Rain World - recensione
Una breve guida per rovinare un capolavoro.
Cercando di stilare una sorta di classifica delle mode più evidenti dell'attuale industria videoludica ai primi posti non possiamo non citare la voglia di difficoltà, di esperienze complesse, spietate e difficili da padroneggiare. Se tra i tripla A l'esempio più lampante è indubbiamente quello dei Souls e dei vari "cloni" più o meno spudorati, gli indie non hanno mai abbandonato sul serio la voglia di difficoltà, di quel sentimento di appagamento che cresce dopo ogni successo, dopo essere riusciti ad andare al di là dell'ennesima sfida apparentemente insormontabile.
Una sfida insormontabile che in questo caso, come ormai da tradizione per tantissimi giochi indipendenti, parte direttamente da Kickstarter e da una campagna iniziata nel 2014. Rain World (ai tempi Project Rain World) è diventato realtà grazie al lavoro degli americani di Videocult e di circa 3.000 fan che hanno deciso di sostenere il progetto con ben $63.000 a fronte di una richiesta iniziale di $25.000.
Dopo circa tre anni di intenso sviluppo e di miglioramenti sottolineati da accessi anticipati e diversi contenuti condivisi con la community, è finalmente arrivato il momento di rispondere a una domanda quanto mai ossessionante: cosa diavolo è una gattocertola?
Domanda non facile a cui rispondere ma che, come vedremo tra poco, non è di certo il quesito più controverso che ci ha assillato nelle numerose ore in compagnia di Rain World (la longevità dipende molto dalla vostra voglia di esplorazione ma in questo senso non c'è da temere dato che i contenuti non mancano di certo). In parole povere una gattocertola è una delle tante specie che abitano il mondo post-apocalittico che ci ospita, un mondo che presenta ancora segni del passaggio dell'umanità ma che ora è dominato solamente dalle impietose leggi della natura.
L'intero comparto narrativo è stato condensato all'interno della cutscene iniziale, una sequenza introduttiva di circa due minuti che rivela ciò che ci è successo e quello che è il nostro obiettivo principale. Il mondo di Rain World, chi l'avrebbe mai detto, è flagellato da violenti piogge torrenziali che periodicamente mettono a repentaglio le vite di tutte le creature che non riescono a trovare un rifugio. Proprio durante di questi acquazzoni una delle gattocertole viene divisa dalla propria famiglia e risucchiata verso profondità sconosciute e inospitali. Il nostro obiettivo è semplice: sopravvivere e ricongiungerci con la famiglia perduta.
Semplice naturalmente si fa per dire perché come ben presto ci renderemo conto non c'è assolutamente nulla di semplice all'interno di questo esponente dell'interessante mix survival-platform che tanto ci ha fatto penare nel corso della nostra prova con mano. Prendendo il controllo del nostro curioso animaletto dovremo spostarci all'interno di diverse regioni suddivise in varie "stanze".
Per farlo avremo a disposizione azioni basilari e tipiche dei platform ma anche la possibilità di raccogliere oggetti da utilizzare per attaccare altre creature o per nutrirci. Queste sono le uniche meccaniche che ci vengono spiegate esplicitamente dal gioco ma in realtà sono presenti altri particolari movimenti più o meno utili e complessi che starà a noi scoprire, spesso completamente per caso.
Abbiamo parlato di nutrimento perché la raccolta di cibo (frutti o altre creature) è fondamentale per poter salvare in particolari stanze che svolgono la funzione di checkpoint. Una barra formata da sette cerchi è richiamabile con un tasto dedicato (RB) e per poter riposare in una di queste aree di salvataggio è necessario possedere quanto meno quattro cerchi. Proprio per questo motivo la ricerca del cibo è vitale per sperare di sopravvivere all'interno dello spietato mondo di gioco.
Spietato esattamente come la natura dato che il lavoro di Videocult ci mette di fronte a un'opera che riesce a ricreare in maniera credibile un ecosistema vivo e dinamico con tanto di una strutturata catena alimentare all'interno della quale la nostra povera gattocertola non si trova di certo ai gradini più alti. Un semplice attacco da parte di un predatore e saremo morti e anche per questo motivo Rain World sembra proporre delle sfumature da titolo stealth neanche troppo velate.
Quello tratteggiato da uno stile grafico minimale ma comunque molto curato è probabilmente qualcosa di unico, una natura selvaggiamente dinamica dove ogni specie è in conflitto, non solo con il giocatore ma anche con le altre intelligenze artificiali. C'è un fascino singolare e davvero inedito in questo dedalo di cunicoli e rifiuti, la consapevolezza di essere solamente una piccola insignificante tessera di un puzzle che in fondo non ha assolutamente bisogno di noi e che non perde occasione per ricordarcelo senza alcuna pietà.
La tensione è uno dei sentimenti principali di ogni incontro, soprattutto se si è alle prese con una creatura inedita e per questo ulteriormente imprevedibile. A una fase di studio segue quasi sempre una di fuga sfruttando ogni appiglio o cunicolo possibile anche perché per quanto siano presenti delle armi rudimentali (soprattutto delle lance scagliabili), l'approccio diretto è fortemente sconsigliato a tutti coloro che non vogliono prematuramente inciampare in una spirale purtroppo inevitabile di morte e frustrazione.
La frustrazione è una sensazione difficile da trasmettere con efficacia all'interno di una recensione ed è qualcosa di fortemente soggettivo ma ci sono diversi problemi che intaccano quello che poteva rivelarsi un piccolo capolavoro. La prima meccanica a risultare quasi immediatamente frustrante è quella dei salvataggi e del "karma", due elementi fortemente collegati e fondamentali per scoprire nuove aree e proseguire all'interno delle regioni.
La posizione dei checkpoint è purtroppo mal gestita e non avere a disposizione alcuna indicazione sulla posizione delle zone franche ci costringe a un'esplorazione troppo spesso infruttuosa e solamente pericolosa. Ci è capitato di vagare anche per ore nella stessa sezione senza riuscire a scovare un checkpoint, costretti a ripercorrere costantemente le stesse stanze affidandoci solamente alla nostra memoria e senza poter contare sulla mappa di gioco che dopo ogni morte non mostra le stanze esplorate dopo l'ultimo checkpoint.
L'avanzamento è un incessante susseguirsi di morti e la buona riuscita di una spedizione verso una nuova regione è troppo spesso legata alla fortuna e al caso. Lo spawn di nemici e risorse è infatti casuale e le animazioni di ogni essere vivente sono gestite in maniera procedurale. Un'idea potenzialmente interessante e geniale ma che unita a dei comandi spesso poco precisi e al problema dei checkpoint si trasforma nell'ennesima gatta da pelare.
Come se i predatori non fossero sufficienti, a metterci i bastoni tra le ruote ci si mette anche la pioggia, minaccia che periodicamente si abbatte sulle nostre povere teste diventando sinonimo di morte inevitabile. Tra segnali naturali, rumori e stanze sempre più oscure, e il countdown richiamabile sempre con RB, l'arrivo di una perturbazione è tutto sommato prevedibile ma per non rischiare di morire è necessario raggiungere un checkpoint e si ritorna a uno dei problemi elencati poco sopra: la notevole difficoltà nel trovarli.
A questa mole impressionante di ostacoli si aggiunge anche il karma, una meccanica piuttosto oscura, che non viene assolutamente spiegata, e che non vogliamo spoilerare, ma che è legata al raggiungimento di nuove regioni e alle morti. Ciò che è evidente è che l'aggiunta di questa meccanica rende Rain World ancora più difficile, ripetitivo e potenzialmente frustrante.
Sicuramente non è una frase troppo originale ma in questo caso calza a pennello: creare un gioco difficile non è complicato. È complicato creare un gioco difficile che riesca a essere giusto, che non sfoci nella frustrazione, che dia un senso tangibile di progresso e che continui a dare al giocatore l'impressione di poter migliorare. Un'esperienza in cui il fallimento derivi semplicemente da un errore evitabile al prossimo tentativo, non da una casualità che potrebbe ripresentarsi ancora, ancora e ancora senza alcun controllo.
Per certi aspetti Rain World è un gioco più che riuscito. Riesce a dare vita a un intero ecosistema credibile, fatto di prede e predatori con peculiarità, istinti e comportamenti spesso imprevedibili. La sensazione di dover sottostare alle crudeli leggi della natura è palpabile e convincente ma allo stesso tempo ci sono troppe meccaniche che mettono a dura prova anche il giocatore più paziente e appassionato di esperienze dall'elevato tasso di difficoltà.
L'opera di Videocult vive di accecanti luci e di imperscrutabili bui, un gioco che con dei comandi migliori e una gestione diversa di checkpoint e karma avrebbe davvero ambito all'eccellenza all'interno di un panorama indie che sempre più spesso ci regala delle gemme di rara bellezza. Gli sviluppatori si stanno dimostrando ricettivi e hanno promesso patch con miglioramenti e nuovi contenuti (multiplayer, co-op) ma allo stato attuale la storia di questa sperduta gattocertola è un cliché ambulante: la più classica delle occasioni perse.