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Quando Commodore tentò di conquistare il Giappone - articolo

Scopriamo la storia del VIC-1001 e del Commodore Max Machine (Ultimax).

Ai più giovani forse il nome Jack Tramiel non dirà poi molto, ma per un'intera generazione la società da lui fondata, la Commdore, ha rappresentato molto più di un'azienda, rivelandosi un vero e proprio punto di riferimento, un caposaldo dell'infanzia.

Partito da un semplice negozio di riparazioni di macchine da scrivere nel Bronx, Jack Tramiel nel 1977 si spinse a progettare e a vendere uno dei primi personal computer ad 8 bit, il PET, sull' onda delle vendite stellari che l'Atari 2600 stava registrando tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80.

Il patron della Commodore intuì che era arrivato il momento di rivoluzionare il mercato con dei mini-computer rispetto ai monoliti di allora, per diffondere il mezzo informatico a tutta la popolazione e non solo a una sua parte, avendo però sempre ben fisso l'obiettivo di guadagnare almeno il doppio rispetto a ciò che investiva, con un'efficace quanto discutibile politica commerciale legata all'utilizzo delle memorie.

Un primo piano di Jack Tramiel.

Si trattò di un'intuizione che di lì a poco decreterà la fine del precario equilibrio del mercato console di allora, sempre più caotico e affollato con Coleco e Intellivision all'attacco, sempre più costoso in termini di cartucce e meno versatile rispetto alla controparte Home Computer.

Nel 1981 Tramiel dimostrò con il suo VIC-20 che le intuizioni che aveva erano giuste, al punto che i suoi computer diventeranno da lì a poco l'oggetto del desiderio di qualsiasi bambino, adolescente e adulto di allora, che venderanno le loro console per acquistare il Commodore di turno.

Il fenomeno trasversale che riuscì a creare attorno ai suoi computer, Tramiel pensò bene di esportarlo in tutto mondo, persino in Giappone, paese noto per essere una roccaforte inespugnabile soprattutto in campo informatico.

Ma così come già accaduto in altri casi, se in Occidente alcune intuizioni si rivelano un vero successo, nella terra del Sol Levante possono tramutarsi in incubi con conseguenze economiche imprevedibili.

Sull'onda del successo, Tramiel decise quindi di espandersi e di invadere il Giappone, istituendo stabilmente una vera e propria divisione della Commodore nel 1981, la Commodore Japan Ltd, e iniziando di fatto la commercializzazione del suo cavallo di battaglia, il VIC-20 (ribattezzato in Giappone VIC-1001).

Con una nomea di computer tuttofare, Tramiel pose a capo della divisione nipponica l'audace Taro Tokai, noto alle cronache per aver creato un clone del Ti-99/4 di Texas Instruments, il quale riuscirà a ottenere da Tremiel carta bianca sul design dei singoli computer, per rendere più appetibili ai giapponesi gli Home computer di casa Commodore.

Con la commercializzazione del VIC-1001, Tokai dimostrò la sua bravura e riuscì nell'arduo compito, nella quasi incredulità generale, di sfondare in un mercato considerato storicamente difficilissimo visti i pesanti vincoli per l'importazione e la produzione, nonché per gli esigenti gusti nipponici. Ovviamente un tale successo fu giustificato anche da un prezzo estremamente concorrenziale, che permise a Tramiel di imporsi in un lasso di tempo estremamente breve.

A questo però seguì un errore di valutazione, visto che anziché procedere come in Occidente alla commercializzazione immediata del Commodore C64, solo per il Giappone si decise di distribuire un altro computer del tutto diverso, con una memoria con soli 4K. Si trattava del Commodore Max Machine, meglio noto tra gli addetti come Ultimax.

Questi erano i dati tecnici del computer:

  • Nome in codice: VIC-10
  • RAM: 2,5K
  • CPU: Mos 6510
  • Colori: 16
  • Grafica:VIC-II
  • Musica: Sid 6581
  • Tastiera a membrana stile ZX Spectrum

Progettato da Yashi Tekamura, il Commodore Max in termini tecnici non era né carne né pesce. Seppur avesse un look e delle caratteristiche accattivanti per i tempi, come la tastiera a membrana in stile Spectrum e il potente chip grafico del Commodore 64 (o per essere più precisi del suo prototipo, il 6510 creato da Yashi Terakura), disponeva dell'esigua memoria di 4Kb, dei quali solo 2.5 erano realmente disponibili.

Se infatti la memoria in Occidente sotto il profilo del marketing rappresentò per Jack Tramiel il suo principale punto di forza, dall'altro lo esponeva a una continua necessità di rinnovare le macchine (1977-1981: 39 PET, 1981: VIC-20, 1982: C64).

Una politica questa che lo porterà nel 1984 allo stallo, sebbene vada notato che nel breve periodo tale tecnica commerciale permise di abbassare i costi, vendendo a meno di tutti, non intaccando il guadagno che Tramiel voleva su ogni singola macchina (il doppio), e favorendo indirettamente la diffusione degli Home Computer su scala mondiale con il cosiddetto fenomeno della "alfabetizzazione informatica".

L' Ultimax in extremis rappresentò quindi non solo il tallone d'Achille della politica di Tramiel, ma anche uno dei passi falsi che lo portarono da lì a breve al declino. Vero è che il Commodore 64 vanta 17 milioni di unità vendute nel mondo, ma dall'Ultimax in poi iniziarono i problemi per questo business man.

Il problema fu che in Giappone questo esperimento nacque per così dire zoppo, perché anche solo per accendersi la macchina richiedeva una cartuccia. Di conseguenza si dovevano acquistare necessariamente dei cartridge, che fossero con installati dei videogiochi o col Basic per impartire i comandi essenziali (load, print, ecc.)

Un'altra particolarità dell'Ultimax era che le cartucce del Commodore Max funzionano sul Commodore 64 ma non il contrario. Su queste premesse e con una politica di marketing che ancora oggi suscita più di qualche perplessità, l'Ultimax segno il fallimento di Tramiel in Giappone (ad oggi se ne contano solo poche centinaia) e anche della sua carriera in Commodore, visto che solo qualche mese più tardi, nel gennaio del 1984, fu dimissionato dal CDA dell' azienda lasciando orfani milioni di fan e dipendenti dello storico marchio.

Questo perché le disastrose conseguenze economiche nel Sol Levante, sommate alla nascente popolarità dell'MSX, spinsero alla chiusura della Commodore Japan Ltd. nel 1984, non prima di dare i natali al primo portatile del Commodore 64, noto come SX-64.

Commodore, senza il suo padre putativo, riuscirà comunque a sopravvivere ancora una decade, grazie all'acquisizione dei diritti del progetto Lorraine dalla Hi-Toro, progetto poi meglio noto al grande pubblico come Amiga, che non sarà mai commercializzato ufficialmente in Giappone, essendo disponibile solo tramire importazione parallela e con una fama tra gli appassionati nipponici pari a quella del PC Engine dalle nostre parti, tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90.

L' epoca di Tramiel si concluderà per ironia della sorte negli anni '90 in Atari, del cui declino era stato anni prima l'artefice, e per giunta con una console, il Jaguar. Quando si dice il destino…