Pinocchio recensione, lontano da Collodi
Una versione edulcorata e innocua di una storia molto raccontata.
Bisognerebbe chiedere quanti sono gli adulti o anche i piccini che amano Pinocchio, non tanto per averlo conosciuto nel romanzo morale scritto nel lontanissimo 1881 dal nostro Carlo Collodi, ma per averlo frequentato nelle varie trasposizioni cinematografiche, teatrali, televisive, che ne sono state fatte in tutti questi anni.
Dipenderà indubbiamente se lo hanno conosciuto attraverso il precedente trattamento che ne aveva tratto proprio Disney, con il cartone animato del 1940, che oggi torna sul tema, con il film in live action e CG diretto da Robert Zemekis, riciclando anche le canzoni originali (più quattro nuove di Alan Silvestri), compresa quella principale che è diventata sigla musicale del logo Disney (quando esprimi un desiderio a una stella, il tuo sogno diventa realtà).
La storia è ben nota. Incontriamo Tom Hanks/Geppetto al massimo livello della sua bonarietà, solitario artigiano in un lindo paesino toscano, che si fabbrica un burattino, per consolarsi della perdita della sua famigliola. Poi percorreremo le tappe ben note. Si inizia con l’arrivo della Fata Turchina che con la sua magia anima il burattino, con la promessa che, se sarà “coraggioso, sincero e altruista e distinguerà il bene dal male”, diventerà un bambino vero. Per aiutarlo nella difficile impresa, gli affianca il Grillo parlante, che farà da voce narrante. Poi vedremo Pinocchio alle prese con il pericoloso mondo esterno, che lo porterà a fare i brutti incontri che sappiamo: il Gatto e la Volpe, il burattinaio Stromboli, il perfido Postiglione. Intanto Geppetto, che non ha mai smesso di cercarlo, veleggia ignaro verso il suo incontro con la gigantesca balena. Come finisce si sa, qui c’è appena una variazione rispetto all’originale.
Quanto alla resa visiva, è tutto molto tradizionale, nessuna particolare innovazione. Il Paese dei balocchi, che si chiama Pleasure Island, è una specie di Las Vegas dove ragazzini capricciosi e ribelli possono finalmente abbuffarsi di dolci, spaccare tutto, rubare e vandalizzare, ignorando il triste destino che li attende. Ma tutto avviene senza forzare la drammaticità della situazione. Ben realizzata la Balena/Mostro e deliziosa la scena in cui suonano all’unisono tutti i cucù di Geppetto, che al posto del solito uccellino hanno tutti i personaggi Disney. Dalla CG ci aspettavamo un po’ di più, specie nel volto del burattino, piuttosto spoglio, da sembrare in attesa di qualche ulteriore texture.
Il Pinocchio originale perde perciò parecchie delle sue caratteristiche, per piacere a tutti, diventando meno divisivo. Perché Pinocchio è un personaggio che non a tutti è piaciuto (alcuni nutrono grande antipatia anche per il Grillo parlante), spesso usato dai grandi per intimorire i piccini (almeno anni fa, oggi non usa più), per scoraggiarli dalla disobbedienza e indurli al rispetto delle regole. Con una vena di rassegnazione di classe che oggi sarebbe mal vista. E la storia edificante poteva essere brandita come un bastone, un po’ come minacciare l’arrivo dell’Uomo Nero (vedi caro piccino cosa ti succede se infrangi le regole, se non fai il Bravo Bambino?). Studia, diceva Collodi, continuavano tutti a dire a Pinocchio, studia e lavora, solo così potrai diventare un vero essere umano e non uno stupido burattino con la testa di legno. Oggi il messaggio del Potere, che preferisce le teste di legno, va in direzione opposta. Chissà se Collodi avrebbe mai pensato di ridiventare così attuale.
Ma qui siamo in territori Disney e quindi non è il caso fare paragoni con nessuna delle trasposizioni precedenti, solo per citare le più famose elenchiamo quella di Roberto Benigni del 2002, e poi quella assai più politicizzata di Matteo Garrone nel 2019. C’è stata anche una versione televisiva con Nino Manfredi nel 1972, da noi passata alla storia. Ma lo hanno frequentato anche tanti altri attori e ben diversi, da Totò a Carmelo Bene, da Danny Kaye a Martin Landau e Bob Hoskins.
Questo Pinocchio non è cattivo, non vuole fare il furbo, non ha malizia, semplicemente non sa come vada il mondo e così si lascia convincere, ingenuamente. In fondo è una vittima, privo degli strumenti per decifrare il mondo (oggi si criticherebbe aspramente Geppetto per averlo mandato in giro da solo). Appena però si rende conto della situazione, cerca pure di rimediare e in fretta. Di conseguenza le sue disavventure non sono troppo dolorose e gli accenni di punizione sono blandi, subito sfumati e senza la crudeltà dell’originale. Tutto infatti è così edulcorato che ci chiede a quale target il film si rivolga.
Zemekis sceglie di mantenere il disegno dei personaggi originali per Pinocchio, il Grillo Parlante, il gatto di casa Figaro, la bellissima pesciolina Cleo (oggi sappiamo che è una carpa koi), e il Gatto e la Volpe. Affida invece agli attori in carne ed ossa Geppetto, la Fata Turchina (Cynthia Erivo), Lucignolo, Stromboli/Mangiafuoco, che a sorpresa è il nostro Giuseppe Battiston, che si doppia anche nell’originale, mentre il demoniaco Postiglione è un irriconoscibile Luke Evans. Si affida alla Volpe l’unica nota morale, con le sue lusinghe sui vantaggi della fama (“solo se sei famoso sarai reale”), con la citazione al volo degli influencer, buttata un po’ lì, che non guasta mai.
Era necessaria questa nuova versione, dopo altre di ben diverso spessore e altalenante qualità (Dumbo, La carica dei 101/Crudelia, Maleficent, Aladdin, Il Re Leone, Mulan, La Bella e la Bestia, Alice, Cenerentola, Il libro della giungla, Lilli e il vagabondo)? Per come è venuta, secondo noi, no. Siamo davanti a un’innocua riproposizione, senza nessuna rilettura appena un po’ più significativa, solo qualche spolverata di un po’ di politically correct, un paio di (irrilevanti) personaggi nuovi e un finalino che vorrebbe far discutere. Attendiamo di vedere cosa farà del personaggio Guillermo Del Toro, il suo film è in uscita su Netflix in dicembre.
Ci resta una speranza: con tutte le volta che Tom Hanks e altri personaggi pronunciano correttamente “Pinocchio” nel corso del film, forse gli americani, quando ordineranno il gelato, impareranno finalmente a dire pistacchio.