Resident Evil: istruzioni per la rinascita - editoriale
È arrivato il momento di ripartire.
Se c'è una cosa che il recente reboot di Tomb Raider ha dimostrato, è che si può prendere una delle saghe più famose della storia dei videogiochi, trovare gli aspetti fondamentali che la caratterizzano e, basandosi solo su questi, ripartire da zero. La nuova e assai più giovane signorina Croft è molto diversa da quella vista prima del reboot e le due hanno ben poco in comune, forse solo la passione per l'esplorazione e i manufatti antichi. Ma questo ha forse reso meno divertente o appassionante il gioco?
Si può quindi buttare via la stragrande maggioranza di quanto visto finora, non metterlo da parte ma proprio dimenticarlo per sempre, costruire qualcosa di nuovo e avere un successo di critica e di pubblico. Ripartire o se preferite "rilanciare", non è una cosa nemmeno così rara o difficile da fare: chi segue il mondo dei fumetti americani è abituato a vedere le storie di supereroi, come Superman o Wolverine, che di punto in bianco ripartono con un nuovo inizio, spesso legato a un nuovo status quo del protagonista e relativo nuovo numero 1 della serie.
Lo stesso vale anche al cinema: quanti Batman abbiamo avuto completamente scollegati uno dall'altro? Il recente Amazing Spider-Man non è forse un reboot del personaggio che non ha alcun legame con la trilogia di Raimi?
Nei videogiochi, invece, questo non succede praticamente mai. In parte dipende dal fatto che stiamo parlando di un medium ancora decisamente molto giovane ma in generale c'è anche una strana riluttanza a prendere un titolo vecchio e con una storia e dei personaggi ben definiti, e rilanciarlo dopo averlo pesantemente rivisto. Eppure di saghe che avrebbero bisogno di ripartire da zero ce ne sono in quantità, e ognuno di noi potrebbe facilmente dirne una decina. Ce n'è una che però è, secondo me, indiscutibilmente quella che più necessita questo trattamento, prima che sia troppo tardi: Resident Evil.
"Il gioco di Capcom che ha contribuito pesantemente al successo della primissima PlayStation è oggi l'ombra di se stesso"
Il gioco di Capcom che ha contribuito pesantemente al successo della primissima PlayStation è oggi l'ombra di se stesso. Quello che una volta era un campione assoluto di incassi, un titolo di cui si parlava con entusiasmo per mesi prima dell'uscita, oggi è sui radar di molti giocatori solo perché il nome è famoso. Ma anche questo non basta più, come dimostrano i dati di vendita non propriamente esaltanti di Resident Evil 6, ben al di sotto delle previsioni di Capcom.
Cosa è andato male dal punto di vista tecnico lo spiega molto bene il nostro Matteo Lorenzetti in un esaustivo articolo che vi invito a leggere, ma le ragioni non sono solo "tecniche". Resident Evil è una saga che si è evoluta moltissimo dalla sua nascita ad oggi. Il problema è che non sempre questa evoluzione si può dire essere stata positiva.
Prendiamo per esempio il passaggio da survival horror ad action puro. Iniziato col quarto capitolo, accolto bene dalla maggior parte degli appassionati, è proseguito in un quinto che non cambiava praticamente nulla rispetto al precedente nella meccanica di gioco e, anzi, a causa del passare del tempo, sembrava fuori tempo massimo. Un problema che RE 6 doveva risolvere, soprattutto nell'aspetto legato al non essere costretti a sparare solo da fermi, ma la giocabilità finale è probabilmente peggiore.
"Non solo Capcom ha abbandonato l'aspetto horror ma l'ha fatto per concentrarsi su una fase action che finora ha sempre deluso le aspettative"
Quindi non solo Capcom ha abbandonato l'aspetto horror ma l'ha fatto per concentrarsi su una fase action che finora ha sempre nettamente deluso le aspettative. Ma il vero problema che hanno i più recenti giochi di questa saga è, per me, un altro. Resident Evil da sempre basa buona parte del suo appeal sul coinvolgimento del giocatore, su una storia appassionante in grado di rapirlo e incuriosirlo. Sfortunatamente quanto ci viene raccontato negli ultimi capitoli è, invece, spesso inutilmente contorto, confuso nei rimandi e nelle citazioni.
Peggio ancora, per lunghi tratti la storia è semplicemente e drammaticamente, noiosa. La trama ha perso mordente, incisività e troppo spesso pure senso. E dire che l'idea iniziare era se non geniale, quantomeno ben pensata e narrata: zombie creati da una grande multinazionale della biogenetica (a cui è stato dato un nome semplice e d'effetto e un logo oggettivamente splendido: la Umbrella) e forze dell'ordine che si occupano di trovare e sventare queste minacce. Tra i membri di queste ultime trovavamo solo agenti splendidamente caratterizzati, e gli avvenimenti erano ambientati in luoghi affascinanti in cui succedevano grossi incidenti con montagne di cadaveri e mostri da eliminare.
Il punto di partenza, come detto, è innegabilmente affascinante. Peccato che poi si siano persi per strada aggiungendo personaggi abbastanza inutili, raccontandoci di cento tipi di virus diversi (T, G, Uroboros, eccetera) che hanno effetti tutti sulla carta unici ma che, all'atto pratico, sono sostanzialmente uguali. Più passava il tempo più è stata introdotta una artificiosa e inutile complessità, con l'idea di attirare maggiormente il giocatore nella storia e nel mondo di Resident Evil, ma con l'effetto anche di confondere le idee a più di un appassionato e scoraggiare i nuovi giocatori.
"Bisogna sfruttare la nuova generazione di console e ripartire da zero"
Così le trame si sono fatte sempre più contorte, i dialoghi sono diventati via via più criptici e ricchi di riferimenti se non oscuri, quantomeno poco chiari, e si è creata una gran confusione nella mitologia della saga.
Non tutto è perduto, però. Non ancora. Gli appassionati ci sono, c'è ancora tempo per rimediare. Ma per farlo bisogna affrontare la situazione nell'unico, vero modo possibile: sfruttare la nuova generazione di console per ripartire da zero. Salviamo la Umbrella e un paio di virus a piacere (ma non di più). Stabiliamo i protagonisti da usare: Chris e Jill, magari anche Leon? Tre possono bastare, non di più. Infine prendiamo un cattivo unico e mettiamolo a capo della Umbrella. Il candidato ideale non può che essere Albert Wesker, a cui si potrebbe affiancare una fidata e letale moglie come Ada Wong, ma si può anche inventarsi qualcuno di nuovo.
Ambientiamo il tutto a Raccoon City, seghiamo la S.T.A.R.S. perché non ha senso che una minaccia batteriologica del genere venga affrontata da poliziotti di un piccolo paese, e usiamo direttamente la B.S.A.A. fin dall'inizio. Oppure stravolgiamo ancora di più la storia, dando a Chris e Jill il ruolo di ex-dipendenti della Umbrella che l'hanno lasciata quando hanno scoperto i crimini in corso, e ora sono tornati con l'intenzione di distruggerla. Le vie possibili sono infinite e Tomb Raider ci ha dimostrato che se la realizzazione tecnica è fatta bene e la trama ben curata, si può osare molto e ottenere grandi risultati.
La buona notizia è che c'è una speranza che questo succeda davvero. A inizio dell'anno scorso, Masachika Kawata, producer di Resident Evil: Revelations, ha dichiarato che Capcom sta prendendo in considerazione l'idea di un reboot. La cattiva è che questo avverrebbe per supportare un cambiamento della meccanica di gioco, visto che si pensa a un Resident Evil in un open world.
Il che mi lascia perplesso: The Last of Us ha mostrato chiaramente come certi tipi di storie funzionano meglio se raccontate con un binario fisso da far seguire ai giocatori, mentre la trilogia di Dead Rising ci ha insegnato che action e zombie possono convivere alla grande, ma l'elemento horror viene fortemente penalizzato (se non scompare del tutto). Tutto sta nel capire quale strada seguirà Capcom.
Sappiamo che stanno lavorando a Resident Evil 7, non ci resta che aspettare l'E3 dove, forse, ne scopriremo qualcosa in più.