Ratched (s01) - recensione
La lobotomia tutti i mali si porta via.
Nel 1975 uscì il film 'Qualcuno volò sul nido del cuculo', metafora di un Potere senza pietà che reprime e uniforma ogni diversità (o dissidenza) con una violenza sconvolgente. Eravamo già oltre gli anni dell'innocenza e il sogno appena cominciato era già finito. L'argomento era assai sensibile per il regista Miloš Forman, cecoslovacco molto critico nei confronti del Sistema, transfuga negli Stati uniti dal 1968.
Entrava così nella storia del cinema Mildred Ratched, uno dei "cattivi" più inquietanti perché non si trattava di un mostro deforme, di un pericoloso psicopatico. Era un'infermiera, mestiere rispettato, stimato ("se salvi un uomo sei un eroe, se ne salvi cento sei un infermiere", verrà detto). Ratched era stata costruita per essere il volto che in un attimo da rassicurante impiegata dedita al suo mestiere, diventava un'inflessibile esecutrice dei regolamenti, tramutandosi in una carnefice efferata.
Vengono in mente i tanti che "eseguivano gli ordini", mettendoci un personale entusiasmo. Ma come poteva una donna essere diventata un simile mostro? Qualcuno se lo sarà chiesto allora uscendo dal cinema? Forse no, perché non erano anni in cui andassero di moda i prequel. Visto che adesso invece si usano molto, non dubitiamo che Ryan Murphy si sia interessato all'argomento, traendone spunto per tornare una volta di più su argomenti per lui vitali.
Siamo nel 1947 e Mildred Ratched è una giovane donna che dalla sua impeccabile eleganza osserva il mondo con freddezza e disgusto (interpretata Sarah Paulson, e chi se non lei, divenuta attrice-feticcio di Ryan Murphy). L'infermiera riesce ad entrare nello staff di un'esclusiva clinica sulla costa della California del Nord, diretta dal Dottor Hanover (Jon Jon Briones), un medico filippino dall'incerto curriculum, che somministra a se stesso quasi più droghe che ai suoi pazienti.
Nella clinica sta per essere ricoverato un efferatissimo assassino, Edmund (Finn Wittrock), che ha massacrato sadicamente quattro preti. Quale può essere l'interesse della donna nei suoi confronti, tale da farle affrontare e superare una progressione di problemi sempre più gravi?
Intanto il Governatore (Vincent D'Onofrio), in campagna elettorale, esige una condanna esemplare mentre Gwendolyn Briggs (Cynthia Nixon), la sua addetta stampa, manifesta nei confronti del caso e di Mildred un interesse particolare. Pari interesse mostra anche Wainwright (Corey Stoll), un altro ospite del motel dove l'infermiera ha trovato alloggio, che si lascia scambiare per uno dei tanti giornalisti che affollano la zona, ma nasconde a sua volta dei segreti.
Molti altri personaggi entrano poco alla volta nella storia, affiancando Mildred e costituendo sempre nuovi ostacoli: la capo infermiera Bucket (Judy Davis), un'odiosa zitella, capace di qualunque crudeltà pur di compiacere il suo capo; l'aspirante infermiera Dolly (Alice Englert), che sotto un'innocua apparenza nasconde insospettati desideri di rivalsa; l'odiosa proprietaria del motel (Amanda Plummer), impicciona e bacchettona; un prete traumatizzato (Hunter Parrish), sopravvissuto alla strage.
Soprattutto entra in scena una donna di stratosferica ricchezza, Lenore Osgood (Sharon Stone), una riccastra viziata che gira con un cebo cappuccino sulla spalla, che dalla sua villa dal folle arredamento è convinta di comandare il mondo. Intanto Mildred, che è una subdola manipolatrice, muove i suoi fili mentre deve gestire anche i casi dei vari pazienti, una galleria di casi clinici ricca di personaggi interessanti. Ma sarà una paziente (Sophie Okonedo), afflitta da personalità multiple (Split docet) a imprimere alla storia una svolta decisiva. Che ci consegnerà Mildred Ratched pronta per una seconda, sanguinosa stagione.
Cosa collega tutta questa vicenda, la protagonista e la clinica, al futuro che sappiamo attenderla? Una pratica allora molto in auge, la lobotomia, procedura medica atroce ma applicata fino agli anni '50. In qualche modo la figura di Hanover ricorda quella del vero Dottor Freeman (si parla di migliaia di procedure eseguite), di cui si narra in un episodio della serie Lore.
Che quadro avremo alla fine di questa donna? Non del tutto negativo, nonostante le molte orribili colpe di cui si macchierà, perché Mildred è un mostro reso tale da altri mostri, che l'hanno assediata fin da piccolissima, vessata, abusata e poi, una volta indipendente e già distorta, buttata a destreggiarsi da sola in un mondo di uomini arroganti, sessisti, in una società classista, gretta, razzista, puritana e ipocrita.
Sarah Paulson è un'attrice che ormai fatichiamo a ricordare con un'espressione che non sia quella leggermente inquietante dei suoi tanti ruoli borderline, con i quali Murphy l'ha portata al successo. Corey Stoll qui è un mix fra giornalista e investigatore, con il suo look da macho all'Indiana Jones. Jon Jon Briones (attore dalla lunga carriera mai da protagonista) interpreta una vittima della società e delle sue illusioni. Judy Davis è sempre eccelsa nel ruolo della sfiorita capo infermiera in delirio di onnipotenza. Cynthia Nixon (lontani i tempi di Sex and the City) tratteggia con estrema delicatezza il suo personaggio.
Splendida e carica di carisma è Sharon Stone, ogni apparizione da wow. Degna di una ricerca la sua casa, che nella realtà apparteneva allo scenografo Tony Duquette (se cercate su Google vedrete e capirete). Finn Wittrock (molte serie fra cui American Horror Story e non molti film fra cui La La Land e Judy) è perfido e inquietante come richiesto. D'Onofrio è laido e subdolo come dovuto e ugualmente disturbante riesce ad essere la veterana Amanda Plummer. C'è anche una comparsata veloce di Rosanna Arquette verso la fine, mentre sui titoli di testa scorrono le note della 'Danza macabra' di Saint-Saëns.
Trattandosi di un prodotto scritto, diretto e prodotto da Ryan Murphy, di cui è nota la passione cinefila per la ricostruzione filologica di ambienti e costumi, salta all'occhio l'estrema cura formale che si impone all'attenzione in ogni dettaglio, negli accostamenti cromatici e nella composizione delle inquadrature, negli abiti e nei cappelli dei personaggi, alle auto, anche negli esterni. Tanto che alla fine Ratched (composta da otto episodi, visibili su Netflix dal 18 settembre) più che un thriller/horror sembra un film di Todd Haynes, vista anche l'insistenza su certi argomenti. Inevitabile avvertire a tratti un'atmosfera vagamente hitchockiana dati i luoghi (la costiera di San Francisco), il look dei personaggi e le musiche, che sono di Mac Quayle (sempre al fianco di Murphy).
E quindi qual è l'interesse primario di Ryan Murphy, nel raccontare questa storia? Non è suo interesse mettere in scena una vicenda realistica, perché non rientra nel suo gusto, quindi il tono della narrazione è a tratti surreale e costruito per far passare i messaggi che a lui stanno a cuore, come si è ben visto in tutti i suoi lavori precedenti. Murphy è un autore che oggi grazie a Netflix, lavora a getto continuo, dai tempi di Nip/Tuck ha realizzato serie come Glee, Feud, Hollywood, The Politician, Pose, American Horror Story (citiamo i più riusciti) e merita sempre una visione.
Qui una volta di più vuole parlarci di repressione (ma non con i toni che aveva usato Forman), perché molti personaggi devono condurre vite ipocrite, costretti a tenere ben nascosto il loro passato o le vere pulsioni sessuali, pena l'ostracismo sociale o addirittura la "rieducazione" con metodi che sconfinano nella tortura. E del resto se è vero che il privato è politico, anche impedendo a un essere umano di vivere liberamente a causa del colore della sua pelle o della sua sessualità, si commette un gesto repressivo.
Per attualizzare maggiormente, Murphy farà dire al Governatore, orrida figura di maschilista senza filtri, "io non sono un politico, sono un attore che ascolta quello che vuole il pubblico per darglielo. E il pubblico vuole spettacolo". È indubbio che anche Murphy ascolti lo spirito del tempo e continui a farne spettacolo.