Paris Games Week 2017: Detroit Become Human - prova
La prova di maturità di Quantic Dream.
Detroit: Become Human è un gioco che viene da lontano. Correvano infatti gli anni '50 quando lo scrittore Isaac Asimov immaginava un futuro dove i robot, costruiti per proteggere e servire gli uomini, finivano per fare tutt'altro nonostante quelle tre leggi della robotica che, settant'anni dopo, stanno tornando d'attualità alla luce dell'improvviso sviluppo delle intelligenze artificiali.
Senza alcuna pretesa di esaustività, sposteremmo le lancette del nostro orologio al 1982, data di uscita di Blade Runner, leggendario film nel quali gli androidi, i moderni schiavi del futuro, si ribellavano ai loro padroni in cerca di una emancipazione che li portasse ad avere pari opportunità rispetto agli umani. O se non altro, una vita dalla durata analoga.
Arriviamo così al 2012, quando Davide Cage stupì il mondo con Kara, una tech demo in cui Quantic Dream mostrò non solo la propria bravura a livello tecnologico ma anche la propria capacità di toccare corde emotive nella coscienza dei videogiocatori.
Giungiamo così ad oggi, giornata in cui abbiamo avuto modo di toccare con mano l'attesissimo Detroit: Become Human in una saletta privata di un hotel parigino, durante un evento stampa che Sony ha scaltramente collegato alla Paris Games Week per riportare l'attenzione del pubblico sulla sua console nei giorni imminenti il lancio della rivale Xbox One X. Ma come avrete avuto modo di leggere finora, e come leggerete nei prossimo giorni, Sony ne ha ben donde, visto che di qui ai prossimi mesi esibirà un catalogo di esclusive davvero impressionante.
Tornando a noi, però, è giunto il momento di focalizzarci sulle due demo che abbiamo avuto modo di provare qui a Parigi. E c'è da dire subito che in entrambi i casi ne siamo usciti con la voglia di mettere al più presto le nostre mani su un codice recensibile del gioco, per il quale però dovremo ancora pazientare qualche mese.
La sequenza che abbiamo potuto giocare è stata quella già vista in video all'E3 del 2016 e giocabile quest'anno al Tokyo Games Show. In essa vestiamo i panni di Connor, un androide mandato a negoziare il rilascio di una bambina di nome Emma, rapita da un altro androide di nome Daniel.
Appena entrati in casa, capiamo subito che la situazione è critica: la bambina è in braccio al suo rapitore che la tiene in ostaggio stando in bilico sul cornicione. Un solo sparo della polizia, questa la sua minaccia, e mi lascio cadere nel vuoto uccidendo Emma.
Ma i problemi non sono solo questi: il primo poliziotto ad accorrere è stato ucciso dall'androide, che ha anche freddato il padre della rapita. E la madre della bambina, mentre viene trascinata a braccia dalla Polizia fuori dell'appartamento, manifesta tutto il suo sdegno nello scoprire che noi siamo degli androidi. Il nostro primo obiettivo è scoprire cosa sia successo e perché, ma un indicatore ci segnala che al momento abbiamo solo il 48% di possibilità di giungere con successo alla liberazione dell'ostaggio.
Per aumentare le nostre chance dovremo guardarci attorno, studiare gli indizi e capire i moventi di Daniel. Gli indizi disseminati per l'appartamento sono molteplici: alcuni paiono apparentemente insignificanti, come un pesce rosso che possiamo salvare, altri invece sono fondamentali, come la pistola che ha freddato il poliziotto o il tablet volato di mano dal padre al momento del suo assassinio. In alcuni casi le nostre indagini ci porteranno ad analizzare da vicino alcuni dettagli o i corpi delle persone coinvolte nella sparatoria e, una volta individuati tutti gli indizi, potremo ricostruire virtualmente la scena del crimine così come accade nei giochi della serie Batman di Rocksteady.
Verrebbe allora da pensare che Detroit non sia un gioco così difficile: se a ogni indizio trovato aumentano le nostre chance di successo, basta passare le location al pettine per presentarsi al confronto finale con le massime possibilità di successo. Ma alcuni indizi non sono immediati da reperire e soprattutto, non abbiamo mai a disposizione tutto il tempo che vogliamo.
Daniel inoltre è armato e nel frattempo ferisce gravemente altri poliziotti. Se a questo aggiungiamo un'azzeccatissima e incalzante colonna sonora, si spiega la ragione per cui nella prima demo ci siamo presentati davanti a Daniel col 68% di possibilità di successo. Che però ci è stato sufficiente a portare a termine la nostra trattativa.
Senza volervi rovinare il gusto di scoprirla da soli, la chiave è stata empatizzare (per quanto possibile) con l'androide, rassicurarlo e fargli qualche concessione restando comunque fermi sulle proprie posizioni. Ma senza eccedere. E poi gli androidi immaginati in Detroit hanno sulla tempia un circoletto che variando dal rosso all'azzurro, ne indica lo stato emotivo. Usare L1 per inquadrare la scena da vicino è vivamente consigliato.
Nonostante l'esito apparentemente felice della missione, gli ultimi attimi ci hanno però regalato non poca amarezza, mostrandoci ancora una volta la bravura di David Cage che nello spazio di una decina di minuti, con una missione peraltro decontestualizzata dal resto del gioco, è riuscito a proiettarci nelle atmosfere di Detroit, a farci empatizzare coi personaggi raffigurati e a provocare in noi emozioni che non immaginavamo al momento di sederci nella nostra postazione.
E non è andata diversamente quando, pochi minuti dopo, abbiamo assistito a una seconda presentazione di Detroit, questa volta a porte chiuse e senza poter provare il gioco di persona. La demo ha ripreso più nel dettaglio quanto mostrato ieri sera nel corso della conferenza stampa di Sony, e cioè la sequenza in cui Kara (sì, proprio lo stesso personaggio della tech demo del 2012) si trova a fare da domestica nella casa di un certo Todd, corpulento omaccione che ha perso il lavoro proprio per colpa degli androidi e che sfoga le sue frustrazioni sull'incolpevole Alice, sua figlia.
La demo iniziale ci suggerisce che è anche dedito al consumo di droghe ma un attimo dopo ci troviamo immersi in un'escalation di violenza domestica durante la quale il padre picchia la figlia, che sale quindi in cameretta piangendo. Todd le intima di scendere, ma vedendo che non accade nulla decide di salire per picchiarla ancora.
In quanto androidi, potremo decidere di non intervenire e assistere passivamente agli abusi del padre sulla figlia. D'altronde, ci ha appena intimato di non muoverci. Oppure potremo decidere di violare le leggi della robotica, infrangere le regole e intervenire. Divenendo però dei "ribelli" a nostra volta. A disposizione avremo due scelte: provare a far ragionare il padre oppure correre direttamente in soccorso di Alice. In quest'ultimo caso, potremo provare a barricarci in camera con la bambina, difenderla o tentare la fuga.
Le variabili in gioco sono anche stavolta molteplici, e in questa missione avremo già incontrato Todd ed esplorato la sua casa. Ecco quindi che potremmo decidere di usare o meno quell'arma trovata in un cassetto, a patto di averla precedentemente scoperta, e dare il via a una serie di eventi che non vi sveleremo per non rovinarvi la sorpresa, ma che potranno condurre a risultati molto diversi tra loro. Potrebbero infatti sopravvivere tutti, in questa missione, oppure potrebbe morire qualcuno, anche la stessa Kara. Il gioco, come abbiamo imparato con Heavy Rain, reagirà di conseguenza e si adatterà alle nostre scelte in tempo reale.
Avremo però a disposizione, alla fine di ogni missione, un diagramma di flusso che ci mostrerà tutte le diramazioni possibili di ogni missione e, a nostra discrezione, potremo decidere di rigiocarla di conseguenza. Quantic Dream invita a non farlo, ad assumersi la responsabilità delle proprie decisioni, ma siamo sicuri che in molti cederanno alla tentazione di un secondo, se non un terzo tentativo.
Come tutti i giochi di David Cage, anche Detroit: Become Human mostra la solita ossessiva attenzione verso il sistema di controllo, che cerca di essere quanto più realistico e immersivo, proponendo le stesse meccaniche di Heavy Rain. Alle volte, però, il risultato è di complicare inutilmente la vita al giocatore, abituato ormai a soluzioni più snelle: perché dover premere L1 e quindi compiere una mezza luna con lo stick destro, quando per interagire con quell'oggetto basterebbe premere X? E poi ci sono alcuni vezzi registici di David Cage, che si traducono nella ricerca spasmodica di un taglio cinematografico che però porta, in alcuni casi, a una telecamera che si concentra troppo sui protagonisti mandando fuori fuoco il resto dell'azione.
Sarebbe però sbagliato insistere su questi dettagli di fronte a un gioco che dimostra potenzialità elevatissime. Manca ancora una data di uscita ufficiale per Detroit: Become Human, che almeno sappiamo vedrà la luce nel corso della prossima primavera, ma la sensazione è che si tratterà di un titolo capace di coinvolgerci ed emozionarci come mai accaduto prima. Entrambe le missioni viste qui a Parigi, infatti, sono state capaci di turbarci e in alcuni casi di colpirci con improvvisi pugni allo stomaco. Per quanto sia prematuro sbilanciarsi ora, la sensazione è che per Davide Cage e i Quantic Dream, Detroit possa essere il gioco della consacrazione definitiva, o quanto meno un ritorno in grande stile ai fasti di Heavy Rain, dopo la contrastante parentesi di Beyond: Due Anime.