prothean. Il gioco non è procedurale ma riesce ad essere mutevole per via delle caratteristiche originali e varie dei pianeti di riferimento: quattro rocciosi, un gigante gassoso, oltre a diversi satelliti (con la loro atipica storia) accompagnati da stazioni orbitali e altri fenomeni stellari. Abbastanza da assicurare circa venti ore di gioco, a seconda della propria sveltezza.
Outer Wilds racconta di un gruppo di coloni spaziali, i quali partendo da Cuore Legnoso (Timber Hearth) vivono per il gusto romantico della scoperta. Musica acustica, aceri e marshmallow sul fuoco, accanto a navette pronte a lasciare l'atmosfera, sì... ma da improvvisate plance di lancio infiammabili!
Certo, i misteri archeologici hanno la loro parte e spiccano i reperti del misterioso popolo alieno dei Nomai, antecedenti i nostri amici "campagnoli" nella missione di svelare i misteri dell'universo. Cieli tersi e stelle infinite sopra di noi, lune in perfetta danza lungo le orbite, fanno da contorno ai segreti del cosmo.
Il nostro eroe è l'ultimo degli astronauti a lasciar casa, e dovrà cercare i propri compagni. È buona norma per un esploratore portare con sé uno strumento musicale. Che sia un banjo, un tamburo o un sassofono, grazie al Segnaloscopio (un amplificatore di suoni) i nascondigli degli altri spazionauti saranno localizzabili. Uno di questi, però, s'è smarrito, la sua armonica riecheggia nel Sistema Solare, melanconica come un requiem, senza indicare una posizione precisa.
Chi ama la fantascienza e l'esplorazione spaziale, riconoscerà qualche tocco autoriali del grande cinema, specialmente quello di ascendenza clarkiana (2001 Odissea nello Spazio, Interstellar) o alla Ted Chiang (Arrival), anche se la grafica ha una confezione che sa di Space-Opera.
Di "sense of wonder", tipico dell'età d'oro della fantascienza, ce n'è a bizzeffe, e non passa un secondo senza che una folata di vento, una goccia sul casco o un lapillo meteorico attirino la nostra attenzione. Un viaggio che sembra una passeggiata notturna, dopo un campeggio sul finire del pomeriggio... ma non per questo manca l'adrenalina. Chi erano i Nomai? Dove sono gli altri esploratori? Questi e altri i motivi per partire da Cuore Legnoso, verso terre 'uncharted' e apocalittiche.
Si viaggia con la navetta, si atterra, si esplora, si tenta poi una nuova spedizione con le nuove informazioni: è questo il flusso di gioco. Per qualche ragione (evitiamo lo spoiler), le spedizioni del nostro protagonista dureranno (sopravvivendo) venti minuti alla volta. Ci troviamo di fronte ad un simulatore spaziale, vasto ma dosato, con parecchio da leggere e dove ogni pianeta è un enigma a sé stante. Le minacce sono quelle della natura. L'impazienza non paga: un atterraggio sfortunato può compromettere un viaggio intero.
C'è spazio anche per il freddo fascino scientifico. L'interpretazione (fantasiosa) della meccanica quantistica, per esempio, regala vere e proprie sorprese di gameplay. Ogni pianeta ha la propria gravità, che influirà sulla potenza dei propulsori e su ogni oggetto attratto. La velocità della navetta spaziale dovrà essere regolata con la velocità dell'oggetto di riferimento, se non si vorranno tentare atterraggi disperati o schiantarsi, per un non previsto effetto fionda, contro il Sole. A ciò si sommano espedienti da Platform più che collaudati, come pietre gravitazionali per garantire il passaggio sicuro lungo pareti verticali o altre superfici complesse.
Interessante l'utilizzo delle sonde, strumenti d'avanscoperta per fotografare anfratti all'apparenza imperscrutabili, oppure per tenere gli ostacoli nei paraggi sempre sott'occhio. La raccolta di informazioni è essenziale: difatti il salvataggio automatico ha grande cura di memorizzare ogni scoperta, così che alle volte, una spedizione mirata al completamento di una singola rovina antica, o una partita rapidissima, può comunque dare i suoi frutti.
L'elemento Open è regolato (e reso meno disorientante) da una mappa concettuale (il computer di bordo), che evidenzierà gli indizi trovati da pianeta in pianeta, oltre alle zone esplorate in maniera distratta. In più fornirà qualche consiglio per superare sezioni all'apparenza insormontabili. L'UI è molto dettagliata, e tra le varie informazioni evidenzia i vettori direzionali che spingeranno la nostra astronave, oppure il nostro personaggio munito di jetpack.
L'ossigeno e il carburante per i propulsori sono sempre sott'occhio, come è sempre sott'occhio la mappa di ogni mondo raggiunto, che molto comodamente indica i poli. La navetta è invece un punto abbastanza sicuro, salvo piroette troppo spericolate che danneggino il reattore: qui sarà possibile ricaricare le suddette risorse, da cercare altrimenti nella flora locale o nelle rare bombole sparse nelle croste planetarie.
Outer Wilds offre il massimo giocando con il Pad, altrimenti la curva di difficoltà per controllare al meglio il proprio personaggio diventa sensibilmente più alta. Le soddisfazioni, dopo aver afferrato la fisica del gioco (molto rifinita), sono grandi. Non ci sono armi da fuoco: a darci una marcia in più sono quasi sempre le informazioni e l'autocontrollo, anche se è possibile interagire con l'ambiente e le apparecchiature. Chiaramente, per tutte le ragioni espresse su, questo gioco è vivamente consigliato agli appassionati di fantascienza, di avventure grafiche di stampo moderno e di giochi d'esplorazione action-adventure (con un pizzico di platform puro).
Visuale in prima persona. Grafica low poly, ma talmente ricca di oggetti da osservare, oltre al dinamismo di ombre, luci e scenari, che l'esito è infine solidissimo, pur con qualche sbavatura. La colonna sonora è rilassante, sempre in linea con l'ambientazione. Appare in momenti clou, alle volte come suono d'ambiente molto sottile; tolta la continua orchestra degli altri esploratori, che riproducono il bellissimo Main Theme, purtroppo non resta impressa, ma fa dignitosamente il suo lavoro. Ottima la traduzione in italiano. La continuità degli ambienti e l'unitarietà dei mondi (effetto Mario Galaxy) è una scelta visivamente imponente, che rende ogni atterraggio diverso.
Dopo questo fiume di note positive, mettiamo in guardia sui ritmi del gameplay. Lanciarsi sui vari planetoidi con famelicità (e la tentazione è tanta) porterà ad un eccesso e a una varietà di effetti scenici che, quando poi si dovrà rallentare per risolvere i misteri, il rischio è un contraccolpo d'anti-climax. Un caso è il pianeta Vuoto Fragile, in cui per la sua situazione precaria è facile compiere spedizioni vane e fallimentari, sacrificando minuti e minuti di gioco. Un altro rischio è la sensazione di rigiocabilità limitata... La sorpresa e la curiosità hanno davvero un ruolo chiave nell'esperienza complessiva: tutto è fantastico, finché non ci si abitua.
In questi casi, se non si è in un'ottica d'avventura grafica, tornare sui propri passi - con un viaggio spaziale in mezzo - può essere frustrante. Fortunatamente sono sempre molte le vie da intraprendere, ed è possibile lasciare un pianeta al suo moto di rotazione, per tornare più carichi in seguito. Il modo in cui si muove il personaggio è inoltre un divertimento a sé, considerando quanto detto a proposito della gravità e del controllo dei propulsori: se non si ha il gusto per la camminata da Neil Armstrong, però, qualche fase del viaggio può risultare faticosa.
Spiace anche la mancanza di creature (ma non sono completamente assenti), al di là di qualche NPC, che rendano più vivaci boschi e praterie. Una carenza comprensibile, visto lo sforzo profuso nel resto. Il Sistema Solare di riferimento è solitario, fa parte della magia. Ma, guardando al futuro, è su questo che magari sarebbe il caso di lavorare, oltre al supporto VR (il rischio di motion-sickness sarebbe ancora alto) e l'introduzione di qualche sistema di checkpoint una volta approdati su un mondo. Dopo aver vagato per un po' con la navetta, resta il desiderio di esplorare un altro Sistema Solare progettato alla stessa maniera.
Detto ciò, considerando che il padre di Mobius Digital è niente poco di meno che Masi Oka (Hiro Nakamura nella serie Heroes), non resta che citare: «Yatta!» Gran bel lavoro. Un prodotto artistico è fatto di fantasia, e qui ce n'è così tanta da stupire, insieme a stile e consapevolezza.
Nel suo piccolo, riesce dove molti Space-Sim tripla A hanno fallito e ha tutte le carte in regola per diventare un cult. Outer Wilds era in Alpha dal 2015, ma i risultati finali si vedono, grazie anche a una piccola spinta data dal Kickstarter. Lo trovate su Xbox One e in esclusiva temporanea su Epic Store. Raggiungerà in futuro anche Steam.