Residue: Final Cut, un platform che fa flop - review
Non sempre indie fa rima con stile.
Quali sono le qualità imprescindibili che un videogioco deve avere per soddisfare il pubblico? Per prima cosa deve essere divertente e, se possibile, appassionante per il giocatore. Secondo: deve raccontare una storia coinvolgente, che riesca ad appassionare/commuovere/spaventare chi la vive in prima persona. Terzo, se possibile deve essere gradevole tanto per gli occhi quanto per le orecchie.
Quanti giochi soddisfano tutte e tre queste "regole"? Senza voler fare torto a nessuno, i primi titoli che mi vengono in mente sono The Last of Us, Shenmue e Half-Life 2, ma la lista non è poi così lunga. Tanti posseggono almeno due di queste qualità e molti di più ne portano con sé almeno una pur prestando il fianco a parecchie critiche.
Ma quanti invece possono dire di essere gravemente carenti in tutte le categorie appena citate? Probabilmente pochi, trovare solo difetti in un gioco è raro almeno quanto trovare solo pregi e sinceramente nel momento in cui scrivo non mi vengono in mente esempi lampanti. Purtroppo il gioco a cui è dedicata questa recensione si avvicina moltissimo a questo inferno innominabile e devo dire che la cosa mi dispiace non poco.
A sviluppare Residue: Final Cut sono stati i volenterosi programmatori svedesi del team The Working Parts, che con questo titolo hanno tentato di uscire dalla massa dell'anonimato per fare il grande salto. Purtroppo il tentativo non è andato a buon fine e il risultato finale è un mucchio di idee messe in pratica nel peggiore dei modi.
L'idea di base non era niente male: realizzare un action-platform "disegnato a mano" con una storia ispirata al disastro ambientale del Lago d'Aral, raro esempio di lago con acqua salata situato al confine tra Uzbekistan e Kazakistan.
Dal 1960 ad oggi questo enorme bacino si è ridotto dai 68.000 kmq originari ai circa 7.000 attuali, una desertificazione progressiva dovuta allo sfruttamento indiscriminato dei suoi immissari principali da parte dei consorzi agricoli.
In Residue: Final Cut, il protagonista Nikolai Sitvin è a capo di un team di persone intenzionato a riportare l'Aral alle sue condizioni originali, combattendo contro spietate multinazionali sovietiche.
Il gioco viene vissuto impersonando lo stesso Nikolai e i suoi compagni Emilio e Jumagul, che si alternano negli 11 capitoli del gioco sfruttando le proprie specifiche abilità per superare i consueti ostacoli ideati dal team di sviluppo. Il primo può utilizzare un rampino e arrampicarsi, il secondo è in grado di saltare più in alto e nuotare sott'acqua, mentre il terzo è l'unico (stranamente) capace di aprire porte.
Ovviamente i livelli sono stati disegnati proprio per utilizzare in maniera alternata tali abilità, ma il problema è che già dopo i primi capitoli si capisce che lo scarso budget a disposizione del team non ha permesso a designer e sviluppatori di realizzare un'avventura degna di questo nome. Le sezioni platform sono a dir poco basilari e i pochi puzzle/enigmi proposti fanno parte dell'ABC del genere.
La cosa che maggiormente mina le possibilità di divertimento, tuttavia, risiede nell'impreciso sistema di controllo, che diventa ancora più frustrante nelle sezioni in cui bisogna utilizzare il suddetto rampino di Nikolai. In alcuni casi, inoltre, è difficile anche solo capire dove bisogna andare, il che costringe il giocatore a girovagare senza meta.
Tecnicamente parlando, nei primi minuti di gioco è impossibile non rimanere conquistati dal coraggioso stile grafico scelto dai ragazzi di The Working Parts, ma non appena le cose iniziano a muoversi ciò che rimane impresso nelle pupille è un set di animazioni brutalmente rozze, che poco hanno di artigianale e attraente.
Le musiche di accompagnamento sono tutto sommato interessanti, ma lo stesso non può dirsi del doppiaggio e dei dialoghi, che a volte sconfinano nel non-sense totale.
Sebbene promettente e coraggioso nelle sue premesse, Residue: Final Cut si è purtroppo rivelato come un prodotto poco divertente e rifinito, a tratti addirittura irritante nella sua grossolanità. Un vero peccato perché il tema trattato avrebbe potuto fare da solida spina dorsale ad un'avventura coinvolgente e indimenticabile.