Rime - recensione
L'isola che non c'è.
Il rischio cliché è dietro l'angolo e in un certo senso è quasi inevitabile quando si parla di un gioco come Rime. L'opera seconda degli spagnoli di Tequila Works sembra fatta appositamente per essere etichettata, per presentarsi come uno dei giochi più emblematici di questa generazione. La storia stessa del progetto è in un certo senso un concentrato di pura e semplice banalità. Dopo il lancio di un action-platform dotato di spunti interessanti ma non certo degno di entrare a far parte dell'Olimpo del genere come Deadlight, la software house si mette al lavoro su un gioco che dovrebbe rappresentare il più classico dei salti di qualità.
Rime si mostra per la prima volta alla Gamescom del 2013 come un'esclusiva PS4 dopo che le prime bozze del progetto (conosciuto come Echoes of Siren) vennero scartate da Microsoft. Accoglienza entusiastica, paragoni di peso alle opere del Team ICO e a The Legend of Zelda: The Wind Waker, un altro trailer e poi il baratro delle critiche, dei rumor e dello scetticismo. Si parla di un progetto che non esiste, un involucro vuoto creato appositamente per i trailer ma lontanissimo dall'essere giocabile e vittima dell'ego smisurato del suo director: l'ex Mercury Steam, Raul Rubio Munarriz.
La goccia che fa traboccare il proverbiale vaso? Sony che vende l'IP agli sviluppatori perdendo l'esclusività e facendo pensare a un titolo nato male e cresciuto ancora peggio. L'hype lascia spazio allo scetticismo e in molti si preparano all'inevitabile fallimento. Tuttavia eravamo stati chiari in apertura: Rime sa essere banale e non è certo una critica.
Un'isola sperduta, una spiaggia lontana, un sole alto e impietoso, il vento dell'oceano che impassibile fa sventolare un piccolo mantello rosso e un giovane ragazzo: Enu. Dopo essere sopravvissuto miracolosamente a un naufragio, il protagonista si trova alle prese con i misteri di un luogo che sin dai primi attimi sembra nascondere molto più di ciò che una prima impressione faccia inizialmente pensare.
Ed è così che la trama prosegue pari passo con l'esplorazione, fornisce qualche piccolo dettaglio, alimenta speculazioni e teorie su un luogo apparentemente disabitato ma che sembra essere stato creato e modificato da qualcuno o da qualcosa. Rubio e soci imboccano una strada già tracciata da diversi altri team affidandosi a una trama volutamente criptica e fortemente aperta alle interpretazioni ma allo stesso tempo decide di dare una spiegazione quanto meno sommaria alle avventure di Enu.
Come spesso accade nelle opere di questo tipo non ci sono dialoghi e non ci sono testi scritti. Solo i collezionabili svelano in qualche modo alcuni piccoli dettagli di una vicenda che solamente nelle ultime fasi assumerà dei contorni davvero delineati. È con gli occhi del giovane Enu, attraverso lo sguardo spavaldo, coraggioso ma anche fragile di un ragazzino che guardiamo ai misteri di un mondo ignoto e indecifrabile, un mondo che nasconde molto più di una semplice spiaggia assolata e che solo superficialmente si presenta come una fantastica fiaba.
C'è una profondità inaspettata dietro al concept stesso di Rime, degli elementi che solo verso la fine delle circa 8 ore che abbiamo passato in compagnia del piccolo protagonista prendono forma. I venticinque minuti iniziali che hanno fatto il giro di internet nelle settimane precedenti l'uscita non riescono a rendere giustizia a un'opera che, sia narrativamente che a livello di gameplay, ha dimostrato di avere più di un asso nella manica non disdegnando anche dei colpi di scena ben congegnati.
Come spesso accade anche in questo caso ci siamo imbattuti in una commistione di meccaniche appartenenti a generi diversi ma in definitiva i nomi scomodati come paragoni sin dal primo trailer della Gamescom sono tutto sommato piuttosto azzeccati. Rime è un'avventura in terza persona che miscela sapientemente fasi puramente esplorative, puzzle più o meno complessi e sezioni platform.
Per quanto il bilanciamento sia pressoché perfetto la natura puzzle prende progressivamente il sopravvento con il prosieguo dell'avventura per poi essere smorzata nella fase immediatamente precedente al finale. Il più grande pregio del lavoro di Tequila Works non è di certo l'originalità ma è il ritmo, la varietà di situazioni e parallelamente ambientazioni che visiteremo in un continuo cambio di velocità che si lega a doppio filo al concept alla base del lavoro di Rubio e colleghi.
Anche grazie a dei comandi semplici e reattivi, a un level design ben studiato e in continua crescita e a una telecamera gestibile liberamente (al di là di alcune fasi) dal giocatore stesso, ogni sezione scorre alla perfezione e in maniera più che godibile, richiedendoci anche di spremere le meningi senza sfociare mai in enigmi troppo cervellotici o talmente complicati da rivelarsi tediosi.
Tra interruttori da attivare nelle maniere più disparate, misteriosi marchingegni da sfruttare, complicati giochi di luce, npc con cui interagire, nemici pronti a farci la pelle e ambientazioni in costante mutamento, il gameplay sa sempre intrattenere e meravigliare con soluzioni spesso inaspettate. La sensazione di novità riesce a insinuarsi in ogni stanza esplorabile nonostante l'utilizzo pressoché costante di elementi già visti. Non sono i componenti base dell'avventura a entusiasmare ma il modo in cui vengono assemblati in modi sempre nuovi e unici.
Quasi onnipresente in un numero di produzioni sempre più elevato, anche in questo caso ci troviamo al cospetto dell'ottimo Unreal Engine 4. Il motore di Epic sta dimostrando qualità e duttilità in parecchi titoli e Rime si comporta egregiamente sulla nostra macchina di prova (16 GB di RAM, un Intel Core i5 da 3,1 Ghz e una GTX 1060 da 6 GB) mantenendo piuttosto saldamente i 60 fps a dettaglio alto. L'impatto complessivo è ottimo anche grazie a un cel shading che garantisce scorci davvero memorabili e un dettaglio tutto sommato notevole per quanto l'aspetto artistico e la ricercatezza abbiano un ruolo preponderante rispetto alla forza bruta.
Considerando la totale assenza del doppiaggio, di dialoghi o di documenti di testo, il comparto audio ricopre un ruolo di primo piano e in combo con ciò che accade a schermo ha il non semplice compito di trasmetterci efficacemente le varie emozioni che caratterizzano il nostro protagonista e aggiungere non poche sfumature alle varie situazioni mostrate. Le musiche, evocative e studiate sin nel più minimo dettaglio, riescono insieme agli effetti sonori a proporsi come un efficace strumento narrativo e non solo come un seppur meraviglioso orpello.
Rime è un gioco banale. Lo è perché dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che l'equazione sviluppo travagliato uguale gioco fallimentare è ormai un rudere del passato. Una di quelle grandi verità che ciclicamente vengono smentite e calpestate da opere che, nonostante i difetti più o meno visibili e il peso degli anni, sanno lasciare il segno in maniera spesso indelebile. L'ultima fatica del team madrileno è quindi in buona compagnia tra The Last Guardian e Final Fantasy XV, tra NiOh e The Legend of Zelda: Breath of the Wild.
I critici più accaniti potrebbero parlare di un gioco poco originale e troppo legato alle influenze di ICO, The Last Guardian e in parte Zelda stesso, ma la verità è che Rime non è altro che uno dei figli più legittimi di questi anni. I detrattori lo accuseranno di essere troppo derivativo (utilizzando a sproposito il termine "originale") e di cavalcare con troppa insistenza l'onda del successo dell'universo indie. Forse è effettivamente così ma nel suo carattere derivativo il lavoro di Tequila Works sa anche calcare, con una qualità eccelsa in ogni ambito, una manciata di strade poco battute dimostrandosi molto più profondo di quanto l'apparenza faccia inizialmente presagire.