I predatori dell'arte perduta - articolo
Alla scoperta dell'illustratore dietro alle copertine dei giochi preferiti della nostra infanzia.
Per prendere in prestito una frase da Mr. Crocodile Dundee: Questo non è uno dei nemici di Galaga.
QUESTO è uno dei nemici di Galaga.
Certo, il primo è quello che vedete nel gioco, ma il secondo è quello che visualizzate nella vostra mente. O almeno lo è se vi siste imbattuti nella sua folgorante illustrazione di copertina. Ma probabilmente non sapete da dove provenga quell'artwork. Qualcuno deve averlo disegnato, ma chi? Senza firma nell'angolo [aggiunta solo nella ristampa in alto], gli artisti che hanno creato queste indimenticabili immagini sono svaniti quasi tutti nell'anonimato. Fino a poco tempo fa era così anche per Marc Ericksen, l'illustratore dietro cover classiche come quelle di Bad Dudes, Tetris, Herzog Zwei, e quella più famosa di Mega Man 2, in cui l'iconico personaggio è dotato di pistola e visore.
Si è tentati di dare la colpa di questo colossale errore all'illustratore, ma in realtà Ericksen, che ora ha 67 anni, stava semplicemente eseguendo degli ordini provenienti da Capcom.
Ericksen era stato invitato negli uffici statunitensi di Capcom a San Francisco in modo che il publisher potesse mostrargli una versione preliminare del gioco. “I personaggi a quel punto in configurazione 8-bit erano veramente primitivi. Così ho chiesto al direttore artistico di Capcom cosa stesse facendo e di parlarmi del gioco”, ricorda Ericksen durante un'intervista telefonica con me. “Ho detto 'qual è l'arma di questo personaggio? Con cosa spara?'. Questo signore lo ha studiato per alcuni momenti e poi mi ha detto 'sta ovviamente sparando, quindi deve farlo con una pistola. Non vedo nulla che somigli a un fucile'”.
"Per quanto riguarda il visore, stavo solo tentando di creare una caratterizzazione che somigliasse a quanto visto su schermo”, dice Ericksen. “In Giappone stavano sviluppando il personaggio di Mega Man, quindi c'erano esempi di una sua forma molto simile a quella che ha poi assunto. Ma quelle persone negli Stati Uniti erano evidentemente ignari di quanto stesse succedendo in Giappone perché in pratica mi hanno detto di disegnare alcune versioni di quella che pensavo sarebbe stata una caratterizzazione di Mega Man. Quindi in mente avevo Mega Man, non Mega Boy".
"L'ho disegnato in quel modo perché sono stato incoraggiato a farlo da chi mi aveva assunto. Abbiamo proseguito con quel disegno, e quando l'ho consegnato l'hanno approvato”, aggiunge. “Non potevo immaginare l'enorme successo che sarebbe diventato”.
Ho chiesto se illustrazioni regionali diverse siano potute essere intenzionali visto che la grafica era abbastanza vaga da far interpretare il personaggio in maniera differente da culture diverse.
"È veramente difficile da dire. Non credo che nessuno stesse veramente comunicando con altri”, risponde. “In Giappone sapevano cosa stessero facendo e così in America ed Europa, ma nessuno stava controllando niente”.
"L'unica cosa che si può concludere è che Capcom stessa non era molto coordinata nei suoi sforzi di produrre e vendere Mega Man 2. All'uscita di Mega Man 3 il personaggio era stato rifinito e tutti i successivi erano quel piccolo e carino Mega Man."
"Ho sempre pensato che avrebbe dovuto essere chiamato Mega Boy piuttosto che Mega Man," ride.
È sorprendente che ci siano voluti 20 anni prima che Ericksen venisse a conoscenza della famigerata discrepanza tra copertina e gioco.
Ericksen, scopriamo, non è un giocatore. Non che non gli piacciano i videogiochi, piuttosto non ha semplicemente avuto tempo di giocarli mentre è stato illustratore freelance per oltre 40 anni. Prima ancora ha servito due volte in Vietnam, e durante le molte decadi da artista ha cresciuto due figli, entrambi appassionati di videogiochi a tutt'oggi. Erickesn è però innamorato dell'immagine statica. Al momento insegna all'Academy of Art University di San Francisco, dove molti dei suoi studenti puntano a lavorare nell'animazione di videogiochi, ed è ben conscio dei passi in avanti fatti dai giochi negli ultimi trent'anni quanto a fedeltà grafica. Vedendo titoli come Assassin's Creed e Titanfall inondare il mercato, Ericksen pensava che nessuno fosse più interessato alle illustrazioni di copertina di vecchi videogiochi.
"Era circa il 2011 o 2012 quando ho cominciato a prestare attenzione a tutto il materiale che ho realizzato per videogiochi”, ricorda. “Stavo cominciando a vedere le parole 'retro game' apparire online, così ho cominciato a guardare in giro e la prima cosa che ho trovato è stata 'Le 50 peggiori illustrazioni di videogiochi di sempre'. E Mega Man 2 era in alto nella lista”.
"Ero scioccato!" dice mortificato. "Ero imbarazzato nel vedere il mio lavoro in quella lista."
Eppure a prima vista Ericksen non vedeva il problema. “Ero fiero del disegno che avevo creato per Mega Man 2”, mi dice. Ma non gli servì molto tempo per capire come mai molti giocatori non apprezzassero quell'interpretazione così libera del personaggio.
"Il povero disegno di Mega Man 2 veniva crocifisso online come il peggio assoluto”, ricorda. “Tutta la polemica era del tipo 'come mai Mega Man 2 è stato rovinato così? Deve essere stato l'illustratore!'. All'inizio ero scioccato e amareggiato da ciò che leggevo. Poi ho cominciato a pensare che forse tutte le illustrazioni per videogiochi che avevo realizzato erano state accolte male".
È stato questo preoccupante pensiero che ha spinto Ericksen, oltre vent'anni dopo, a riesaminare il suo lavoro e scoprire il gradimento delle sue altre copertine nella fredda luce del 21° secolo. È durante questa fase che ha fatto un paio di scoperte sorprendenti.
La prima è che aveva realizzato molte più copertine per videogiochi di quanto pensasse. Aveva sottovalutato enormemente il suo contributo all'industria stimandolo in circa 20 copertine, quando in effetti sono state più di 90.
E la sua altra sorpresa fu che ancora risultavano belle. Molto belle!
"Nessuno stava criticando il mio lavoro”, mi dice Ericksen. "Accadeva solo per Mega Man 2 a causa della caratterizzazione così lontana dal personaggio. Quindi mi sentii un po' meglio riguardo alla faccenda”.
Abbastanza fiero di quella che pensava fosse solo un corollario della sua illustre carriera, l'artista decise di cercare riconoscimento per i suoi lavori più visibile.
"Sono andato su Moby Games e ho scritto “Il mio nome è Marc Ericksen, ero un illustratore negli anni '80, ho creato alcune illustrazioni per videogiochi. Pensate che i vostri lettori possano essere interessati nella storia dietro ad esse?”, ricorda. “E alcuni membri dello staff di Moby Games risposero che secondo loro le persone sarebbero state molto interessate a parlare con l'artista che aveva realizzato le copertine. E questo mi ha spinto a cominciare a mostrare di più del mio lavoro”.
Ovviamente dimostrare di essere l'autore delle illustrazioni fu un processo abbastanza laborioso, visto che la maggior parte dei clienti non permettevano agli autori di firmare il lavoro. Dopotutto quelle immagini sarebbero apparse sulle confezioni. Solo Broderbund permise a Ericksen di inserire il proprio nome nell'angolo, mentre il resto dei lavori fu consegnato sgombro e coperto di loghi e titoli dai publisher. Per dimostrare la sua identità, Ericksen dovette inviare vecchi ordini di acquisto, fatture e, cosa più importante, fotografie professionali dei suoi lavori su lucidi 8x10.
Il luogo in cui si trova la maggior parte dei disegni originali è sconosciuto, anche se si crede che siano stati cestinati.
"Molte delle opere sono state distrutte dalle compagnie durante alcuni eventi”, lamenta Erickson. “Prima di tutto rivendicavano l'intero disegno perché ci pagavano molto bene per farli. E visto che compravano l'opera fisica, dovevamo consegnarla. La conservavano in queste grandi stanze negli uffici corporativi. Come potete immaginare, questi disegni si sono accumulati nel corso del tempo. E quando riducevano o fondevano le compagnie, licenziavano del personale. Di solito, a quel punto nessuno si preoccupava delle illustrazioni”.
"Gettavano queste cose nell'immondizia”, aggiunge. “Il mio amico Robert, che lavorava per Atari, ha trovato una delle sue opere letteralmente scavando nell'immondizia e l'ha salvata. Questo è successo quando ero fuori città, quindi l'ho scoperto solo dopo il fatto. Quindi, alcuni disegni che ho realizzato per Atari e Lynx sono stati probabilmente gettati e sotterrati alla discarica”.
"Credo che un direttore artistico di Atari avrebbe probabilmente portato alcuni pezzi a casa”, dice con la leggera speranza che alcune delle sue illustrazioni originali siano ancora intatte. “Ma molti sono andati distrutti”.
Fortunatamente, Ericksen aveva un piano d'emergenza e aveva fatto scattare da un professionista fotografie ad alta qualità dei suoi lavori prima di consegnarli. Le foto erano realizzate su lucidi 8x10, con una copia destinata al cliente e un piccolo extra pagato da Ericksen per tenere un souvenir per se stesso. Ericksen è in possesso di una serie di foto 4x5, 5x7 e 8x10 di molte delle sue opere. Sono queste che utilizzaper creare delle stampe che vende ancora oggi. È un bene che l'abbia fatto, visto che le confezioni si sono rovinate parecchio nel corso degli anni.
Ericksen è rimasto sorpreso del fatto che le persone volessero stampe dei suoi lavori nella loro forma “pulita” originale senza logo o titolo. “Ho chiesto a Moby Games: 'Se fornissi una stampa pulita dell'illustrazione, come quella che davo ai clienti, sarebbero interessati?'”, ricorda. “E la votazione fu fortemente in favore di questa soluzione, senza titolo né altri elementi che apparvero sulle copertine. Quindi ho detto 'potrei aggiungere in fondo una riga discreta che spieghi il nome del gioco, quando fu prodotto e gli strumenti che ho utilizzato'. La risposta è stata 'no, no! La vogliamo pulita'. È stata una sorpresa per me”.
Oggi Ericksen vende copie firmate delle sue stampe al Portland Retro Gaming Expo, dove l'ho incontrato, a $40 per una 18x24 e $25 per le 13x19. Al momento della stesura di quest'articolo, il suo stand alla fiera annuale è l'unico posto in cui comprare le sue ristampe.
Perché non fare le cose più in grande? Chiaramente ha un pubblico. Ma forse non è così facile come si pensi raggiungere un pubblico.
"Sai come sono le persone alle fiere. Camminano molto velocemente al primo giro perché non vogliono ancora spendere nulla. Vogliono vedere cosa c'è, poi capire quanto vogliono spenderci e cosa comprare. Ma anche dopo, quando passano nelle vicinanze, non vogliono incrociare gli sguardi perché potresti fermarli. Se hai un contatto del genere con un venditore, ti ferma e vuole parlarti di ciò che offre”, dice. “Il primo paio di fiere è stato brutale”.
Alla fine Ericksen ci ha preso la mano. "Quando passano chiedo 'hey, come va?', e ottengo la loro attezione per appena un secondo. E dico 'conosci questi giochi?' o 'hai mai giocato Mega Man 2?', e questo li fa fermare per un attimo. E quando rispondono 'beh, certo' replico 'sono il tizio che ne ha disegnato la copertina'”.
Eppure, le persone a quel punto ancora non capiscono.
"Mi dicono 'che intendi?', e spiego che sono l'illustratore che ha realizzato l'illustrazione di copertina. Replicano 'oh, hai fatto questi disegni?' e spiego 'no. Ho realizzato l'illustrazione che era sulla confezione quando avevi otto anni'”.
"Serve parecchio sforzo solo per penetrare quel guscio di cui si circondano alla fiera”, dice. Per questo suggerisce che qualcosa come la Comic-Con sia oltre la sua portata, senza considerare la lista d'attesa di anni.
"È divertente ma molto stancante farlo con ogni persona che passa”, dice. “Ma quando capiscono, esclamano 'O mio dio! Tu sei quello che ha fatto l'illustrazione?!', poi ti sono addosso! Ma fino ad allora sei solo un tizio che li sta importunando”.
Ericksen ci è abituato. Potreste pensare che quella dell'illustratore non sia una carriera che richieda molte abilità sociali, ma all'epoca Ericksen dovette spesso avvicinare degli sconosciuti e chiedergli di fare da modelli per lui.
"Per realizzare un soldato che corre attraverso un campo o un combattimento riunivo due o tre amici, mettevo la macchina fotografica su un treppiede e scattavo foto delle persone che combattevano o saltavano. Quelle erano la base per le illustrazioni”, ricorda. “A volte utilizzavamo dei modelli. A volte andavamo negli uffici vicini cercando persone particolarmente appariscenti; il tipo di figure eroiche di cui ero in cerca. Li pagavo $50 o $60 per un paio di ore di scatti”.
"Molti non erano modelli. Erano solo persone che conoscevo. A volte fermavo letteralmente le persone per strada dicendo 'Scusami, non mi conosci ma sono un illustratore', e gli mostravo una piccola cartolina del mio lavoro che portavo con me. Dicevo 'Mi piacerebbe che tu posassi per me per dei disegni d'azione che sto realizzando. Saresti interessato?'. Il 90% rispondeva 'no grazie', perché la cosa era molto allarmante. Ma l'altro 10% reagiva chiedendo 'hey, dove?!”.
Nonostante degli sconosciuti occasionalmente inquietanti, Ericksen ha dei bei ricordi di quei giorni, specialmente per le copertine dei videogiochi. “Realizzare le illustrazioni per i videogiochi era veramente uno sballo! Era espressivo, divertente ed eccitante”, ricorda. “Era come fare dei fumetti! Alcuni ambienti erano elettrizzanti. Dovevo creare azione interessante, e ho disegnato tizi in tute buffe!”. Dato che Ericksen disegnava solitamente cose più tecniche, gli incarichi legati ai videogiochi gli permettevano di dare sfogo alla sua creatività.
"Lavorare con persone eccitate dei propri giochi, sedere con loro e fare dei bozzetti sulle idee che mi fornivano riguardo ciò che volevano in copertina: era decisamente divertente!”.
Ma questo tipo di progetti si esaurì nel 21° secolo, ed Ericksen ricorda che la sua ultima illustrazione per la copertina di un videogioco fu quella di 1503 A.D.: The New World nel 2003.
"Cos'è successo”, chiedo. “Hai idea del perché tu non abbia più realizzato illustrazioni per videogiochi?”.
La sua risposta è diretta ed esaustiva: “Quando hanno raggiunto un certo punto nell'animazione non hanno più avuto bisogno di illustratori. Nell'epoca degli 8-bit, avevano bisogno di qualcuno che visualizzasse le cose”.
"Cosa ne pensi delle copertine di oggi?”, chiedo.
"Non c'è molto colore”, risponde deluso. Ma sembra comprenderne il perché.
"Credo che abbia molto a che fare con i soggetti”, spiega. “Vogliono immergere chi guarda in una specie di dura super realtà in cui si combatte per la propria vita. Quindi ci sono queste incredibili immagini (credo che Assassin's Creed sia particolarmente avvincente quanto a copertine) che però sono quasi sempre monocromatiche, come il gameplay. Vogliono farvi sentire parte di quell'ambiente. Quindi credo che molti di questi giochi non abbiano semplicemente l'opportunità di avere colore sulle copertine”.
"Ma le copertine non devono riflettere il gameplay," gli dico. "Potrebbero comunque essere qualsiasi cosa."
"Potrebbero, ma credo che siano fatte per riflettere il gameplay stesso in modo che chiunque possa capire chiaramente cosa accade nel gioco”, replica. “E i giocatori ora non devono essere supportati nella loro contemplazione visiva di un gioco… ci sono staff di centinaia di persone di talento che realizzano questi giochi, e sanno sicuramente quale sia un'immagine attraente. Per cui non credo che ci sia più spazio per gli illustratori".
A parte la tendenza monocromatica, Ericksen non sembra dispiaciuto della scomparsa del suo precedente ruolo nell'industria. In effetti apprezza la somiglianza tra copertine e controparti in-game, perché la differenza tra le due cose è ciò che gli ha provocato più ansia nella sua carriera di illustratore per videogiochi.
"Quando realizzavo queste copertine, 20-30 anni fa, in un angolo della mia mente mi sentivo come se stessi ingannando i bambini. Da un lato c'era questo grosso, avvincente disegno, dall'altro un gioco in cui delle piccole cose si muovevano su schermo. E pensavo sempre 'questo è veramente ingannare i ragazzi. Il gioco non è così”, dice. “Quindi quel primo anno alla fiera, una delle prime cose che chiedevo alle persone era 'ascolta, quando eri piccolo hai giocato questi titoli. Ti sei mai sentito imbrogliato dal fatto che c'era quel disegno sulla copertina quando il gioco era più o meno blando?'”.
"Tutti rispondevano 'oddio, no! Questo disegno è ciò che ha creato nelle nostre menti un'immagine di ciò che stavamo facendo nel gioco. Se non avessimo avuto il tuo disegno, non avremmo potuto immaginarlo! Ha reso il gioco molto più divertente!'. È stata una sorpresa assoluta per me, e una delle cose più piacevoli che ho scoperto nel tornare a contatto con i giocatori: il fatto che amassero il disegno. Per me è importantissimo".