Resident Evil S1 Recensione, il franchise si replica all’infinito, come il virus T
“Umbrella prende quello che Umbrella vuole”.
Il notissimo videogame nato nel 1996 dalla mente di Shinji Mikami ha generato film in live action e in animazione, fumetti, libri e merchandising vario. La serie di sei film è invece iniziata nel 2002, facendo di Milla Jovovich la star che conosciamo.
Dopo sette riduzioni cinematografiche delle quali l’ultima, Welcome to Raccoon City, era più rispettosa del videogame ma come oggetto cinematografico ha riscosso scarso successo, arriva adesso una serie TV che senza guizzi di originalità si intitola Resident Evil.
La distruzione di Raccoon City del 1998, dopo il dilagare del Virus T, è alle spalle. Per rimediare al disastro e rifarsi un’immagine l’Umbrella si è buttata nella ricerca di una pillola della felicità e ha costruito in Sud Africa una specie di “paradiso urbano”, chiamato New Raccoon City. Si tratta di una finta cittadina di un bianco abbagliante, ordinato come il rendering di un’immobiliare, dove ospita i suoi dipendenti. Un tecnologico ghetto di lusso ma dall’atmosfera già inquietante. E infatti niente di buono vi accadrà, di nuovo.
All’inizio della serie siamo nel 2036, data che gli scienziati avevano indicato come momento di definitivo collasso del pianeta. E hanno sbagliato perché tutto è iniziato nel 2022, proprio in quel lindo paradiso aziendale. In una Londra devastata incontriamo Jade, giovane ricercatrice che a rischio della vita sta cercando di effettuare una mappatura dei vari gruppi di zombi che infestano la città o quel che ne resta, in cerca di una loro evoluzione.
Siamo nel solito panorama post-apocalittico con 6 miliardi di zombie contro 300 milioni di umani sopravvissuti. Le mostruose creature sono raffigurate nel modo tradizionale (ormai gli zombie sono tutti veloci), sono ciechi e sordi ma con un olfatto acutissimo e dall’aspetto ovviamente disgustoso e repellente (almeno per il trucco si è speso bene). Come se non bastasse, compaiono a sorpresa altre mostruose creature mutate.
L’azione torna al 2022, tre mesi prima della fine, nella luminosa villa di New Raccon City dove si stanno per trasferire lo stimato ricercatore Albert Wesker con le sue due figlie, che sono la già conosciuta Jade e Billie, due adolescenti che esprimono diversamente il proprio disagio esistenziale, sorellastre da diverse madri surrogate, all’oscuro del passato del padre (che lo spettatore invece ben conosce e quindi s’interroga sulla sua presenza).
La pillola che Albert sta sperimentando, che si chiama opportunamente Joy, dovrebbe rivoluzionare l’umanità, mille volte più efficace e dal raggio d’azione più vasto del Prozac. Ma preoccupanti effetti collaterali si sono già manifestati: potevamo dubitarne? Come se non bastassero le figlie e la ricerca, Albert deve vedersela con la perfida Evelyn, a capo dell’Umbrella, donna che gli scrupoli proprio non sa dove stiano di casa.
Le due ragazze sono fastidiose come ormai è tradizione dei film e delle serie TV americane, ostinate, indisciplinate, ribelli, autoriferite, sorde a ogni troppo cortese ammonimento del padre. Spinte da diversi sentimenti, su cui troneggia la contrarietà nei suoi confronti, una notte fanno irruzione (con estrema facilità, va detto) nella struttura. Cosa potrà mai andare storto?
La storia è raccontata intrecciando passato e presente, il prima e il dopo, con un ricorso meccanico e ossessivo di flashback, frammentando la narrazione in modo eccessivo e spesso non necessario. Per vivacizzare l’azione e ricordare che siamo all’interno del marchio Resident Evil, compaiono alcuni mostri canonici della serie come il vermone Grave Digger, i Licker, i ragni giganti e Cerberus, ma non sono sempre resi al meglio: solo il gigantesco coccodrillo è realizzato in modo soddisfacente. E nel finale si fa il nome di un personaggio femminile, comparso nei videogame e anche in due film. La serie ha un finale aperto, in vista di una seconda stagione, che però non è stata ancora annunciata.
Questa rilettura riduce l’angosciosa saga a un horror post-apocalittico in salsa teen, con un’aura da B-Movie dove abbondano lo splatter e prevedibili jump scare. Dato che di adolescenti gratuitamente rompiscatole è ormai piena la narrazione anglosassone, c’interroghiamo sui sistemi educativi di quelle aree, che ormai hanno contagiato anche le nostre. Resta che quando a un personaggio auguri la peggior fine, qualcosa da qualche parte è stato sbagliato.
L’eroina Jade, che anche da adulta è rimasta come era da ragazza, una che prima agisce e poi pensa, nel corso di tutti gli episodi si distingue per la pervicacia con cui prende sempre la decisione sbagliata, coinvolgendo nella sua incoscienza anche le persone amate, con una mancanza di autocritica che suscita quasi ilarità. E non si può pretendere che a un personaggio così il pubblico si affezioni, Addirittura viene stravolto pure Wesker, antagonista storico della serie di videogame, che è omertoso in famiglia per necessità e in preda a molti scrupoli nello svolgimento delle sue ricerche, e finisce per suscitare quasi comprensione, vista la sua difficile posizione.
Lance Reddick (Fringe, Bosch) porta il suo carisma nel ruolo di Wesker, l’unico con un minimo di spessore. Jade da ragazza è interpretata da Tamara Smart, mentre da adulta è Ella Balinska. Quanto a Billie, le due attrici sono Siena Agudong eAdeline Rudolph. L’infida ma stilosa Evelyn è si cala negli eleganti tallieur della messicana Paola Nuñez (La Regina del Sud, The Purge). Ma nessuno è lì per ambire a un Emmy. Quanto al poco ispirato ideatore della serie, si tratta di Andrew Dabb, già sceneggiatore e produttore di Supernatural.
Inutile aggiungere che, come al solito, degli otto episodi ne sarebbero bastati ampiamente sei. Un colpo di scena alla fine del quinto e del sesto episodio vivacizzano la parte conclusiva, ridestando almeno un poco di interesse da parte dello spettatore rimasto a guardare. Ma a quale categoria apparterrà questo sopravissuto? Abbiamo detto tante volte che un libro, un videogame e un film sono media differenti. Quando però si scontenta chiunque, lettore, giocatore o spettatore, non è un bel risultato.
Questo nuovo trattamento del mondo di Resident Evil non solo susciterà disapprovazione da parte degli appassionati del gioco ma, quel che è peggio, perfino dei seguaci della saga cinematografica. Qui si risolve in una serie che ha come protagoniste due ragazze moleste che crescendo non potranno che peggiorare, mentre intorno a loro si scatena per l’ennesima volta un’apocalisse zombie. La chiamiamo ancora Resident Evil? Certo, con quello che sarà costato…
Si possono comprare i diritti di qualunque marchio e proseguire con prequel, sequel e spin-off all’infinito. Così facendo però ci si allontana sempre di più dall’originale, perdendo di vista proprio l’essenza di quel marchio pagato a caro prezzo.