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Returnal - recensione

"PlayStation? Grandi esclusive ma tutte troppo simili" cit.

"White Shadow". Pallida Ombra. Due semplici parole su un freddo schermo, due parole che apparentemente non vogliono dire nulla ma che hanno l'immenso potere di cambiare tutto. Soprattutto per Selene.

A bordo della fidata navicella Helios con l'obiettivo di sondare l'universo, Selene è un'esploratrice Astra, un'avventuriera e una pioniera che a quelle due parole lampeggianti sullo schermo del computer di bordo proprio non può resistere.

La curiosità è inevitabile ma presto non basta, Selene deve vedere con i propri occhi, capire davvero. Anche perché quelle due parole per lei sembrano tutto tranne che insignificanti.

Un pianeta alieno è all'orizzonte, l'atterraggio imminente e poi l'incidente, l'avaria e lo schianto. Helios è inutilizzabile e per sperare nella salvezza l'unica soluzione è andare alla ricerca delle origini della Pallida Ombra, di quello strano segnale che fa da innesco all'avventura di Selene. Pochi passi sulle rocce e poi un corpo...umano?

Benvenuti su Atropo, benvenuti in un mondo in cui la morte è molte cose ma di certo non è il riposo eterno. Dopo ogni morte la nostra protagonista ritorna irrimediabilmente al momento dello schianto in un ciclo, in una spirale che è al centro di tutto.

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Returnal è un'esclusiva PS5 che, dopo i titoli targati PlayStation Studios arrivati nel periodo di lancio, ha non poche responsabilità. Il semplice fatto di proporla solo su next-gen in questa prima metà del 2021 è una grossa novità che, viste le premesse, profuma almeno in parte di scommessa. Il perché è presto detto: il gioco è l'ultimo progetto di Housemarque, software house finlandese di medie dimensioni (circa 80 dipendenti) che arriva dall'accantonamento di Stormdivers e che nel corso della propria storia ha sfornato ottimi videogiochi ma tutti profondamente radicati nel genere arcade e coi contorni degli indie.

Gli sviluppatori sono passati così dalla visuale a volo d'uccello e dal 2D allo shooter in terza persona, dai "giochini" arcade quasi completamente privi di trama a un titolo che ha ambizioni da AAA e che una trama ce l'ha eccome, tra l'altro con risvolti per niente scontati o semplicistici. Ed è proprio il comparto narrativo l'aspetto che ha saputo stupirci di più, anche perché gli ottimi Resogun e Super Stardust non li ricordiamo di certo per storie da incorniciare.

Returnal si affida a una narrazione esplicita fatta di cutscene, monologhi e registrazioni di Selene stessa, a "documenti alieni" e a una narrazione ambientale che semina indizi e domande in diversi anfratti delle macroaree, dei biomi che ci siamo trovati ad esplorare in lungo e in largo, tra il fascino per l'incredibile impatto di questo pianeta lontano e la paura di incontrare la morte al primo passo falso.

Poi ci sono loro, le misteriose visite in una casa "umana" che in diverse occasioni si è stagliata improvvisamente negli scenari alieni di Atropo, aprendosi a Selene e a noi giocatori. La casa è teatro di sezioni con una visuale in prima persona che strizzano l'occhio a P.T. ma che non sfociano mai nell'horror puro, rivelandosi comunque inquietanti, destabilizzanti e soprattutto criptiche. Sono uno dei tasselli di quello che Housemarque aveva definito un mistero da dipanare di run in run, di morte in morte, di scoperta in scoperta.

Le macerie di una civiltà perduta?

Un mistero che, dobbiamo ammetterlo, ci ha catturati in tutto e per tutto. I punti interrogativi che circondano Selene si intrecciano a doppio filo con quelli che avvolgono Atropo in una spirale in cui la morte, il passato e il tempo stesso sono filamenti più contorti e insondabili di quel che sembra. Noi stessi dopo i titoli di coda (occhio a chiamarli "fine"), raggiunti in circa 25 ore, abbiamo ancora vestito i panni della protagonista alla ricerca di risposte, segreti e indizi, arrivando alla convinzione che sul web le teorie intorno a questo affascinante universo sci-fi si sprecheranno, così come le possibili chiavi di lettura metaforiche e non dietro a diversi elementi narrativi.

Ma se i concetti di ciclo, di morte e di nuovo inizio sono centrali per la narrazione, sono ancora più cruciali per il gameplay. Si sa ormai da parecchio tempo che questa produzione è uno shooter in terza persona con meccaniche e caratteristiche proprie dei roguelike/roguelite. Un esempio è la generazione procedurale delle diverse stanze che compongono i biomi che abbiamo esplorato alla ricerca della Pallida Ombra. In questo senso però c'è una soluzione ibrida con alcune aree particolarmente importanti, praticamente onnipresenti, e zone intermedie che vengono rimescolate e modificate.

Si creano così biomi formati da stanze principali e secondarie che possono essere esplorate a nostro piacimento e che al loro interno celano nemici, segreti e risorse potenzialmente sempre diverse. Possiamo tranquillamente seguire la strada principale segnalata sulla minimappa presente a schermo e dirigerci sempre e solamente verso l'obiettivo del momento ma la narrazione e il gameplay stesso incoraggiano l'esplorazione, soprattutto durante il primo approccio a un bioma. Ci si imbatte in tanti elementi di puro storytelling, in misteriosi e affascinanti glifi, in sale con rappresentazioni visive di civiltà ignote ma anche in upgrade, potenziamenti e nuove armi.

Dash all'ultimo secondo, rampino per la fuga o...un bello schiaffone dal nemico.

La generazione procedurale fa il suo anche sotto questo punto di vista fornendoci una varietà impressionante di elementi che arricchiscono ogni run. Le armi, per esempio, non sono di certo poche ma il loro più grande pregio va oltre la mera quantità. Al di là di una sorta di livello, di un fuoco secondario e di parametri come il danno o la cadenza, hanno spesso dei tratti particolari che vanno sbloccati con l'utilizzo e che danno vita bocche da fuoco molto diverse tra loro e capaci di lanciare minirazzi a ricerca o lame di energia verso i nemici.

Ma le armi sono solo l'inizio perché tra consumabili, reperti che regalano bonus e caratteristiche extra e parassiti alieni che entrano in simbiosi con la protagonista (apportando vantaggi e svantaggi di varia natura), c'è davvero l'imbarazzo della scelta e inevitabilmente rifuggire l'ennesima morte sarà una questione di skill, scelte ragionate legate a tutti questi elementi ma anche di un bel po' di sana fortuna.

Qui dobbiamo esprimere un primo, importante giudizio: a nostro parere è proprio in questa generazione procedurale che si insinua il più grande difetto di un videogioco indubbiamente eccelso. Le ambientazioni variano ma dopo tante morti all'interno di un bioma la sensazione di déjà vu nel level design c'è e bisogna ammetterlo. Il concetto di ripetitività e ricorsività è intrinseco nei roguelike e garantire tanta rigiocabilità ben si sposa con la proceduralità ma, nel bene o nel male, questa rimane una tecnica imperfetta. Fortunatamente tale imperfezione non intacca quanto di buono fatto in ogni aspetto né il fascino suscitato da singoli biomi visivamente splendidi tra deserti scarlatti, foreste battute dalla pioggia, vette innevate e sorprese che non vogliamo assolutamente rovinarvi.

In prima persona in una inquietante casa dispersa nel nulla. C'è un che di P.T.

Ogni morte riavvia il ciclo portandoci sostanzialmente alla zona di partenza. Ci sono reperti o particolari aree che permettono di evitare almeno in parte questo inizio da zero ma di base si riparte dopo aver perso l'arma che avevamo ottenuto e tutti i vari bonus e malus derivanti da oggetti e reperti. Rimangono nelle nostre mani la pistola base, particolari potenziamenti permanenti della tuta molto importanti a livello esplorativo e altri oggetti centrali dal punto di vista narrativo. Quando spegnete la console, il ciclo si resetta automaticamente e nel caso in cui vogliate sospenderne uno in corso è necessario sfruttare la modalità di riposo di PS5. È una scelta particolare e sulla carta limitante ma la struttura dei cicli e del mondo di gioco alla base di Returnal riesce a renderla assolutamente sensata e il ricominciare da "zero" per diversi motivi è molto meno punitivo di quel che potrebbe sembrare.

L'avventura fa infatti dei chiari passi in avanti che non devono sempre essere ripetuti e, una volta raggiunto un nuovo bioma, ritornarci diventa indubbiamente più semplice. Il non dover necessariamente affrontare boss già sconfitti è un'altra "scorciatoia" che non va assolutamente sottovalutata e che riesce a regalare un senso di progressione di fronte a un livello di sfida che, soprattutto nei primi due biomi, potrebbe scoraggiare alcuni giocatori. L'altro elemento che riesce a non far pesare eccessivamente i nuovi inizi successivi a una morte è il puro e semplice gameplay, controller alla mano.

Returnal è incredibilmente divertente, punto, e basterebbe questa frase striminzita per incorniciare il lavoro svolto da Housemarque. Parliamo di un team che ha sempre dimostrato di saperci fare, chiaro, ma uno shooter in terza persona è decisamente diverso da twin stick shooter con visuale dall'alto o da sparatutto a scorrimento. Eppure qui rivediamo proprio la stessa cura e attenzione per i particolari di Resogun e soci, e anche un dichiarato amore per tutto ciò che è arcade.

Le boss fight sono Housemarque allo stato puro. Una valanga di proiettili e tanto amore arcade: impegnative, appaganti e stimolanti.

Ci muoviamo veloci correndo, saltando, attivando il dash per una schivata all'ultimo minuto, sfoggiando la nostra spada aliena per distruggere uno scudo nemico o sfruttando un utilissimo rampino per portarci al di sopra di creature tentacolari, dal design ricercato a metà tra il Lovecraft e il puro sci-fi, che intanto cercano di addentarci o spararci globi di energia più o meno veloci e letali. È un festival di proiettili e pericoli da schivare che durante le boss fight rigorosamente a più fasi raggiunge vette che sfiorano il puro "inferno di proiettili", delineando un progetto tanto impegnativo quanto appagante. Che si tratti di sparare o di esplorare, un aspetto molto più importante di quanto ci saremmo aspettati, ogni azione trasmette un feeling provato in pochissimi altri giochi e inarrivabile per molti sviluppatori, anche AAA.

Ed è parlando di feeling che abbiamo il dovere di parlare del DualSense, un controller che tra feedback aptico e grilletti adattivi si sta rivelando una delle sorprese più gradite di PS5. Dopo quanto ammirato e provato con Astro's Playroom, però, i dubbi erano più che legittimi: quanti giochi sfrutteranno davvero queste feature? Ci saranno produzioni capaci di sfiorare i livelli di quella che per molti versi è una tech demo del nuovo controller? Del doman non v'è certezza ma questa esclusiva è un bellissimo biglietto da visita.

Il grilletto sinistro fino a metà corsa è la più classica meccanica di mira, mentre premuto completamente attiva il fuoco secondario dell'arma che stiamo imbracciando. Il grilletto quindi si sdoppia con una idea di design che per molti versi è semplice ma che allo stesso tempo profuma di novità. Il feedback aptico si comporta ancora meglio: la pioggia battente, lo schianto su Atropo e i movimenti stessi della protagonista si sentono eccome, trasmettendo sensazioni tattili difficili da descrivere a parole. Non sarà la più grande rivoluzione della storia del gaming ma chi non ha mai preso tra le mani un DualSense giocando ad Astro e ora a Returnal, rischia di sottovalutare una feature che nelle giuste mani sembra sempre meno una semplice gimmick e sempre più un'arma molto affilata in più.

Una luce nel deserto.

A completare l'offerta ci sono poi particolari sfide in cui cimentarsi per scalare le classifiche mondiali a suon di uccisioni e moltiplicatori, e un elemento online che potrebbe ricordare almeno in parte quanto visto nei Souls. In certi casi ci siamo imbattuti nel corpo esanime di altri giocatori che possiamo vendicare per ottenere delle risorse... a patto di sopravvivere a uno scontro piuttosto impegnativo.

PlayStation ha creduto in questo progetto e consapevolmente o meno con questa fiducia ha risposto anche a molte critiche più o meno recenti. Il sottotitolo di questa recensione è volutamente una provocazione ma se avete sempre pensato (per certi versi anche giustamente) che il comparto esclusive di Sony sia troppo ancorato a un certo modo di fare action-adventure (in terza persona e di stampo narrativo), eccoci di fronte a un titolo pronto a smentirvi. Allo stesso tempo Returnal sembra una chiara risposta agli ultimi report che parlano di una compagnia che guarda solo ai blockbuster facilmente vendibili e che non sembra interessata ad esplorare nuovi scenari e nuove frontiere.

La disperata avventura di Selene non si può di certo etichettare come un'innovazione su tutta la linea, dato che i roguelike/roguelite sono tutto tranne che una novità targata Housemarque. Il creare questo tipo di produzioni in un ambito AAA, con il peso di essere un'esclusiva PS5 targata PlayStation Studios e con il non poco coraggio di non indorare la pillola ai giocatori, non è però cosa da poco. La centralità della morte e del ricominciare da zero o quasi dei roguelite non può piacere a tutti ma fa piacere vedere una grande esclusiva così diversa "dal solito", e d'altronde la qualità non si misura di certo con il piacere a tutti.

Per non farsi mancare nulla c'è anche un pizzico di metroidvania con aree esplorabili solo con il giusto equipaggiamento.

Si misura con la capacità di tratteggiare un gameplay che non annoia mai, una "droga" videoludica che ci spinge inesorabili verso la prossima stanza, il prossimo bioma, il prossimo segreto. Si misura anche con la creazione di una narrazione e di un lore che sappia catturare i giocatori decisamente oltre i titoli di coda e che sicuramente saprà generare community, discussioni e teorie complesse tra paradossi temporali e chiavi di lettura che solo nella nostra redazione hanno acceso una voglia di dibattito e di scoperta decisamente non comuni. E poi si misura nella capacità di essere inattaccabili dal punto di vista tecnico, sposando a pieno l'hardware che ti ospita.

Perché con circa 40 ore di gioco all'attivo abbiamo incontrato praticamente un solo, piccolissimo glitch, perché a occhio nudo non abbiamo intravisto rarissimi scostamenti da quei 60 fps che si sposano con i 4K e con illuminazione, animazioni ed effetti particellari di altissimo livello, e perché tutto visivamente e a livello audio è estremamente appagante, che si tratti dell'ottimo doppiaggio in Italiano o della coinvolgente colonna sonora che sicuramente entrerà di diritto nelle nostre personalissime playlist. Aggiungiamoci una direzione artistica da applausi e gli scenari audiovisivi a dir poco suggestivi sono serviti.

Returnal è la grande prova di maturità di Housemarque, una software house che ha definitivamente fatto il salto di categoria e che lo ha fatto con un concept che ha poco o nulla da spartire con i blockbuster di oggi. "Non è un gioco per tutti" è una frase fin troppo vuota e abusata ma in questo caso ci tocca usarla almeno una volta, concedetecelo.

Non è Astro's Playroom ma Returnal sfrutta a pieno tutte le feature next-gen del DualSense.

La difficoltà è una e una soltanto e il livello di sfida è sicuramente impostato verso l'alto, soprattutto nelle prime ore dell'avventura quando le morti rischiano di accumularsi e il ritrovarsi nuovamente tra i rottami di Helios potrebbe scoraggiare. Ma se siete alla ricerca di un'avventura ispirata e appassionante, vi consigliamo di resistere e di superare le avversità.

Gli appigli per riuscirci d'altronde sono davvero tantissimi, dalle fasi di shooting sempre divertenti e adrenaliniche, ai profondi misteri di una insondabile protagonista e di un oscuro pianeta alieno.

Quello di Selene su Atropo è un viaggio imperdibile. La Pallida Ombra vi aspetta.

9 / 10