Project Zero: Maidens of the Black Water - recensione
Un classico che non delude.
In passato era diffusa la credenza secondo cui fotografando una persona le si rubava l'anima. Una convinzione assurda, naturalmente, ma che in parte è servita a far nascere l'idea alla base della serie Project Zero.
Nella serie horror di Tecmo, infatti, usando una speciale macchina fotografica chiamata Camera Obscura i protagonisti dei vari episodi erano in grado non solo di vedere cose che l'occhio umano non era in grado di percepire, ma anche di esorcizzare i fantasmi "rubandone" la forza vitale.
Per molto tempo la saga di Project Zero è stata affiancata a Resident Evil e Silent Hill, in quanto a qualità dell'esperienza in ambito horror. Ora che Resident Evil è diventato uno sparatutto di modesta qualità e che Silent Hill è rimasto vittima delle bizzarre politiche di rinnovamento di Konami, l'uscita di un nuovo episodio di Fatal Frame (il nome con cui la serie Tecmo Koei è conosciuta in America) è una vera manna dal cielo per gli appassionati del genere.
Nonostante il mercato pulluli di giochi spaventosi e raccapriccianti, infatti, si tratta quasi sempre di titoli molto diversi dai classici survival horror tanto amati dai giocatori negli anni '90. La visuale preferita dagli sviluppatori è ormai quella in prima persona e spesso l'esperienza richiede più di scappare e sopravvivere, piuttosto che esplorare e affrontare le minacce usando le poche risorse a disposizione.
Oggi siamo qui per parlarvi di Project Zero: Maidens of the Black Water, esclusiva per Nintendo Wii U che vi farà ricordare con piacere le tante ore passate, ormai parecchi anni fa, al buio, con le spalle contratte, in attesa di saltare sulla sedia a causa delle diaboliche trovate degli sviluppatori.
In questo Project Zero esclusivo per l'ammiraglia di Nintendo siamo chiamati a vivere la storia di tre personaggi differenti, Yuri, Miu e Ren, che loro malgrado si trovano invischiati in un complesso intreccio tra riti secolari, maledizioni occulte e leggende metropolitane legate al famigerato monte Hikami. Un tempo famoso per le vicende grottesche che avevano coinvolto le sacerdotesse che vi dimoravano, il monte è poi diventato il luogo dove si recavano le persone desiderose di togliersi la vita.
Si tratta di tematiche piuttosto comuni per gli horror giapponesi, a cui la serie ha sempre fatto riferimento. Se amate il genere a cui Tecmo Koei si è sempre ispirata per creare i propri survival horror, in Maidens of the Black Water troverete tutto ciò che avete sempre apprezzato nelle pellicole cinematografiche in questione.
Tra spiriti vendicativi, rancore serbato per secoli, credenze popolari con più di un fondo di verità e personaggi femminili dotati di poteri paranormali, Project Zero riesce a tenere incollati alla console per circa 12 ore.
In questo arco temporale si entra in contatto con meccaniche vecchie e ormai rodate, affiancate da nuove idee piuttosto intriganti e che ben si sposano con lo spirito della serie. Protagonista indiscussa dell'intera esperienza è, naturalmente, la Camera Obscura, strumento indispensabile per farsi largo attraverso le presenze oppressive del monte Hikami.
Le caratteristiche del Wii U, in particolare la presenza del Gamepad, si dimostrano perfette per tutto ciò che ruota attorno a Project Zero. Coloro che non vedono l'ora di poter giocare un Metroid Prime per l'attuale console Nintendo, solo per poter effettuare le scansioni con il Gamepad, saranno felici di sapere che la medesima meccanica funziona alla perfezione di Maidens of the Black Water.
Basta premere il tasto X per entrare nella modalità Camera e a quel punto, sollevando il Gamepad, è possibile inquadrare i propri bersagli sia sfruttando il giroscopio e i sensori di movimento, sia interagendo con lo stick analogico destro.
Ciò che viene mostrato sullo schermo del Gamepad è ciò che viene inquadrato dalla Camera Obscura. Le stesse immagini vengono contemporaneamente mostrate anche sullo schermo della TV ma solo sul Gamepad è visibile l'interfaccia indispensabile per ottimizzare i danni inflitti agli spiriti con ogni scatto.
Scattando verso soggetti molto vicini o magari intenti a sferrare un attacco, è possibile infliggere danni maggiori e perfino far indietreggiare le pericolose presenze. Dopo ogni scatto, frammenti di spirito vengono sparsi per lo schermo, trasformandosi in bersagli facili. Ogni volta che si inquadrano contemporaneamente cinque bersagli, si ottiene la possibilità di scattare un Fatal Frame, causando danni ingenti.
La cosa interessante di questa meccanica, che prevede anche l'uso di scatti multipli, è che per inquadrare il maggior numero di bersagli contemporaneamente è perfino possibile ruotare il Gamepad come si farebbe con una vera macchina fotografica, magari per eseguire artistici scatti in verticale a figura intera.
I controlli funzionano a meraviglia ma va anche detto che dopo sessioni particolarmente lunghe può capitare di sentirsi le braccia appesantite. Pur potendo giocare tranquillamente anche senza sollevare troppo il Gamepad, infatti, durante le battaglie con gli spettri viene naturale alzare il controller, anche per sfruttarlo al meglio.
Un'altra meccanica nuova introdotta proprio con questo capitolo è quella che permette di visualizzare i movimenti delle ombre. Tenendo premuto il grilletto destro, in alcune occasioni sullo schermo compaiono figure spiritiche che, muovendosi verso un luogo specifico, indicano al giocatore la direzione da seguire.
Sebbene sulla carta tale opzione possa sembrare in grado di rovinare l'esperienza rendendola troppo semplice, giocando ci si rende conto della cura con cui è stata inserita dagli sviluppatori, e di quanto utile si riveli in determinate occasioni.
L'ultima novità, strettamente legata alla storia di Maidens of the Black Water, è quella che vede i personaggi diventare più vulnerabili quando bagnati. Per non togliervi il piacere di scoprire i dettagli della trama non ci dilungheremo in spiegazioni più dettagliate, ma sappiate che l'acqua svolge un ruolo fondamentale nel gioco.
Per questo motivo è necessario assicurarsi sempre di non andare in giro completamente fradici (cosa che può risultare difficile nelle sequenze giocate sotto la pioggia scrosciante). Per asciugare rapidamente i protagonisti è possibili ricorrere ad alcuni oggetti, che imparerete a custodire come i vostri tesori più preziosi nel corso dell'avventura.
Sotto moltissimi punti di vista Maidens of the Black Water vuole essere un vero e proprio omaggio agli horror del passato, sia nelle meccaniche che per alcune scelte tecniche. Il sistema di controllo e i movimenti dei protagonisti sembrano appartenere a un titolo di 10 anni fa, dettaglio che sotto alcuni punti di vista è piuttosto piacevole ma che sotto altri può trasformarsi in un incubo (la velocità di movimento dei personaggi è davvero troppo bassa).
Il comparto tecnico è forse il vero punto debole del gioco. Project Zero: Maidens of the Black Water è visivamente datato, con texture di bassa qualità e strutture poligonali non sempre all'altezza. L'uso di filtri utili ad aumentare il senso di ansia (quello classico della pellicola rovinata, per esempio) aiutano a mascherare alcune magagne tecniche ma in generale ci troviamo di fronte a un gioco visivamente non all'altezza di altre perle apparse su Wii U.
Character design, colonna sonora e doppiaggio, invece, si assestano su livelli molto buoni e permettono di creare il giusto legame empatico con tutto ciò che viene mostrato sullo schermo del televisore. Peccato solo per l'assenza del doppiaggio giapponese, che avrebbe fatto un figurone in un titolo così squisitamente orientale.
Se siete possessori di un Nintendo Wii U e amate gli horror, possibilmente di stampo giapponese, Project Zero: Maidens of the Black Water è un titolo che non dovreste lasciarvi sfuggire. In un panorama in cui i giochi horror hanno preso strade molto diverse da quelle che li avevano portati al successo tanti anni fa, un simile omaggio alla vecchia scuola non può che fare felici gli appassionati.