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Quando la VR incontra l'arte nasce qualcosa di completamente nuovo - editoriale

Un quadro come nessuno mai l'aveva visto e creato.

Era una giornata particolarmente calda e opprimente di ottobre a New York e la scrittrice Olivia Laing si era recata al Whitney Museum per vedere da vicino “I nottambuli”, il famoso dipinto di Edward Hopper ambientato in una tavola calda. Nel suo recente libro The Lonely City, la Laing spiega che cosa significa vedere per la prima volta dal vivo un'opera molto famosa.

La Laing parla poi dell'aspetto dell'opera. “Un angolo luminoso delle pareti della sala da pranzo si stava crepando”, scrive. Non si tratta di una vera e propria crepa sulla parete, ma di una crepa nella pittura che ha colpito la parete del diner. “Una lunga striscia di colore giallo corre tra i due distributori di caffè”, continua la Laing. “La pittura è stata applicata con uno strato molto sottile senza andare a coprire del tutto la tela di lino. Questo ha fatto sì che la superficie fosse solcata da una profusione di piccoli graffietti appena visibili dovuti ai filamenti di lino bianco.”

Credo che quello che descrive la Laing accada molto spesso quando ci si trova improvvisamente di fronte a dei dipinti famosi. La riproduzione dell'opera rende quell'immagine famosa di per sé, ma la vicinanza con il dipinto reale ci restituisce quella che è la vera superficie, il quadro in quanto oggetto. Quell'immagine reale ci trasforma in curatori o forse persino in analisti della scena del crimine: guardiamo la tela e individuiamo le zone danneggiate, le stranezze appena visibili, l'interazione tra fisica, chimica e tempo.

La Laing viene interrotta da una guida turistica che spiega al suo gruppo accalcato intorno all'opera che non c'è nessuna porta nel diner. “Ha ragione”, dice la Laing. “La tavola calda è un luogo di rifugio, assolutamente, ma non c'è un ingresso visibile, non c'è alcun modo per entrare o uscire.” Una porta in fondo alla stanza potrebbe condurre alla cucina, ma “dalla strada la stanza è chiusa: un acquario urbano, una cella di vetro”.

Il ricordo di aver letto tutto questo è tornato in maniera del tutto improvvisa e inaspettata quando ho visto “I nottambuli” passare sulla mia home di Facebook lo scorso fine settimana. Ed è stato come se lo vedessi per la prima volta, facendomi sentire come un testimone dell'opera originale in carne ed ossa, come se potessi in quel momento acquisire nuove conoscenze sulla realtà strutturale dell'opera. Ma quella non era l'opera originale. Era qualcosa di nuovo ed originale. In un video breve ed elegante realizzato da VRScout e SoulPancake, ho visto l'artista George Peaslee ricreare “I nottambuli” con la VR.

Prima di questo, ho visto molti video di persone che lavoravano con strumenti artistici per la realtà virtuale. Applicazioni come Tilt Brush, che immagino sia utilizzata anche da Peaslee, oppure Quill, hanno permesso di dar vita a cose davvero incredibili. Ma guardando la creazione in VR de “I nottambuli”, sono rimasto colpito dall'assoluta stranezza della situazione a cui stavo assistendo. Ad essere affascinante non era solo l'eccitazione di poter osservare qualcuno con l'abilità e la sicurezza di Peaslee nel suo lavoro. In effetti è incredibile poter vedere in azione un artista che sembra essere sempre perfettamente sicuro di dove debba andare di preciso una linea: a volte sembra che gli artisti possano vedere tutta l'opera prima che essa sia realizzata e che stiano semplicemente aiutando l'opera ad emergere per farla vedere anche a noi. L'emozione però, non derivava neppure soltanto dal riconoscere che quello che stavo guardando era un dipinto che già conoscevo e che si stava man mano svelando, ma dalla consapevolezza che tutto quello che stavo osservando fosse nuovo. Non avevo mai visto nessuno lavorare così. Non c'era un nome che potesse definire quello che stava facendo, o meglio, c'erano tantissimi nomi che descrivevano però solo delle parti del suo lavoro, ma nessuno di questi sembrava riuscire a collegarsi al resto.

Gli esterni degli edifici sono realizzati con dei blocchi, l'artista ha poi steso la pittura marrone e verde utilizzando i controller come se fossero dei rulli da imbianchino. La normalità con cui tutto questo viene realizzato è qualcosa di meraviglioso e strano allo stesso tempo. L'artista sta chiaramente stendendo la pittura su una superficie piatta che la assorbe e la trattiene, ma quella superficie non esiste. E l'artista stesso, nell'inganno del video, sembra lavorare in qualche modo all'interno del proprio spazio di lavoro: possiamo vedere i suoi strumenti virtuali e possiamo vedere che lui in persona li sta utilizzando. Seleziona i colori da qualcosa che sembra proprio essere una tavolozza, ma luminosa.

Afferra poi l'intera tavola calda e la sposta in giro. E io penso: mmmh, immagino che si potrebbe definire “selezione di gruppo”. Immagino che sia come la differenza che c'è tra evidenziare una lettera ed evidenziare una parola su Google Doc. Ma in questo caso sta proprio compiendo nello stesso tempo anche un'azione fisica! Sposta la cosa che ha appena creato nello spazio che ha occupato per realizzarla. Per creare l'esterno del diner si trovava al di fuori di esso. Poi ci entra, senza nessuna porta naturalmente, spostandoselo intorno.

La parte che però davvero mi sorprende è quella degli sgabelli da bar e dei distributori di caffè: quei distributori che nell'opera originale di Hopper sono separati dal resto da quella striscia di giallo che aveva notato la Laing. Silva li realizza come se fosse un artigiano chinandosi su di essi. Poi ne fa cadere uno, uno sgabello da bar con il sedile in legno di ciliegio, che si trova nel diner facendo sembrare piccolo tutto ciò che si trova intorno. Lo rimpicciolisce e lo clona riempiendo la scena con il giusto numero di sgabelli, passando così dall'essere un falegname all'essere un arredatore di ambienti e facendo tutto da solo con la pittura! No, in realtà ha fatto tutto con la pittura virtuale, con questo sogno pittorico della tecnologia.

Non ci sono parole a dire la verità per definire tutto questo. Non sta né dipingendo né costruendo. E naturalmente non sta neppure copiando, perché il lavoro finale non sembra una copia de “I nottambuli” esattamente come Las Meninas di Picasso non sembra una copia di Velazquez.

Per la prima volta in un'epoca di videogiochi, o almeno in un'epoca di tecnologia dedicata ai giochi, stiamo assistendo a qualcosa che non ha davvero precedenti. Siamo testimoni di qualcos'altro, qualcosa di nuovo.