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PUBG e Fortnite vanno in tribunale: ma non sono i primi - articolo

Donkey Kong? Quel nome suona familiare!

Tutto sommato c'era da aspettarselo. La battaglia fra PlayerUnknown's Battlegrounds e Fornite doveva vivere questo momento prima o poi, come se fosse una prova del nove essenziale per tracciare le linee di demarcazione da non superare. Lo sviluppatore coreano ha citato in giudizio Epic Games, produttore di Fornite, con l'accusa di aver violato il diritto d'autore; l'azienda viene insomma accusata di aver copiato PUBG. Una versione videoludica della battaglia che Apple e Samsung hanno portato avanti per sette anni.

I primi smartphone Galaxy avevano copiato il design di iPhone? Quale che sia la vostra risposta, dalla lotta fra i due giganti tecnologici è emerso un dato importante: l'importanza del design di un prodotto, la cui violazione è costata a Samsung oltre 530 milioni di dollari di multa da pagare. Dal conflitto legale fra PUBG e Fornite allora ci troveremo ad affrontare un simile dilemma secolare: quanto è importante l'idea di un gioco, il suo meccanismo base? E quando si parla di plagio e quando di ispirazione?

Domande che di certo non sono inedite all'interno dell'industria videoludica. Negli anni molte aziende si sono trascinate per anni in tribunale per difendere il proprio diritto a un nome oppure per accusarne un'altra di aver copiato un personaggio o, come vedremo presto, di aver volutamente nascosto alcune informazioni al partner.

Fornite ha copiato PUBG? Ora spetta a un giudice rispondere.

Nel 2011 Bethesda, proprietaria del marchio "Elder Scrolls", ha citato in giudizio Markus "Notch" Persson, fondatore di Mojang e creatore di Minecraft, per l'utilizzo e la registrazione del marchio "Scrolls". Si trattava di un gioco di carte fantasy ma secondo Bethesda era più che sufficiente per creare confusione fra i due titoli.

Persson aveva anche proposto, prima che la discussione andasse nelle mani degli avvocati, che la diatriba fosse risolta con una partita a Quake 3: se lui avesse perso, avrebbe cambiato il nome al gioco. Ovviamente Bethesda non accettò mentre all'udienza preliminare Persson vinse la causa. L'anno successivo le due parti raggiunsero un accordo: Persson non avrebbe registrato il marchio "Scrolls" ma avrebbe potuto usarlo per il suo gioco senza alcun intervento futuro da parte di Bethesda. E così è stato quando il gioco è stato pubblicato nel 2014.

Di ben altro tenore fu la disputa fra Martin O'Donnell, la straordinaria firma delle colonne sonore degli Halo di Bungie Studios, quando l'acquisizione di Activision riscrisse il suo rapporto con lo sviluppatore. Il nocciolo della disputa risale all'E3 2013. Nonostante O'Donnell avesse preparato una colonna sonora con i fiocchi, portando a bordo anche Paul McCartney, il trailer di Destiny includeva musica diversa, scelta da Activision.

Secondo Bethesda questo gioco poteva essere confuso, a causa del suo nome, con la sua serie The Elder Scrolls.

La decisione aziendale fu alla base di un forte scossone con il compositore: quest'ultimo si lamentò sui social network della decisione e il clima a lavoro iniziò a essere sempre più teso, fino al licenziamento di un anno dopo. Dal tribunale, però, emerse netta la vittoria di O'Donnell per ingiusto licenziamento e Bungie dovette pagare oltre 95.000 dollari al suo ex dipendente. Un rapporto finito molto male dopo anni di collaborazione proficua.

Non bisogna poi dimenticare - e come si potrebbe - quando Silicon Knights, autore di Too Human, trascinò nel 2007 Epic Games in tribunale. L'accusa? Aver volutamente celato alcune informazioni sull'Unreal Engine 3, alla base di Too Human, per favorire i propri giochi, come Gears of War. Secondo Silicon Knights tale situazione avrebbe impedito a Too Human - gioco che è stato ridimensionato molteplici volte prima di arrivare sul mercato - di raggiungere il suo vero potenziale. Epic Games rispose con una contro-accusa: Silicon Knights sapeva bene che l'Unreal Engine 3 era ancora in una fase non definitiva e ne era consapevole quando ha firmato il contratto.

Il risultato fu decisamente diverso da quanto auspicato da Silicon Knights. Non solo dovette pagare a Epic Games 4,45 milioni di dollari, poi raddoppiati fino a 9,2 milioni di dollari per il rimborso delle spese legali e i mancati profitti di Epic Games, ma fu anche costretto a distruggere le copie di tutti quei giochi che avevano usato l'Unreal Engine 3, fra cui anche X-Men Destiny e The Sandman. Inutile dire che questa sentenza fu l'ultimo colpo per lo sviluppatore canadese, che andò in bancarotta nel 2014.

Ricordate Too Human? Secondo lo sviluppatore Epic Games nascose alcune informazioni sul motore grafico Unreal Engine 3.

Senza dimenticare tutte le volte che GTA di Rockstar Games è stato accusato. Uno dei casi più noti risale al 2003 quando il 18enne David Moore uccise due poliziotti in Alabama. Due anni dopo, all'epoca del verdetto di colpevolezza per Moore, il dito venne puntato su Grand Theft Auto: Vice City e l'idea che il giovane avesse potuto ispirarsi alle gesta virtuali di Tommy Vercetti. L'accusa era supportata dall'avvocato Jack Thompson - spesso protagonista di vicende legali contro i videogiochi - che poi si allontanò di sua spontanea volontà dopo essere stato a sua volta accusato di rendere la disputa "un circo".

Vennero accusati tanto Rockstar Games quanto Sony, in quanto produttore della console su cui Moore aveva giocato. La sentenza fu emanata a favore di Sony: secondo la Corte Suprema la distribuzione di GTA: Vice City era coperta dal Primo Emendamento. Thompson tornò all'attacco contro Vice City un anno dopo, a causa di un altro fatto di cronaca nera in cui un 14enne aveva sparato e uccido il padre nel New Mexico, ma il caso venne archiviato nel 2007.

Uno dei casi più storici, però, è senz'altro quello legato a Donkey Kong, una delle più riconosciute mascotte di Nintendo. Era il 1982 e i videogiochi stavano per imbarcarsi nella grande crisi del 1983. Un anno prima la casa di Kyoto aveva lanciato Donkey Kong sui cabinati da sala giochi, quando il presidente di Universal City Studios Sid Sheinberg notò una certa somiglianza fra il gorilla peloso e un altro mostro sacro: il King Kong che nel 1976 Rick Baker aveva portato al cinema in bianco e nero.

Donkey Kong fu al centro di una disputa fra Universal City Studios e alcuni produttori.

Universal City Studios non accusò soltanto Nintendo; fece altrettanto con Coleco, che accettò di pagare le royalty al produttore cinematografico, ossia il 3% delle vendite del suo Donkey Kong. Nintendo of America, invece, si rifiutò di sottostare alla richiesta e così la battaglia finì in tribunale. Volete sapere com'è finita? Secondo il giudice non ci fu alcuna violazione né plagio e, qualcosa che allora fu un grosso risultato, Universal City Studios dovette pagare all'azienda videoludica 1,8 milioni di dollari fra spese legali, mancati profitti e danni. Una sentenza che resse tutti e tre i gradi di giudizio fino al 1985.

PUBG e Fornite, insomma, non sono i primi e senz'altro non saranno gli ultimi. Al di là di tutte le scaramucce sul "è meglio questo o quello", ognuno dei due giochi ha dimostrato di poter raccogliere milioni di dollari. Fortnite è diventato un fenomeno tale per cui persino il calciatore Zlatan Ibrahimovic si è dato allo streaming su Twitch. Se verrà riconosciuta una violazione del diritto d'autore alla base dello sviluppo della modalità battaglia reale (che ricordiamo è stata introdotta dopo il lancio sul mercato di Fornite), sarà giusto che a PUBG venga riconosciuta tale situazione e che Epic Games ne paghi i danni economici.