Quanto sono importanti veramente i videogiochi in esclusiva?
Il destino delle esclusive all'alba del 2022.
Nel corso delle ultime settimane l'acquisizione di Activision-Blizzard da parte di Microsoft sta passando al vaglio dell'analisi non solo della Federal Trade Commission statunitense, ma di tutte le principali autorità garanti della concorrenza sul piano internazionale. Ovviamente, lo scopo è quello di comprendere se un'acquisizione di tale importanza, vista e considerata la valutazione di oltre 70 miliardi, possa in qualche modo configurare situazioni di monopolio o comunque lesive della concorrenza.
Di tutte le documentazioni prodotte, la più interessante è senza ombra di dubbio la relazione presentata da Sony alle autorità brasiliane, che in ragione delle normative sulla trasparenza è oggi liberamente consultabile da chiunque in una forma pubblica.
Praticamente si tratta di una serie di domande di ogni genere poste dalle autorità brasiliane alle quali Sony ha dovuto dare una risposta per meglio consentire di comprendere l'impatto dell'acquisizione, domande che spaziano da “Ci sono titoli di Activision-Blizzard che non hanno concorrenti nel mercato?”, fino a “Qual è l'impatto dei videogiochi esclusivi?”.
Per la prima volta uno dei principali platform-owner del settore dei videogiochi, ovvero la casa madre di PlayStation, si è dunque espressa al di fuori della mera comunicazione aziendale su diverse tematiche relative all'evoluzione del mercato dei videogiochi, parlando di esclusive e di blockbuster, di concorrenza e dell'effettivo peso degli intrecci tra prodotti e piattaforme di gioco.
“I giochi esclusivi sono un parametro di concorrenza tra Microsoft e SIE, sebbene nessuna azienda abbia finora sviluppato o acquisito un gioco in esclusiva che abbia decisamente spostato gli equilibri a favore di una console. Questo perché i giochi esclusivi stessi sono meno popolari e portano entrate inferiori rispetto ai giochi AAA di terze parti, che solitamente sono disponibili sia su Xbox sia su PlayStation”.
Questa è stata la risposta di Sony all'annosa domanda, alla discussione che infiamma gli ultimi barlumi dell'antica console-war: secondo Sony non è mai esistita una singola esclusiva in grado di muovere gli equilibri del mercato. Questione chiusa? Solo in parte, perché c'è un'altra sezione del documento presentato dai legali di Sony che vale la pena di analizzare, ossia una serie di interventi – principalmente relativi alla serie di Call of Duty – nei quali si tratta non solamente dei blockbuster di Activision-Blizzard ma anche dell'impatto di queste opere sull'ecosistema PlayStation.
“Call of Duty di Activision è un gioco essenziale: un "blockbuster", un gioco AAA che non ha rivali. Secondo uno studio del 2019 'l'importanza di Call of Duty per l'intrattenimento in generale è indescrivibile. Il marchio è stato l'unica IP di videogiochi ad entrare nella top 10 di tutti brand, unendosi a opere come Star Wars, Il Trono di Spade, Harry Potter e Il Signore degli Anelli.' Call of Duty è così popolare da influenzare la scelta della console da parte degli utenti e la sua rete di utenti è talmente fidelizzata che se anche un concorrente avesse il budget per creare un prodotto simile, questo non potrebbe mai rivaleggiare.”
Segue poi un'attenta disamina, ricca tra l'altro di elisioni di sezioni di testo confidenziali, nella quale si parla dei risultati raggiunti da Call of Duty sulle piattaforme di Sony e della struttura generale della serie. Dunque, come dobbiamo prendere questa disamina, che ovviamente non esprime giudizi di valore ma semplici constatazioni, nell'economia generale del documento?
Se da una parte Sony ha affermato che nessun videogioco in esclusiva si è mai dimostrato capace di mutare gli equilibri in favore di una console, dall'altra ha individuato Call of Duty come un titolo per il quale non solo non esiste concorrenza ma “nei confronti del quale - anche se si costruisse in casa un concorrente - non si potrebbe venire a creare una vera rivalità”.
La prima informazione determinante che possiamo ricavare dal documento è che, molto probabilmente, le killer application sono definitivamente morte nel rapporto concorrenziale tra Sony e Microsoft. I grandi videogiochi esclusivi in effetti, come i God of War o i The Last of Us, vivono su quote delle basi installate che impallidiscono di fronte ai numeri astronomici raggiunti dai grandissimi blockbuster come Grand Theft Auto, FIFA e il sopracitato Call of Duty; blockbuster che raggiungono tali numeri proprio in ragione della presenza capillare su tutte le piattaforme.
Quindi sì, senza alcun dubbio c'è una frazione di utenza che orienta la scelta d'acquisto di una piattaforma sulla base dei prodotti esclusivi, ma resta una frazione irrilevante al fine dell'analisi del mercato intero. La storia potrebbe cambiare unicamente se questi videogiochi kolossal che fanno un mercato a sé stante divenissero esclusive ma nel caso specifico l'eventuale esclusività potrebbe minare proprio alla stessa diffusione dei prodotti rivelandosi infine dannosa.
Ma allora è veramente corretto dire che l'esclusività console dei videogiochi AAA è una pratica antica e priva di una vera ragion d'essere di tipo economico? Ovviamente non è così, e i perché risiedono proprio nella teoria economica, nello specifico in tutto il sottobosco di quelli che oggi vengono definiti gli intangible assets, ossia tutte le risorse intangibili che sono proprie di un'azienda e che la concorrenza non può facilmente replicare.
È evidente che l'esclusività del prodotto rappresenti uno dei perni centrali della concorrenza in tutti i settori: Netflix ha i suoi Originals, Amazon produce film e serie televisive, McDonald's offre il suo Big Mac, Burger King il Whopper, DAZN si accaparra i diritti televisivi della Serie A TIM, FIFA ed eFootball si danno battaglia per le licenze delle squadre di calcio, i teatri si contendono le kermesse più attese.
Da una parte Sony sta affermando che l'esclusività di un singolo videogioco per una console non è mai stata in grado di muovere gli equilibri, e ciò è indubbiamente vero, ma dall'altra sta pagando alcuni sviluppatori al fine di evitare che determinati prodotti approdino su Xbox Game Pass dopo aver reintegrato, tra le altre cose, il prossimo capitolo principale di Final Fantasy nel suo portfolio privato. Al di là di queste constatazioni, l'effettivo impatto dell'esclusività andrebbe ricercato non nelle fredde statistiche legate alla singola produzione ma nell'intera storia della compagnia e, per l'appunto, nei suoi intangible assets.
L'importanza e la diffusione odierne del marchio PlayStation sono infatti strettamente legate a un concetto di qualità che non è emerso spontaneamente ma che è stato minuziosamente costruito attraverso anni di successi esclusivi capaci di cementificare quello stesso concetto di qualità nel cuore degli utenti. Chi ha posseduto una PlayStation 4, oggi sceglie di acquistare una PlayStation 5 con la prospettiva, un giorno, di ricevere prodotti esclusivi di qualità pari se non superiore a quelli emersi in passato, quelli che hanno segnato la storia del brand.
Ciò ovviamente non cambia il fatto che in ottica concorrenziale ci siano elementi ancor più determinanti, come ad esempio i prezzi, e che questo genere di meccanismi – se analizzati in maniera isolata – possano apparire di scarsa rilevanza. Ma ci sono strategie, su tutte quella di Nintendo, che sembrano offrire una prospettiva ancora differente.
Nintendo è infatti l'unico platform-owner a poter vantare cinque IP proprietarie nella classifica dei software più venduti, e alcuni di essi sono attualmente presenti sul 50% della base installata; praticamente Mario Kart 8 Deluxe (50 milioni di unità) e Animal Crossing New Horizons (40 milioni) sono presenti su una Switch ogni due in circolazione, mentre Super Smash Bros, Pokémon e Breath of the Wild girano sul 30% delle console distribuite.
Anche in questo caso, d'altra parte, si tratta della risultante di una strategia lunga più di trent'anni più che degli exploit legati alle singole produzioni. Sul fronte di Sony, in effetti, i 19 milioni di copie piazzate da God of War lo rendono il titolo esclusivo più diffuso al netto di oltre 116 milioni di console distribuite.
Una strategia dell'esclusività è dunque possibile anche nel settore dei videogiochi, al netto della presenza incombente di quei colossi di terze parti che a conti fatti occupano nicchie di mercato di dimensioni pari a quelle delle console vere e proprie. Nell'ottica dell'acquisizione di Activision-Blizzard da parte di Microsoft, di converso, la casa di Redmond sembra determinata a non erigere alcun tipo di barriera, e probabilmente non solo perché queste penalizzerebbero economicamente i suoi nuovi blockbuster, ma anche per una questione puramente legata a quell'immagine d'inclusività delineata da Phil Spencer durante lo scorso luglio.
L'unica eccezione è rappresentata da Starfield, perché lo stesso Phil Spencer ha affermato – anche in occasione del rinvio – che Microsoft punta a realizzare un'esperienza che sia più giocata di ogni altra, ma non è dato sapere se parlasse del catalogo di Bethesda o dell'intero mondo dei videogiochi AAA. Certo è che il GDR sci-fi presentato da Todd Howard sarà importantissimo per comprendere quanto possa essere effettivamente ampia la portata di una produzione first-party di nuova generazione.
In definitiva, possiamo affermare con discreta sicurezza che il concetto di killer application non sia definitivamente morto ma stia semplicemente mutando. Più che nell'impatto della singola produzione esclusiva, il peso va ricercato nella “filosofia” che caratterizza l'intera storia di una piattaforma, nel suo portfolio presente ma soprattutto nella prospettiva di un futuro denso di qualità. Certo, costruendosi in casa singole opere artigianali sembra attualmente impossibile sfidare economicamente titani come Call of Duty o GTA Online, ma nel lungo periodo le persone tendono a tornare sempre dove sono state bene.
E poi – ma questa è una considerazione prettamente personale – viene da chiedersi: sarebbe mai esistito un Crash Bandicoot senza un Super Mario? Ecco, la nostra speranza è che i platform-owner continuino a “sfidarsi” in questo modo nell'inseguimento dell'innovazione, lasciando perdere una volta e per sempre gli accordi di esclusività temporale e tutte le altre sciocchezze che danneggiano unicamente il pubblico.