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Phantaruk - recensione

Un clone mal riuscito.

Che cosa hanno in comune giochi come System Shock 2, Dead Space, Aliens: Isolation e Doom? Ok, sono tutti giochi horror ambientati su navi/basi spaziali distanti ad anni luce dal pianeta Terra, ma la cosa che li accomuna maggiormente è un'altra, ossia l'aver portato, seppur con strade diverse, qualche cosa di nuovo al loro genere di appartenenza.

Doom in primis ci ha insegnato che quando sei nello spazio e qualcosa di brutto accade, quasi sicuramente hai a che fare con alieni cattivi o presenze demoniache. System Shock 2 ha portato la narrazione horror/sci-fi su un altro livello, combinandola con un gameplay pressoché perfetto. Dead Space ha avuto il merito di rinfrescare il genere che all'epoca si era fatto un po' stagnante e infine, anche se l'elenco potrebbe allungarsi, Aliens: Isolation... che dire, da amante della saga cinematografica non posso fare altro che ringraziare The Creative Assembly per aver confezionato un tie-in quasi perfetto di uno dei miei cinque film preferiti di sempre.

Da buon appassionato del genere horror (sci-fi, torture, monster, psychological e via dicendo) non potevo farmi sfuggire l'occasione di recensire Phantaruk, un gioco di cui, lo ammetto, avevo sentito parlare molto poco ma che, dopo una ricerca, mi è sembrato dannatamente promettente.

Sviluppato dall'ennesimo, talentuoso team polacco, Polyslash, Phantaruk è un survival horror che mette il protagonista nell'ennesima situazione difficile: oltre ad essere stato contagiato da un misterioso virus, il nostro eroe si ritrova all'interno di una gigantesca nave spaziale denominata Purity-02, che oltre ad essere in evidente stato di abbandono risulta tutt'altro che rassicurante.

Anche il sistema di inventario non brilla certo per originalità, ma almeno è decisamente semplice da navigare.

Dietro alle tetre atmosfere che ci circonderanno per tutta la durata dell'avventura c'è, non ci crederete, la solita multinazionale senza scrupoli che dietro una facciata rispettabile nasconde propositi tutt'altro che nobili... e dannatamente pericolosi.

Le premesse non sono sicuramente originalissime e attingono a piene mani dalla letteratura/cinematografia fantascientifica classica. Tuttavia, una una delle caratteristiche del protagonista, ovvero la necessità continua di trovare medicine per tenere sotto controllo il suo contagio, rappresenta un punto a favore del gioco. Purtroppo a suo discapito ce ne sono molti altri, che andremo adesso a vedere.

Già dai primi minuti vi accorgerete di una sostanziale differenza tra Phantaruk e altri giochi simili: la totale impossibilità di utilizzare armi. Se in Aliens: Isolation vi siete sentiti quasi indifesi e pensavate che Outlast fosse un incubo per lo stesso motivo, aspettate di muovervi nei bui corridoi della Purity-02.

Ben presto verrete circondati da rumori sinistri alternati a momenti di assoluto silenzio, mentre oscure presenze non tarderanno a manifestarsi. Solo muovendovi con cautela e nascondendovi appena possibile potrete sopravvivere. In questo senso l'obiettivo degli sviluppatori di creare tensione nei giocatori è stato centrato in pieno. Purtroppo altrettanto non si può dire altrettanto della sceneggiatura, non particolarmente curata e appena accennata grazie a rarissime cutscene ed elementi audiovisivi reperibili nel corso dell'avventura.

Di tanto in tanto è consigliabile controllare lo status del contagio, ma state tranquilli... difficilmente avrete problemi a trovare medicine.

Il problema è che proprio la lettura e l'ascolto di questi documenti spezzetta fin troppo il già non eccezionale ritmo dell'avventura, costellata per tutta la sua durata dalla necessità di trovare in giro fiale di antidoto per non passare a miglior vita. Fortunatamente tale ricerca risulta tutt'altro che ardua visto che le siringhe in questione sono reperibili in abbondanza e ciò con cui è possibile interagire è ben evidenziato sullo schermo.

Lo stesso discorso vale per tutti gli altri oggetti che bisogna necessariamente trovare per riuscire a tirar via la pelle intatta e in questo senso Phantaruk ci fa fare un bel salto indietro con tessere magnetiche colorate da usare per aprire le corrispondenti porte e chiavi di vario tipo. Ognuno di questi oggetti ci condurrà un passo più vicino alla salvezza, ma attraverso un level design che definire basilare è il minimo.

In sostanza ci si trova a percorrere una serie di stanze quasi tutte uguali e il gameplay si ripete dall'inizio alla fine con pochissimi colpi di scena, anche se l'atmosfera cupa e opprimente si mantiene su livelli più che discreti. L'immersione nell'orrore avrebbe potuto essere anche migliore se la varietà dei nemici fosse stata sufficiente e la loro I.A. fosse degna di questo nome.

Così non è, purtroppo. La maggior parte dei nemici vi correrà incontro con l'unico obiettivo di farvi fuori e allora l'unica scelta che avrete sarà quella di correre a nascondervi. Fin qui tutto bene, la cosa ha funzionato con Alien: Isolation e con altri titoli prima di esso (Clock Tower su tutti), se non fosse che i vostri avversari riusciranno in più di un'occasione a scovarvi anche quando vi sarete nascosti in tempo in un luogo apparentemente sicurissimo.

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L'indicatore su schermo che segnala quando la nostra presenza viene percepita è utile, ma vi consiglio di non fidarvi troppo di lui perché le reazioni dei nemici saranno spesso imprevedibili e inaspettate. Ho notato inoltre che in più di un'occasione sono stato scoperto più per colpa della visibilità che del rumore fatto negli spostamenti, un vero peccato perché una maggiore attenzione nello sviluppo di questo elemento di gameplay avrebbe dato un risultato finale nettamente migliore.

La realizzazione tecnica di Phantaruk non verrà sicuramente ricordata come una pietra miliare ma fa comunque il suo dovere e il tutto viene mosso con una discreta fluidità dall'ormai collaudato engine Unity. Buono il comparto sonoro, in particolare per quanto riguarda gli effetti che accompagneranno la vostra esplorazione della Purity-02, che soffre però di qualche sporadico (e ingiustificato) abbassamento di volume.

Polyslash ha messo insieme l'ennesimo circo dell'orrore sperando di attirare su di sé l'attenzione dei fan del genere, purtroppo non ha lavorato sufficientemente bene per farcire Phantaruk di quella "magia" che ha reso celebri i titoli citati ad inizio recensione. Non tutto è da buttare, ma quanto di buono è stato messo insieme nei mesi di sviluppo viene letteralmente spazzato via da un gameplay insufficiente ed una longevità decisamente scarsa.

Peccato, ai fanatici dell'horror (me compreso) non resta che affidare le proprie speranze di brividi a titoli come Resident Evil 7, Outlast 2 e i due promettenti indie Allison Road e Routine.

5 / 10