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Outside the Wire - recensione

L'intelligenza artificiale è più umana.

Siamo nel 2036, in una zona di guerra che si è creata in imprecisati paesi dell'Est lungo il confine russo (c'è ancora di mezzo l'Ucraina). Non stupisce l'ambientazione nei Balcani e zone limitrofe al confine russo, in quanto area storicamente infida, dove fra ex militari e trafficanti di ogni genere circolano ancora un sacco di armi nucleari.

Mentre gli eserciti e le varie fazioni si scannano a vicenda, la popolazione civile subisce la nota sorte del vaso di coccio. A "fare da cuscinetto", per scopi umanitari, ci sono corpi speciali americani (e già qui viene un po' da ridere, tristemente). L'Esercito, a supporto dei soldati, impiega sul campo dei robot, macchine munite di I.A. elementare, semplici armi anche se potentissime al servizio degli umani, vulnerabili e sacrificabili.

Mackie con un endoscheletro molto chic.

Intanto nel deserto del Nevada, dal solito posteggio di anonimi container, i piloti dei droni dall'alto dei cieli fanno il danno maggiore senza sporcarsi le mani. Uno di loro, l'arrogante Tenente Harp, con un carnet di stragi da medaglia d'oro, vittima del complesso di Dio, crede di poter decidere da solo chi deve morire, senza conteggiare i danni collaterali, per lui serenamente trascurabili. Ma esagera e invece che in corte marziale, finisce in quella zona di guerra, a disposizione di Leo, un misterioso, temuto super-soldato.

Harp scopre presto che Leo è un cyborg di ultimissima generazione, tanto evoluto da essersi liberato delle note leggi di Asimov, con la costruzione di un libero arbitrio, una coscienza insomma, che lo autorizza a decidere in prima persona quale fine giustifichi quali mezzi. Nella caccia al solito terrorista pazzo, che vuole mettere le mani sul solito deposito di missili nucleari abbandonati, Harp prenderà atto che il mondo fuori dal container è ben diverso. Si spaventerà moltissimo, si sporcherà le mani, vedrà in faccia la morte e si renderà conto di quello che provocava, muovendo il suo joystick.

Anthony Mackie, il Falcon di Avengers, mette il suo fisico al servizio del personaggio, non molto altro gli viene richiesto. Poco espressivo Damson Idris, il co-protagonista "umano", visto nella serie Snowfall, ma non molto notato. L'eroica ragazza della Resistenza locale è Emily Beecham (Into the Badlands, The Village). Michael Kelly, che abbiamo imparato a riconoscere da House of Cards in poi, è il Colonnello che deve vedersela con i suoi caratteriali sottoposti, umani o meno che siano. Verso la fine compare Pilou Asbæk, che fa il cattivo e cosa aspettarsi da uno che in Game of Thrones lo era anche di più. Outside the Wire è scritto da Rowan Athale (non abbiamo visto i suoi film precedenti) e Rob Yescombe (una carriera nei videogame). Dirige lo svedese Mikael Hæfström, dai professionali precedenti (Evil, Derailed, 1408, Shanghai, alcuni episodi di Bloodline).

Harp e Leo, stessa pelle anima diversa.

Non si pensi alla serie di film inaugurata con Universal Soldier, con il seguito di altri film del genere con Van Damme. Nel suo percorso Outside the Wire si avvicina di più ai replicanti di Westworld o ai protagonisti della serie Humans, per non parlare dei replicanti più tormentati di sempre, quelli di Blade Runner. Ma questi paragoni nobiliterebbero una materia che alla fine nobile non riesce ad essere, per carenze di scrittura. Nel film c'è qualche scena di combattimento efficace, pur nel montaggio molto spezzettato, che punta sui super-poteri del potentissimo Leo e i soldati-robot sono plausibili, rispetto a quanto vediamo nei filmatini che girano su internet, cani compresi. Ma ci sono momenti di didascalica retorica davvero imbarazzanti, oggi proprio fastidiosi.

Outside the Wire è un film che vorrebbe rendere più intrigante un'abusata trama action, cioè l'individuazione e la neutralizzazione delle solite armi nucleari che devasterebbero il mondo, finendo in mani sbagliate, contaminandola con il tema dell'intelligenza artificiale che, se troppo intelligente, diventa più umana dell'umano e quindi in grado di scelte più morali, di soffrire e di sacrificarsi per un bene superiore. Molto dichiarato, poco pervenuto. Alla fine il Tenente umano riceverà una lezione memorabile, che lo farà riflettere per sempre sul tema dei "danni collaterali". Questa sua evoluzione dovrebbe giustificare la conclusione della storia.

Ma se un film si chiude sull'affermazione che la razza umana è capace di migliorarsi, senza dover passare per l'estinzione, mai come oggi pensiamo che non sia una cosa seria.