Perché Yakuza non è un GTA 'in salsa di soia' - editoriale
La filosofia di Nagoshi non potrebbe essere più lontana da quella di Rockstar.
"Se qualcosa può andar male, allora andrà male". La legge di Murphy non lascia scampo, anzi costituisce un assioma d'inattaccabile solidità per i pessimisti. Al contempo chi ha una visione più positiva della vita ricorre ad altri tipi di massime come "Il tempo è galantuomo". Non sappiamo se Toshihiro Nagoshi avesse in mente quest'ultima quando ha partorito l'idea fondante di Yakuza ma una cosa è certa: il trascorrere degli anni è stato più che generoso con il brand di SEGA e forse anche con la compagnia stessa.
Per meglio comprendere da dove siano nate le avventure del Dragone di Dojima, facciamo un passo indietro e torniamo al 2004. Quei dodici mesi hanno rappresentato un periodo florido per l'industria, complice l'uscita di innumerevoli titoli d'alto profilo, da Metal Gear Solid 3 a DragonBall Z: Budokai 3, passando per il sequel di Halo, fino a Tony Hawk's Underground 2. Tra acclamazioni della critica e publisher in festa, c'era anche chi non se la stava passando altrettanto bene. Ci stiamo riferendo a SEGA, al tempo preda di un inesorabile declino cominciato con la prematura fine del Dreamcast.
L'ormai produttore di software per le terze parti versava in condizioni finanziarie tutt'altro che rosee, nonostante la qualità e il coraggio di alcune sue produzioni (basti pensare a Shenmue): pleonastico sottolineare che anche molti dei suoi impiegati si trovassero in uno stato di profonda incertezza. Tra coloro che avrebbero voluto assistere alla risurrezione di SEGA c'era Toshihiro Nagoshi, un creativo che aveva partecipato allo sviluppo di giochi come Shenmue e Daytona USA.
Nagoshi era un tipo da bicchiere mezzo pieno, tra i pochi a vedere una ghiotta possibilità nel creare giochi per i "platform holder", suoi ex competitor. Senza questa visione positiva - e diverse bevute nel quartiere a luci rosse di Tokyo - probabilmente Yakuza non sarebbe mai esistito. Da qui la nascita di Kamurocho, incarnazione virtuale di Kabukicho (il distretto con l'iconica insegna al neon bianca e rossa) e di Kiryu, un uomo eternamente invischiato in situazioni pericolose e più grandi di lui.
Per i temi trattati e la volontà di proporre uno spaccato realistico del mondo criminale giapponese, il veto di SEGA non tardò ad arrivare. Insomma, la primissima battaglia che Kiryu ha dovuto affrontare è stata quella per la sua stessa esistenza, fortemente voluta da un "papà" che in caso di insuccesso avrebbe lasciato la compagnia che tanto amava. Siamo nel 2018, di acqua sotto ai ponti ne è passata da allora, e nel frattempo Nagoshi ha vinto la sua scommessa. Il suo "Come un Drago" (Ryu Ga Gotoku) è entrato di diritto tra le serie più apprezzate dai videogiocatori del Sol Levante e, da qualche tempo, sta riscuotendo un certo successo anche nel prima inavvicinabile Occidente.
Il pubblico americano ed europeo, del resto, ha potuto giocare a ben tre titoli della serie in poco più di un anno, senza contare il remake in Dragon Engine del secondo capitolo a breve in uscita: Kiryu contro Nishiki, divisi dall'ambizione deviata di quest'ultimo, lo scontro con Keiji Shibusawa e tanti altri momenti di soverchiante profondità, sono infine entrati a far parte del background videoludico di molti di noi, con sempre più curiosi in attesa di viverli. Attorno alla saga, questo è altresì vero, ruota tanta confusione, di chi è portato a fare paragoni con il Grand Theft Auto di Rockstar o il Watch Dogs di Ubisoft. Mediante questa disamina cercheremo di spiegare perché tale accostamento sia quasi privo di significato e di come Yakuza abbia stravolto i canoni dell'open world, muovendosi in direzione ostinata e contraria rispetto ai succitati.
Cos'è un'esperienza a mondo aperto senza il mondo aperto? Ubisoft ha fatto del concetto di estensione un vero e proprio cavallo di battaglia e ciò si evince in molte delle sue produzioni: la mappa di Assassin's Creed Origins è enorme e quella di Odyssey lo sarà ancor di più. Imponenti città moderne o vasti deserti gremiti di piramidi sono di sicuro impatto e, nel caso in cui siano stati realizzati con cognizione di causa, possono rappresentare una fonte d'intrattenimento per chi ha a cuore l'esplorazione.
Sin dalla prima ora, Yakuza ha impostato l'offerta ludica in modo diverso, preferendo la densità alla vastità degli scenari. Spesso affiancando un'altra mappa all'onnipresente Kamurocho, ciascun episodio della serie consente di viverne a 360 gradi la vita notturna, tra baretti tipici, locali lussuosi e un'infinita sequela di risse e pestaggi. Mentre si sarà impegnati a passeggiare per le strade, non sarà difficile notare la cura riposta nella realizzazione delle ambientazioni: i fiumi di insegne al neon, capaci di attrarre come falene i cultori del divertimento sfrenato, il continuo viavai di persone e i convenience store aperti fino a tarda notte, daranno la netta impressione di trovarsi in un apparato del grande organismo "vivente" che è la città.
Allo stesso modo, la totale assenza di veicoli utilizzabili non assume i tratti di un'imperdonabile limitazione, ma piuttosto di una preziosa possibilità, per imbattersi in esilaranti sotto trame e visitare i numerosi "interni" disponibili. Laddove sua maestà Grand Theft Auto V ha ridotto l'importanza dei luoghi al chiuso, puntando invece su una splendida ricostruzione di Los Angeles, Kiryu può entrare in palestre, ristoranti, uffici, splendide sale giochi, l'attico della Millennium Tower e chi più ne ha più ne metta.
Prima abbiamo menzionato i pestaggi, altro elemento di spicco per "l'epica Dojimiana". Come fosse una curiosa commistione orientale tra Bud Spencer e Terence Hill, Kiryu picchia, malmena e causa fratture ai malcapitati che osano incrociare le nocche con le sue. Le immancabili esecuzioni contestuali, basate sulla posizione dei nemici e su determinati oggetti, sono la ricompensa finale di lunghi tafferugli, che vedono sovente il Dragone in netta inferiorità numerica. Non stupisce quindi realizzare che le armi abbiano un'importanza marginale all'interno dell'esperienza, in netta opposizione coi violenti scontri a fuoco di GTA e simili.
A tal proposito, arriviamo a toccare un punto cardine della visione di Nagoshi: Kiryu non uccide i civili. Al tempo del debutto di Yakuza, fatta eccezione per zombie e creature sovrannaturali, la violenza nei videogiochi perpetrata ai danni di altri esseri umani veniva mal digerita in Giappone. In realtà, lo stesso Toshihiro non vedeva di buon occhio la possibilità di ammazzare gli innocenti a piacimento, e non solo per una questione "etica". Michael De Santa (fu Townley) e Trevor Philips di GTA V sono due soggetti violenti, affetti da una discreta dose di turbe psichiche. Il fatto che uccidano per il gusto di farlo è lecito, perfettamente coerente con il contesto criminale del gioco. Che dire, invece, di un Aiden Pierce?
L'hacker vigilante di casa Ubisoft è un personaggio tormentato ma, in teoria, assolutamente lontano dall'idea del killer spietato. Peccato che in Watch Dogs ci si possa ritrovare a far strage di civili in ogni momento. Questa non vuole essere una critica ma è quantomeno la prova che un certo livello di dissonanza ludo-narrativa sia effettivamente presente in molti titoli moderni. Ancora una volta, Ryu Ga Gotoku evita di cadere in questi tranelli del libero arbitrio e si mantiene su una posizione coerente con la moralità del suo cuore pulsante: lo stesso Kazuma.
Di quest'individuo profondo e ben caratterizzato riusciamo a conoscere molte sfaccettature, senza mai percepirne una "bipolarità" fuori posto. Il Dragone di Dojima è il cuore d'oro che accudisce i randagi di Kamurocho, il cantante appassionato dei bar karaoke e, allo stesso tempo, colui che dispensa buon senso sotto forma di cazzotti. Questa contraddizione è propria di Kiryu, che si ritrova a procedere in bilico sulla sottile linea che separa la vita civile da quella di ex leggenda della yakuza. Ciò detto, egli non tradisce mai i suoi principi e l'incrollabile filosofia di vita, che lo rende un "criminale buono" unico nel suo genere.
D'altronde, il mondo dipinto da Nagoshi e compagni si fonda proprio sugli ideali dei personaggi, che vanno a condizionare profondamente le vicende narrate. Rockstar ha l'indiscusso merito di aver creato un contesto criminoso inarrivabile, ricamandone i protagonisti (e antagonisti) come pochi altri possono dire d'aver fatto: sgusciati fuori da un immaginario a tratti tarantiniano, essi però fanno capo a un'idea giustamente occidentale di malavita, ben lontana da ciò che troverete in Yakuza.
Senza dilungarci in spiegazioni articolate, basta fare riferimento a quella che è una tradizione della serie: gli epici (e a volte un po' kitsch) scontri con i boss. È consuetudine, infatti, che i dissapori tra le parti in causa si risolvano in singolar tenzone ma senza nobile destriero, armatura lucente e lancia dal manico perlato: dopo essersi liberati delle vesti superiori in modo - fisicamente impossibile, credeteci - Kiryu e l'avversario di turno se le daranno di santa ragione, tra colpi devastanti e momenti oltre il limite dell'esagerazione.
La rimozione delle giacche mette a nudo la filosofia e gli ideali degli intervenuti, che senza più riserve o segreti si confrontano per decidere chi prevarrà. In altre parole, ciascun criminale ha un gigantesco tatuaggio sulla schiena, prova tangibile delle fatiche sostenute e incarnazione delle sue aspirazioni: è questo il caso di Akira Nishikiyama. Il "kyodai" di Kiryu sogna di superare l'amico e rivale, ecco perché sceglie di decorarsi con una carpa. Oltre a essere un simbolo di forza e coraggio, questo pesce è al centro di una leggenda molto interessante, che ne definisce l'importanza per il mondo criminale nipponico: se una carpa dovesse riuscire a nuotare contro corrente nel Fiume Giallo in Cina, superando i "Cancelli del Drago", allora potrebbe trasformarsi in esso.
A questo punto dovrebbe essere limpido come l'acqua che, pur riprendendo diversi elementi da Shenmue, Yakuza sia unico nel suo genere: ecco perché riesce a distinguersi dai mostri sacri di Rockstar Games. La visione di Nagoshi rifiuta i canoni dell'open world occidentale, li stravolge e li propone al giocatore in un modo estremamente peculiare. Quella di Kazuma, di Date e di Majima non è un semplice racconto criminale ma una storia di uomini, spesso costretti a fronteggiare problemi insormontabili e a dover fare la cosa giusta quando farla sembrerebbe impossibile. Yakuza è un'Odissea di tribolazioni e di esse stesse ne è figlio: fortuna che il fato abbia riservato un lieto fine sia per il padre, uomo di grande coraggio, che per la serie.