Remnant from the Ashes - recensione
Quando Doom incontra un souls-like cooperativo.
I "Soulslike" sono ormai un genere affermato e dal primo Demon Souls, che ha gettato le basi per un genere sinonimo di frustrazione ai massimi livelli, sono passati ormai dieci anni.
Questa tipologia di giochi però è sempre stata basata sul combattimento con armi bianche e magie, ed era solo questione di tempo prima che qualcuno pensasse d'inserire in questo concept le meccaniche degli sparatutto. Ecco allora Remnant: From the Ashes. Il gioco, realizzato da Gunfire Games, noti in passato per Darksiders 2 e 3, è disponibile da qualche giorno per PC, Xbox One e PS4: noi abbiamo recensito la versione Steam, che può essere affrontata da soli o in modalità cooperativa con altri due amici.
Al momento della creazione del personaggio, poco dopo l'inizio del tutorial, ci viene chiesto quale specializzazione scegliere: Scrapper, ExCultista e Cacciatore sono in realtà variazioni relative alla distanza per combattere per cui sono stati pensati. Il primo, derivato dai Souls originali, è quello più difficile da usare. La sua specialità è infatti il corpo a corpo, in cui eccelle come danno e capacità di colpire più nemici in una volta sola. L'ExCultista e il Cacciatore combattono invece a distanza: il primo eccelle nel medio raggio, mentre il secondo è specializzato nell'ottenere danni critici dalla lunga distanza. Anche se tutti sono dotati di un setup simile per quanto riguarda le armi (pistola, fucile, arma da mischia), sono proprio le caratteristiche di classe a renderli diversi nell'uso e quindi nelle situazioni che possono gestire.
Al suo "core", Remnant: From the Ashes rimane un gioco pensato per il combattimento con armi dalla distanza e questo lo si capisce da molte scelte di gameplay a partire dalle mappe, strutturate per colpire i nemici da molto lontano. Il level design è molto simile a quello dei Dark Souls da cui il gioco prende spunto: le ambientazioni principali sono essenzialmente degli hub pieni di carne da cannone e miniboss più o meno impegnativi. Si parte dal Ward 13, una base sotterranea in cui resistono pochi umani assediati dalle creature del male apparse sulla Terra qualche decennio prima, e ci si connette attraverso un sistema di portali e teletrasporti a delle grandi aree aperte. In ognuna di queste si trovano sempre almeno due o tre passaggi che conducono a istanze, che terminano invariabilmente con un miniboss o un boss di alto livello.
Tratto distintivo RFTA è che le locazioni, in particolare quelle istanziate, vengono generate proceduralmente ogni volta che si fa ritorno per una nuova partita. Non parliamo di livelli completamente nuovi ma di parti dello scenario assemblate in maniera diversa per cambiare la disposizione di aree all'aperto, stanze e corridoi. Questo conferisce al gioco un buon valore di rigiocabilità in termini di esplorazione e combattimento: i minion sono sempre gli stessi ma appaiono in punti diversi e con ondate e consistenze differenti; i miniboss cambiano di continuo tipologia e posizionamento, rendendo l'eventuale retry dopo una morte tutt'altro che scontato.
Non cambiano ovviamente i boss finali di ogni capitolo ma vengono sempre accompagnati da ondate casuali, rendendo più difficile capire il pattern corretto da seguire per farli tornare nella dimensione da cui sono venuti. Essendo procedurale, la generazione delle varie locazioni porta spesso ad ambientazioni piuttosto improbabili e dopo qualche ora di gioco si notano chiaramente porzioni di scenario ricorrenti come stanze, corridori, piattaforme e sotterranei. Fortunatamente il gioco cambia completamente scenari e texture con il proseguire dell'avventura e in questo senso si percepisce meno la ripetitività dell'ambientazione, anche se il continuo deja-vu alle volte genera non poca confusione su dove ci si trova esattamente.
Ma il gameplay basato sulle sparatorie con qualche occasionale spadata quando i colpi scarseggiano funziona? Remnant: From the Ashes non inventa nulla di nuovo ma il mix tra la struttura dei Dark Souls e le meccaniche delle sparatorie viste in decine di altri shooter funziona bene per vari motivi. Il primo è quello della difficoltà, che mette la giusta dose di tensione addosso ai giocatori: un piccolo errore può portare alla morte del singolo e a catena a quella dell'intero party. Il livello normale è estremamente impegnativo ma non inaffrontabile, soprattutto se si ha l'accortezza di potenziare sempre l'equipaggiamento a disposizione prima degli scontri importanti, compresi i consumabili. Fondamentale è coordinarsi a dovere con i compagni di squadra sfruttando le caratteristiche di classe e soprattutto capire velocemente i punti deboli dei boss anticipandone i cambi di fase.
La qualità dei nemici, com'è facilmente intuibile, è alla base del divertimento e possiamo dire che in questo senso i ragazzi di Gunfire Games hanno svolto un ottimo lavoro nel progettare i boss e tutta la fauna che li accompagna. Dal punto di vista grafico il lavoro svolto su dimensioni, animazioni ed effetti è di buon livello, a tratti ottimo, ma sono i comportamenti di attacco e difesa a decretare la bontà del gameplay. I giocatori sono obbligati a cambiare sempre approccio visto che quasi tutti i boss sono capaci di colpire duro da lontano, arrivando spesso a rigenerarsi e portando la durata degli scontri a minutaggi notevoli. Insomma, la brutale letalità che ci si aspetta da un soulslike con tutti i crismi è stata ben implementata.
Molti miniboss sono originali, nel senso che sono stati progettati da zero e non sono semplici remake su scala ridotta di quelli finali. Il loro pregio migliore, oltre a variare gli attacchi e i pattern di spostamento in modo imprevedibile, riguarda uno studio attento degli hitpoint. Molti sono protetti da corazze o aree di minore vulnerabilità, che devono essere individuate e sfruttate a nostro vantaggio sia colpendo i punti scoperti con estrema precisione dalla distanza, sia (per i più temerari), facendosi sotto con lo scrapper a distanza ravvicinata.
A condire il tutto troviamo la carne da cannone, ovvero quei nemici che in teoria sarebbero messi lì per fare numero e farci sprecare munizioni. In realtà, a parte i primi livelli dove gli scartini abbondano, si nota subito che i game designer di Gunfire Games hanno deciso di sposare la qualità dei nostri avversari piuttosto che i numeri. Raramente infatti il gioco si trasforma in una semplice resistenza alle orde nemiche in arrivo dalla distanza. Si deve quindi identificare alla svelta chi ci arriva addosso, anticiparne lo schema d'attacco con movimenti adeguati e reagire di conseguenza mantenendo il controllo della situazione. Una scelta apprezzabile, visto che di giochi che si limitano a replicare la modalità orda in singleplayer sul mercato ce ne sono già parecchi.
Oltre alla conoscenza dei nemici e alla skill dei giocatori, ci sono due elementi tattici molto importanti in Remnant: From the Ashes che possono caratterizzare in modo decisivo la progressione. Il primo è quello delle armi: andando avanti nel gioco se ne sbloccano di nuove, tutte piuttosto ben progettate e sfiziose da usare. Ma a caratterizzarle sono le mod installabili che si trovano presso una vendor specifica del Ward 13. Queste si possono montare e smontare a piacimento: dai colpi infuocati, ai buchi neri che attirano i nemici, alle torrette automatiche, la varietà è sterminata ed è funzionale al venirci in aiuto nelle fasi più drammatiche degli scontri. Spesso per sopravvivere non basta imparare i punti deboli dei nostri avversari ma occorre montare le mod giuste e farle lavorare in tandem a seconda dei nemici che ci troviamo contro o delle peculiarità del boss di turno.
Meno dinamica è l'assegnazione dei punti caratteristica: man mano che si procede nel gioco si sbloccano dei potenziamenti passivi che possono essere progressivamente migliorati con i punti caratteristica come maggiore velocità di recupero, più energia, tempi di ricarica ridotti, raggio delle cure e così via. Tutte skill da far crescere spendendo i punti accumulati concentrandosi solo su alcune o distribuendoli equamente su tutte le caratteristiche sbloccate. In questo caso i punti non sono riassegnabili finchè non si droppa un oggetto specifico, quindi la scelta si deve fare con una certa oculatezza in base al nostro stile di gioco, sopratutto nelle fasi iniziali.
Altri dettagli caratterizzano la giocabilità di Remnant: From the Ashes e sono connessi a scelte di gameplay ben precise. A incidere sulla progressione ci sono i teletrasporti raffigurati sotto forma di cristalli di diverse dimensioni. Questi hanno una tripla funzione: la prima è connettere le varie aree di gioco al Ward 13, permettendoci di tornare in ogni momento dai vendor per potenziare armi, armature, acquistarne o farne craftare di nuove. Essenziali anche i diversi tipi di consumabili da usare nei momenti critici, in particolare bende e pozioni di diverso genere per fermare effetti collaterali dei combattimenti. Non è raro infatti continuare a subire danni da sanguinamento, infezione, radiazioni, corrosione o avvelenamenti che se non curati mentre si combatte o al termine dello scontro, possono farci fallire la missione.
In seconda battuta i cristalli fanno da checkpoint nella progressione del gioco, salvando la posizione e rigenerando munizioni ed energia; dopo gli scontri più duri sono spesso visti come un'oasi nel deserto, visto che morire nelle loro vicinanze obbliga a rigiocare l'intera porzione di dungeon dal checkpoint precedente, situazione resa non facile dalla rigenerazione randomica dei nemici. Infine sono il punto di respawn dei nostri compagni: se si perde un membro del party, quelli rimasti in vita possono cercare di proseguire fino al checkpoint successivo da soli o tornare indietro per attivare il respawn di tutto il party. La prima soluzione è ovviamente quella preferibile, in quanto ogni volta che si utilizza un teletrasporto per riposare e rievocare i caduti, si rigenerano tutti i nemici del livello.
Nel complesso, Remnant: From the Ashes ci è piaciuto. È uno sparatutto per giocatori con gli attributi che non si scoraggiano facilmente e vogliono mettersi alla prova. Il gioco replica i canoni dei soulslike in modo piuttosto scolastico, ma è perfettamente funzionale ai masochismi da achievement che questo genere vuole offrire. Si soffre, ma dandoci dentro, in particolare in modalità cooperativa, ci si diverte parecchio grazie a una contaminazione di generi che funziona molto bene, riuscendo a tenere sempre alta la tensione, anche negli scontri di avvicinamento ai boss dove il wipe è tutt'altro che raro.
Qualche difetto c'è ma niente di particolarmente opprimente. La trama è tutto sommato risibile, il riciclo delle locazioni dà un po' fastidio, anche se i cambi d'ambientazione sono fortunatamente frequenti. Abbiamo notato anche qualche bug, in particolare alcuni boss che traslano posizione innaturalmente, qualche mostro bloccato e altre piccolezze del genere, ma sono rari e non rovinano la valutazione complessiva di un gioco ben realizzato tecnicamente e artisticamente.
Non sono però questi problemi a togliergli il bollino qualità, ma l'evidente natura derivativa di struttura e gameplay che non inventa praticamente niente ma prende spunto e basta. Se però cercate un titolo impegnativo e caciarone, Remnant: From the Ashes è un acquisto più che consigliato agli appassionati di sparatutto cooperativi, con cui condividere scariche di masochismo di altissimo livello.