Quando i giochi ritornano: riedizioni, remaster, remake - editoriale
Cerchiamo di districarci tra le definizioni. Cosa sono e per chi sono?
Forse nessun medium come i videogiochi sa dimenticare i suoi classici e rendere difficile la loro fruizione: nel complesso rapporto tra vecchio e nuovo si innestano riedizioni fedeli, remaster e remake. Esattamente, cosa sono? Qual è il loro ruolo tra conservazione e tentazione di perenne perfezionamento?
Entro in una libreria, ho voglia di leggere qualcosa di leggero ma ben scritto, un romanzo che mi ero ripromesso di prendere prima o poi, ma che per una ragione o per l'altra mi sono perso, ed il tempo è passato. È successo a tutti. Ho procrastinato. Ho aspettato che qualcuno me lo regalasse. Ed ora me ne sono ricordato: ho voglia di leggere "IT" di Stephen King. È un autore famoso, non avrò difficoltà a trovarlo anche se è di parecchi anni fa.
Quindi entro nella più grande libreria del centro e chiedo se l'abbiano in negozio, dato che in scaffale hanno solo titoli usciti da poco. Il commesso cerca per qualche istante sul PC, poi scuote il capo: "Mi spiace, niente, è fuori stampa da anni".
Sono sorpreso, gli chiedo di controllare meglio. Lui dopo altre ricerche sembra trovare qualcosa: "abbiamo l'edizione riscritta e migliorata, però". Non capisco bene. Riscritta? In che senso? "King è un ottimo narratore" mi spiega lui, "ma a leggerlo ora è un po' pesante. L'hanno fatto riscrivere, ora è più avvincente".
Gli spiego che sono interessato all'originale, lo ringrazio lo stesso e torno a casa. Cerco su eBay: effettivamente qualche copia si trova, anche in ottime condizioni, ma a prezzi stratosferici. Accidenti, avrei dovuto comprarlo mentre era ancora disponibile, beato chi ne ha una copia!
Tutto questo ovviamente non succede nella realtà. Non per i libri. Non per i film o gli album musicali (anche se a volte ci si va molto vicino). Non almeno per le opere che siamo d'accordo nel definire "belle", "storiche", "da ricordare", o anche solo "famose". Per i videogiochi, invece, è all'ordine del giorno. Come mai? È forse per questo che spuntano riedizioni, remaster, remake? Ed esattamente, cosa sono o cosa dovrebbero essere?
Incominciamo dal principio: parte del motivo per cui è impossibile entrare in un negozio e chiedere una copia fresca fresca di Final Fantasy VII è che la console su cui girava è fuori produzione da anni, non ha più un reale mercato in quella forma "fisica" (anche se ho l'impressione che se ne stampassero, andrebbero ancora a ruba, ma potrei sbagliarmi). Ci sono poi infinite differenze tra il mercato del videogame e la sua distribuzione, rispetto al libro, al disco, al film.
Vi sono librerie molto grandi in tutte le città, ad esempio, ma i negozi di videogiochi o le zone dedicate nei grandi store di elettronica non lo sono altrettanto, e quindi non si può materialmente mantenre un catalogo di titoli usciti anni fa. Insomma, le ragioni sono tante, alcune oggettive, altre radicate nella percezione di cosa sia il videogame. Ma l'argomento che ci interessa è un altro: i giochi, almeno alcuni, hanno trovato la maniera di tornare. All'uscita della PlayStation 4 fiorirono i "remaster" ed insieme ad essi una certa insofferenza, almeno da parte di alcuni, nei loro confronti. Ora, non molti anni dopo, la situazione si è fatta un po' più complessa.
Cercando di identificare alcune categorie, ci sono le "riedizioni" nude e crude, ovvero i titoli riproposti così com'erano, senza modifiche. Per dare l'idea, i titoli della Virtual Console Nintendo, o in varie forme presenti anche su altre piattaforme. Al massimo possono comparire delle bande laterali per riempire lo schermo con qualcosa di gradevole, o qualche opzione aggiuntiva, per simulare i CRT o salvare in qualunque momento. Ma è lo stesso gioco, con tutti i suoi limiti e le sue bellezze e senza nessun tentativo di "lifting". Spesso questo si ottiene emulando la console su cui girava il gioco originale, e facendo funzionare esattamente lo stesso codice e gli stessi dati. In questa categoria collocherei anche l'uscita delle console "mini" di Nintendo, presto seguite anche da Sega, SNK, Commodore, Atari, ma anche le collection di Street Fighter o di titoli Mega Drive.
Il passo successivo è il "remaster". Qui il gioco non si vuole ripescare com'era, ma in qualche modo abbellire, per qualità visiva, frame rate, o anche migliorando alcune meccaniche di camere o controlli. Penso a giochi come The Last of Us, o Shadow of the Colossus, nel passaggio da PlayStation 2 a 3 (vedremo che quello da 3 a 4 è qualcosa di ben diverso). Qui tecnicamente parlando viene modificato l'engine di gioco perché giri sulla nuova piattaforma, quindi il gioco non è più emulato. Lo scopo non è quindi solo permettere di giocarci comodamente, ma di "svecchiarlo" quanto basta, conservandone nella sostanza contenuti e meccaniche.
A volte invece il processo è portato all'estremo, e si parla a buon diritto di "remake": il gioco di partenza viene sostanzialmente rifatto, o profondamente rimaneggiato, sia in termini di contenuti (modelli 3D, texture) che di dinamiche di gioco. Probabilmente Shadow of the Colossus, nel suo passaggio a PlayStation 4 può essere un buon esempio. O il recentemente annunciato Resident Evil 2, che addirittura passa dalla prima PlayStation alla generazione corrente. Quest'ultimo sarà interessante da analizzare, dato che dell'originale rimarranno sostanzialmente solo le idee, la trama, mentre tutto il resto sarà rifatto da zero, comprese probabilmente le dinamiche di gioco, dato che già all'epoca Resident Evil era noto per la staticità dei personaggi usati dal giocatore, e per i combattimenti difficili e a tratti frustranti.
Come sono accolte tutte queste forme di riedizione o remaster dal pubblico? Penso si possa per lo meno dire in modo controverso. Alcune operazioni hanno generato tanto entusiasmo quante critiche. I sostenitori pensano che sia una possibilità di giocare comodamente e a basso costo titoli altrimenti difficili da reperire o scomodi da usare, specie con TV moderne. Oppure, che se si è perso un gioco sulla passata generazione, si possa spendere qualche euro in più (ma comunque spesso meno di un titolo nuovo fiammante) e giocarlo in qualità superiore.
A volte le aggiunte sono davvero interessanti, come la modalità VR di Wipeout. I detrattori invece hanno vari argomenti, molto variegati e che arrivano da pensieri molto diversi. Un vero collezionista retrogamer non giocherebbe mai con un NES mini, accettando invece solo gli originali. Altri giocatori lamentano invece che i remaster siano solo becere operazioni commerciali, mirate a ottenere il massimo utile con il minimo sforzo. O che tutto questo vada a detrimento dello sviluppo di titoli nuovi e stia anestetizzando la creatività.
Parto dall'ultimo punto, quello forse più preoccupante, visto che gli altri hanno fondamentalmente argomenti solo economici, a ben vedere. Se andiamo a vedere chi produce remaster, notiamo che spesso non si tratta degli studi originali, ma di studi specializzati in questo campo relativamente nuovo. In altre parole, in molti (anche se non tutti) i casi, non c'è sovrapposizione e quindi non stiamo obbligando i creatori originali a rimanere al lavoro sul medesimo gioco, invece di dedicarsi ad altro. Quando è il team originale a produrre il remaster, invece, può essere un modo per rivedere criticamente quanto fatto tempo addietro, e comunque non è qualcosa che impegni come produrre un titolo da zero.
Per studi piccoli può essere un modo per finanziare, almeno in parte, titoli futuri (penso ai lavori di Vanillaware in questo caso) che altrimenti potrebbero non vedere la luce. Per chi invece lamenta che sia un semplice metodo per fare cassa, posso solo dire che fortunatamente acquistare o meno è una scelta personale. Potrei recuperare il gioco originale, che nel frattempo a seconda dei casi può valere pochi soldi ( The Last of Us su PlayStation 3) o un discreto gruzzolo (Earthbound su SNES) o potrei virare sulle versioni "accessibili". Ma è una mia scelta, di spesa, comodità, gradimento.
Produttori e sviluppatori, benché spesso moralmente "adottati" dai fan, non sono delle ONLUS, e spesso non hanno i fondi infiniti che immaginiamo. Quando si parla di grandi case, come Nintendo, è facile trovare le opinioni più estreme: da chi fa l'impossibile per portarsi a casa le mini console al lancio, fino a chi critica la grande N per aver trovato il modo di fare fruttare in modo notevole giochi di un quarto di secolo fa, che si suppone si siano già abbondantemente ripagati. Ora, forse il punto di vista più ragionevole è quello personale: per me, vale il prezzo del biglietto?
Ci sono però alcuni casi che fanno riflettere. Prendiamo Shadow of the Colossus. La versione PlayStation 4 è superficialmente lo stesso gioco, ma in realtà ci sono cambiamenti importanti: lo stile visivo e la direzione artistica sono cambiati. L'illuminazione è più realistica, più vivida. I modelli sono stati rifatti, come gli ambienti. Non è solo "migliore", senza i cali di frame rate, senza i momenti con la telecamera fuori controllo. Ha un taglio che è differente da quello che Fumito Ueda (che ha dichiarato di non essere stato coinvolto in questo remake) aveva pensato, e non solo per via di limiti tecnici.
Se confrontiamo i colori, i contrasti, la resa dei personaggi umani in Shadow of the Colossus e The Last Guardian, sono sorprendentemente simili. L'incarnato dei personaggi umani è quasi in tinta piatta, le luci ed i contrasti sono onirici, una vera e propria firma visiva. Il remake invece non è così, in parte tradisce le scelte originali. Ed anche rimuovere gli "errori", le bruttezze, i limiti, sta inevitabilmente cambiando la percezione del gioco. L'autore, il team, l'avevano pensato così? O è il massimo che siano riusciti a fare? Vi sono esempi ancora più eclatanti, come i remake di titoli "sacri" come Secret of Mana, che riproposto in chiave modernizzata è stato visto come tutt'altro che "migliorato".
Se nella sua incarnazione a 16 bit era un tripudio di pixelart, che usava in modo incredibile le potenzialità del Super Nintendo con trasparenze, Mode7, e musiche eccezionali, il remake in 3D è visivamente scialbo e privo di personalità. Questo porta ad una conclusione: un gioco, specie un bel gioco, è qualcosa che è stato fatto in un determinato momento nel tempo, con tutto quello che comporta. Quando mettiamo le mani su un remake, dovremmo sapere e ricordare che c'era un originale, che è stato riconosciuto, ricordato. E avere l'opportunità di rigiocarlo, di potervi accedere in modo ragionevolmente semplice ed economico è importante per non obliterare in pochi mesi qualunque cosa di buono venga prodotto, sacrificandolo all'altare del nuovo che inevitabilmente preme. Ma al contempo il remaster e chi lo produce hanno la responsabilità di non stravolgere il passato più o meno recente.
Alcuni giochi includono la versione originale, e addirittura permettono di passare in qualunque momento tra le due (Wonder Boy, Monkey Island e qualche altro) ed è un modo fantastico per poter decidere e confrontare due epoche, due modi di vedere la stessa opera. Se possibile (spesso lo è) sarebbe bellissimo poter fare questo tipo di operazione: offrire una versione "filologica", ovvero l'originale con meno cambiamenti possibili, a fianco di una "abbellita", per poter godere di giochi che sono eccezionali anche senza 4K HDR.
La tentazione del miglioramento è stata ricorrente nel cinema (film in bianco e nero ricolorati con risultati di dubbio gusto, o la prima trilogia di Star Wars rimaneggiata in modo inaccettabile per molti fan, con scene alterate o effetti speciali rifatti da zero) o nella musica (remaster in Dolby Surround di album registrati in mono), ma i giocatori dimostrano una crescente maturità nel non volere semplicemente "di più", e nel sapere riconoscere ciò che è bello e di valore al di là di limiti tecnologici e degli anni che passano.