Remothered: Broken Porcelain - recensione
Nomen Omen.
Remothered: Broken Porcelain fu annunciato durante gli Italian Video Games Awards del 2019, atteso per l'agosto dell'anno seguente, ma poi rimandato di svariati mesi a causa dell'emergenza coronavirus.
Nonostante tutto, il gioco è finalmente arrivato fra le mani di tutti quei giocatori che, ammaliati dal fascino retro e l'intrigante atmosfera di Remothered: Tormented Fathers, aspettavano ansiosi la luce che avrebbe svelato il destino di Celeste Felton e il passato di Rosemary Reed.
Dal punto di vista cronologico, Broken Porcelain si pone a cavallo di Tormented Fathers, fungendo dunque sia da prequel, che da sequel. Il giocatore si troverà a controllare più di un personaggio nel corso della breve, ma intensa campagna, che mantiene lo stile del precedente Remothered. Purtroppo, però, quasi ogni cambiamento apportato al gameplay risulta peggiorativo.
Tanto per cominciare i puzzle ambientali sono stati semplificati al punto da poter essere considerati a malapena tali; sicuramente alcuni passaggi di Tormented Fathers erano fin troppo old school, decisamente poco intuitivi, ma una sana via di mezzo sarebbe stata di gran lunga più gradita. Anche per quanto riguarda l'atmosfera, l'Ashmann Inn non regge il confronto con la bellissima e claustrofobica villa della famiglia Felton e la mancanza di polishing del titolo non favorisce l'immersività.
Nonostante le svariate patch pubblicate dopo l'uscita abbiano limitato i danni, infatti, Remothered: Broken Porcelain presenta animazioni persino peggiori delle già legnose movenze del predecessore, audio con la tendenza ad andare fuori sync tanto nelle cutscene che nelle fasi di gioco, filmati tagliati con l'accetta e montati con colla vinilica (oltre a diverse scelte registiche discutibili che prescindono la qualità grafica o poligonale), personaggi alleati e ostili che, per problemi di programmazione, perdono ogni desiderio di vivere e smettono di muoversi all'improvviso e senza alcuna ragione, inspiegabili compenetrazioni tra i modelli poligonali e i loro stessi abiti, che spariscono all'interno della pelle, interazioni con la mappa di gioco che non funzionano come dovrebbero e nuove meccaniche di gioco che, proprio come il pendolo di un metronomo, oscillano tra l'inutile e il malfatto.
Il primo e più palese esempio è il sistema di crafting: oltre a essere narrativamente poco sensato, il gioco permette di trovare diversivi e strumenti di difesa in quantità tali da rendere del tutto inutile la possibilità di "potenziare" una corda con dell'insetticida o della farina per aumentarne l'efficacia.
Ciò viene esasperato anche alla passività degli stalker, poco reattivi agli stimoli sonori e visivi e dai quali non sarà mai effettivamente necessario nascondersi, se non nelle fasi obbligatorie della storia, proprio per quanto risulta semplice seminarli e proseguire le proprie incombenze. Tutta un'altra storia, insomma, rispetto a quella piaga d'Egitto che riusciva a essere il caro, vecchio e nudo notaio Felton.
Impossibile non nominare lo speciale potere della nuova protagonista: la giovane Jennifer è infatti, per ragioni legate alla trama, in grado di controllare le falene di Acherontia, spingendole a compiere azioni poco utili e ancor meno credibili, come mandare in corto circuito quadri elettrici, attivare juke-box, raccogliere collezionabili nascosti e... stordire i nemici colpendoli alla testa.
Il tutto, ovviamente, senza che il modello della falena sia mai visibile a schermo o che i suoi movimenti e velocità siano anche solo minimamente vicini a quello di un reale lepidottero o, semplicemente, ai comandi di un videogioco che non voglia palesemente punire chi lo stia giocando.
Immaginate di estrarre dal gioco l'ultima, più movimentata e meno convincente sezione della storia di Tormented Fathers, in cui la parvenza realistica della narrazione va un po' a farsi benedire e si passa da un'atmosfera di angoscia e tensione a quella di un classico finale da film horror slasher mandato in onda durante le seconde serate di fine ottobre. A questo punto, districate questa matassa di level design lineare, comandi imprecisi e combattimenti poco entusiasmanti e scriptati, stendendola lungo due terzi della durata di Broken Porcelain.
Il secondo Remothered sembra infatti riproporre volutamente e con gli interessi tutte quelle meccaniche deboli del lavoro originale, obbligando il giocatore ad affrontare lunghe e ripetitive bossfight prive di mordente, da completare eseguendo azioni anti intuitive all'interno di stanze piccolissime in cui girare in tondo per evitare i fendenti nemici, evitando che la telecamera finisca incastrata in qualche punto cieco.
Come si è partiti dall'esistenza tormentata di una ragazza costretta dal padre a vivere la propria vita come un uomo, assumendo ormoni, droghe e farmaci di ogni tipo, sviluppando una doppia personalità e svariate psicosi, trasformandosi nell'inerme marionetta di un'aguzzina rancorosa che le infliggerà atroci tormenti fino a un'orribile morte... per arrivare a un colossale stalker zombie con indosso una sorta di Okame, posseduto da psicoparassiti fantascientifici, che mangia uccelli vivi e ci prende a bastonate mentre fischietta e schiva i nostri proiettili grazie a uno scudo di falene?
Persino la tanto decantata fotofobia, conseguenza e concausa della tragedia consumatasi nel convento Cristo Morente e che ha spinto la sola Suora Rossa sopravvissuta a cavarsi gli occhi non appena raggiunta da un raggio di luce nel corso dello scontro finale del primo gioco, qui viene dimenticata dopo una scena e la cara donna riuscirà a passeggiare allegramente armata di lanciafiamme, anche senza il velo sugli occhi, in sale e corridoi perfettamente illuminati, per riuscire a un certo punto anche a puntare un revolver senza mostrare il minimo problema alla vista.
Così come il livello di concentrazione degli stalker nei nostri confronti, anche il ritmo della storia risulta altalenante, con la tendenza a soffermarsi su inezie, prolungando dialoghi scontati in almeno il triplo degli scambi di battute necessari a comprendere la situazione, per poi saltare a piè pari tutto il build-up relazionale fra personaggi vecchi e nuovi e, giusto per confondere ancor di più lo spettatore, mostrando un estemporaneo rapporto sentimentale che nulla aggiunge alla narrazione, se non la sempre più gettonata quota LGBTQ+.
Siamo ben lontani dalla spietata delicatezza con cui Tormented Fathers portava a empatizzare e provar pietà per lo stalker che ci aveva inseguiti, offesi e uccisi per ore in ripostigli e corridoi della Villa Felton: le figure negative di Broken Porcelain sono corpi senza più vita o pure incarnazioni di ogni possibile depravazione e volgarità umana, anime che probabilmente non sarebbero accolte nemmeno nei più fetidi gironi infernali.
Nonostante il ritmo degli eventi sia decisamente più serrato rispetto a Tormented Fathers, in Remothered: Broken Porcelain sembra sempre mancare qualcosa; ciò viene confermato dallo scarso senso di responsabilità provato davanti una scelta etica presente nelle fasi finali, che coinvolge un personaggio eccessivamente bidimensionale e macchiettistico e la cui sorte, a dirla tutta, è davvero irrilevante una volta giunti a quel punto della storia.
La durata dell'avventura è di circa cinque ore nel caso in cui il tutto fosse vissuto con estrema calma, ma per i problemi fino ad ora elencati, difficilmente il desiderio di rigiocarlo farà capolino. Indubbiamente, tutti coloro che aspettavano una risposta al misterioso finale di Tormented Fathers avranno ciò che desiderano, con una sequenza conclusiva della storia che riesce anche a strappare qualche lacrima e lascia il giusto, rispettoso spiraglio per un potenziale approfondimento delle vicende... ma l'intera esecuzione tecnica, registica e videoludica dell'esperienza lascia a desiderare da qualunque prospettiva la si guardi.
Dopo il buon Tormented Fathers, Remothered: Broken Porcelain è una cocente delusione su praticamente ogni fronte. Anche ignorando la presenza di numerosi bug, nessun aspetto del titolo precedente è stato migliorato e anzi, sembra quasi che siano stati esasperati tutti quegli elementi poco convincenti del primo gioco. Come se non bastasse, la narrativa abbandona la propria sottigliezza psicologica e credibilità, per deragliare in un minestrone di stereotipi orrorifici da B-movie.
Ciò che farà infuriare i videogiocatori che nel 2018 hanno apprezzato il primo Remothered, però, è la bruciante sensazione che gli sviluppatori non abbiano nemmeno provato a rimediare ai - in larga parte - comprensibili limiti e problemi del proprio lavoro.
Non resta che sperare che, con il prossimo progetto, Stormind Games raccolga i cocci di questa porcellana infranta, imparando dai propri errori.