Return to Monkey Island, la recensione
Un mistero lungo 32 anni.
L’industria videoludica è in continua evoluzione e negli ultimi anni stiamo assistendo all'emersione di sempre più novità, che si traducono in un esorbitante numero di produzioni e nella nascita di generi e sottogeneri che popolano le nostre librerie su tutte le piattaforme. Se i dibattiti più infuocati adesso si focalizzano su tecnologia e grafica, c’è stato un tempo in cui tutto ciò non era neanche immaginabile. Stiamo parlando degli anni ’90, dove a farla da padrone erano ancora i cabinati, le home console e l’avvento dei primi grandi capolavori su PC.
In quell’epoca più spensierata tanti titoli hanno trovato la strada del successo, ma uno in particolare ha conquistato molti cuori, grazie allo straordinario lavoro di un uomo come Ron Gilbert e del team di LucasArts. The Secret of Monkey Island ci regalò uno dei protagonisti più pittoreschi e divertenti che si possano ricordare, e ritornare a vestire i panni di Guybrush è stato senza dubbio emozionante: vale la pena ricordare che questo personaggio ha da poco compiuto ben 32 anni.
Return to Monkey Island poteva essere in tutto e per tutto un'operazione nostalgia attuata per intercettare quei fan orfani delle avventure punta e clicca, fagocitate in tempi odierni da battle royale e action adventure in terza persona. Ebbene, vi diciamo fin da subito che così non è stato e che, seppur con qualche piccola sbavatura, il nuovo capitolo di Gilbert è la prova di come si possa risorgere da quelle che appaiono solamente come le ceneri del passato.
Il nuovo capitolo però non è arrivato indenne sui nostri PC ed ha subito alcune trasformazioni grafiche che hanno fatto storcere più di un naso sin dall'annuncio. È innegabile che il cambiamento sia enorme, e in alcuni punti il nuovo stile forse non eccelle come dovrebbe, ma dopo un primo momento di disorientamento siamo riusciti ad apprezzare anche la nuova veste grafica di Guybrush e soci. Certo, alcuni di questi purtroppo hanno ricevuto un restyling fin troppo audace, una su tutte Lady Vodoo, ma la maggior parte dei personaggi presenti sembrano invece averne giovato, come la bellissima Elaine.
Return to Monkey Island ci ha accolto con l’Album dei Ritagli, un espediente utile per un ripasso delle avventure precedenti e allo stesso tempo pensato per far scoprire ai novizi le vicende che ci hanno portato, finalmente, a svelare il mistero celato nell’isola da cui prende il nome la saga. Chi approccia Monkey Island per la prima volta sicuramente non potrà cogliere i tanti riferimenti presenti, ma il gioco di Terrible Toybox è ben congeniato per non lasciare spaesati i nuovi arrivati; i fan di vecchia data, invece, troveranno ben più di un momento in grado di strappare un sorriso.
Per quest’ultimi vi è anche un ulteriore sfida rappresentata dalle carte quiz disseminate (e alcune davvero ben nascoste) nelle location principali con cui mettere alla prova le proprie conoscenze sulle vicende vissute nei capitoli precedenti.
Al netto del cambio stilistico e delle chicche per ricordare i vecchi tempi, il feeling ci ha dato subito la sensazione di essere tornati a casa, pienamente coscienti delle meccaniche rimaste ancora oggi intatte. Return to Monkey Island ha preservato l’esperienza punta e clicca e la possibilità di combinare gli oggetti per poter risolvere gli enigmi che vi si pareranno di fronte. I puzzle, sebbene siano il fulcro del gameplay, risultano abbastanza semplici rispetto al passato, tanto che non spezzano mai il ritmo di gioco se non in alcune rare occasioni.
Dimentichiamoci dunque il rebus del cotton fioc da usare nell’orecchio della scimmia, perché la difficoltà in questa avventura è stata tarata decisamente verso il basso per immergere nella narrativa costruita per questo grande ritorno, che anche stavolta ha fatto decisamente centro. Chi come noi è cresciuto a pane e punta e clicca, ricorderà senza dubbio opere simili come Syberia, Runaway e Broken Sword, ad esempio, che ci hanno visti ricorrere a guide online o cartacee per risolvere quel rompicapo che ci teneva bloccati per settimane.
Bene, Gilbert ha pensato anche a questo, conscio di essere uno di quegli autori che si è divertito a creare enigmi a volte davvero ostici. All’interno di Return to Monkey Island quindi abbiamo potuto contare su un diario da consultare in caso di intoppi, e non solo ci ha dato indizi utili per proseguire, ma insistendo nel chiedere aiuto abbiamo avuto letteralmente la risposta spiegata per filo e per segno.
Una scelta particolare, ma il non dover interrompere e mettere in pausa il gioco per avere la soluzione ci ha concesso di rimanere incollati alla storia, completandola quasi tutta d’un fiato. Tralasciando qualche rompicapo meno illogico ed una parte finale che ha richiesto svariati viaggi da una location ad un’altra, abbiamo concluso l'avventura in circa 8 ore, incollati allo schermo grazie a una storia incalzante con rarissimi punti un pochino sottotono.
L’intera opera ci ha portato a rivivere, con deliziose musiche caraibiche fedeli alla tradizione, un’esperienza autoriale di tutto rispetto, quella che è una perla rara oggi giorno. Tra sarcasmo, strampalati piani e battute taglienti, Gilbert è riuscito a dare un suo vero finale apparente, qualcosa che era rimasto in sospeso per troppi anni. Lo stesso autore ha incaricato l’amato Guybrush come ambasciatore dei propri pensieri, con riflessioni sul passato e su un probabile futuro della serie.
Una volta completata questa avventura abbiamo ricevuto un’ulteriore sorpresa, con una lettera a cuore aperto dal padre di Monkey Island rivolta a tutti noi, malinconici e un po’ commossi pirati senza talento che hanno aspettato 32 anni per scoprire il misterioso segreto. Ma non tutto potrebbe essere perduto e, senza addentrarsi troppo nei dettagli, il finale vissuto lascia spazio sia ad un possibile nuovo capitolo, sia ad una conclusione di tutto rispetto di questa saga.
Tralasciando i sentimenti e le emozioni che potrebbero offuscare il giudizio, Return to Monkey Island non è solo un riuscito seguito di un brand di successo ma la chiara dimostrazione di come una buona scrittura e un ritmo ben cadenzato possano colpire e ammaliare. Per un attimo, il tempo di riesplorare Meleè Island, rivedere Stan e conoscere nuovi amici, abbiamo dimenticato la corsa alla miglior risoluzione e conteggio di fps. Alla fine di questa storia si ha la sensazione di dover lasciare andare un vecchio amico ma tenendo pur sempre stretti tutti i ricordi e i bei momenti passati assieme.
Forse è tempo di salutare Guybrush e LeChuck, forse invece questi due avranno ancora qualcosa da dire: quel che è certo è che se alla fine a scriverne sarà Gilbert, resteremo altri 30 anni ad aspettare pazientemente.