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Robinson: The Journey - recensione

Ben più che una tech demo.

L'omaggio all'opera di Daniel Defoe, tanto più evidente non appena ci si imbatte in una copia di Robinson Crusoe custodita nella capsula di sopravvivenza del protagonista, sulle prime ha il valore di un autentico depistaggio. Il gigantesco vascello spaziale Esmeralda, che precipita rovinosamente sulla superficie di Tyson III, del resto, sembra l'anticamera e la premessa ideale per un'avventura in cui conta solo sopravvivere.

Il pianeta in effetti è un ricettacolo di fameliche creature desiderose di trasformare il giovane Robin in un succulento spuntino. Ci sono scorpioni e serpenti di ogni forma e dimensione, certo, ma a far tremare le gambe ci pensano velociraptor, pterodattili e T-Rex, inspiegabilmente a piede libero in tutta la loro aggressività, in un mondo che sembrerebbe non aver mai conosciuto il dominio di una specie che noi definiremmo intelligente.

Memori delle difficoltà affrontate dal naufrago seicentesco, viene naturale chiedersi come poter cacciare, dove recuperare acqua potabile, in che modo contrastare i tanti predatori che minacciano di continuo la vita dell'indifeso ragazzo.

Gli sviluppatori si sono mossi con intelligenza per limitare al massimo la motion sickness. Il movimento del corpo, per esempio, non è libero, ma procede a scatti. Ciò rende l'esplorazione meno fluida del solito ma riesce efficacemente a contrastare l'insorgere di mal di testa e nausea.

L'equivoco dura giusto il tempo di varcare la soglia del rifugio in cui Robin dorme ogni notte da poco più di anno, tanto è passato dal disastro spaziale. Perfettamente integrati con la natura che li circonda, congegni ipertecnologici di ogni tipo si preoccupano di fornire tutti i beni di prima necessità. Il vicino corso d'acqua, oltre a dissetare il protagonista, genera energia elettrica; un'unità automatizzata raccoglie cibo; campi di forza tengono lontani gli animali selvatici.

Quello di Robin è insomma un piccolo angolo di paradiso, una vacanza un po' forzata se vogliamo, alla larga dal caotico tran tran della vita del viaggiatore spaziale del domani. La curiosità, tuttavia, è una caratteristica innata nella nostra specie. Il desiderio di scoprire cosa si celi al di là delle colonne d'Ercole, di fare luce sui motivi che hanno causato la catastrofe a bordo dell'Esmeralda, sono un incentivo più che sufficiente per abbandonare l'oasi felice e gettarsi a capofitto in un'epopea, certamente rischiosa, eppure estremamente emozionante e coinvolgente.

Robinson: The Journey, lo dice anche il titolo del resto, è un viaggio, un'avventura nei recessi più selvaggi e oscuri di un pianeta, Tyson III per l'appunto, semplicemente splendido, ricco di paesaggi suggestivi e scorci ammalianti.

Lo strano aggeggio che stringe nella mano il protagonista è utile anche per analizzare le varie creature che abitano la superficie di Tyson III, così da comporre una sorta di enciclopedia .

I cardini del gioco sono l'esplorazione e la risoluzione degli enigmi. Non ci saranno oggetti da raccogliere, né un inventario in cui combinare un item con un altro. Robin possiede un avveniristico apparecchio che, energia residua permettendo, gli consente di muovere a distanza alcuni elementi dello scenario. Una roccia può nascondere gli appigli per arrampicarsi su una parete; pezzi di lamiera, che furono dell'Esmeralda, possono tornare utili per costruire una catapulta di fortuna.

Di trovate interessanti, nel corso dell'epopea, ce ne sono diverse. In alcuni casi dovrete ingegnarvi e non poco per risolvere un puzzle, anche e soprattutto perché il piccolo robot che vi seguirà tra i sentieri è insolitamente avaro di suggerimenti. L'automa ha sempre la battuta pronta, se la prende di continuo con la piccola Laika, un simpatico cucciolo di T-Rex imprescindibile per il superamento di certi ostacoli, si preoccupa costantemente per la vita dell'ultimo sopravvissuto della colonia. Eppure non se la cava proprio con le imbeccate, né nell'indirizzare l'utente verso la meta successiva.

Crytek ha dato forma ad un titolo che inganna alla grande il videogiocatore, dandogli l'illusoria sensazione di avere a che fare con un open world ricco di sentieri alternativi e scenari piuttosto ampi da battere, in cerca di collezionabili e archivi dati che arricchiscono ulteriormente la trama.

Grazie alla croce direzionale potrete impartire alcuni comandi alla piccola Laika. Spesso sarà l'unica a potervi sbarrare la strada di fronte a qualche ostacolo.

In parte è davvero così, motivo per il quale a volte si finisce per perdere di vista l'obiettivo principale, ma va da sé che il level design, ad un secondo sguardo, si riveli meno intricato di quanto preventivato. L'esplorazione è parte fondante dell'esperienza, non c'è alcun dubbio su questo, e cercando attentamente qualcosa di prezioso lo si trova, ma la sensazione di un gigantesco mondo, generoso di anfratti in ogni dove, è appunto una mirabile illusione che non fa altro che amplificare il fascino dell'esperienza.

Per quanto detto sino a qui, Robinson: The Journey parrebbe un'avventura grafica estremamente classica nel gameplay, impreziosita da un ottimo art design, che tratteggia panorami mozzafiato e animali splendidamente animati, persino arricchita da una longevità di tutto rispetto, circa dieci ore.

A rendere speciale la creatura di Crytek ci pensa, ovviamente, il PlayStation VR, dispositivo indispensabile per l'avvio del titolo. Con addosso il visore, quello che sulla carta sembra un gioco come un altro diventa un viaggio spettacolare da vivere in prima persona, costantemente stupiti da un motore grafico all'altezza della situazione. Non mancano casi di pop-up e l'aliasing, in certi casi, è davvero evidente. Eppure Tyson III lascia continuamente di stucco, così come ci si scopre divertiti nell'agitare la coppia di Move mentre si scala l'ennesima roccia o si attiva un congegno.

A volte si fatica e non poco a capire con quali elementi si può interagire e con quali no. Questo è certamente uno dei piccoli difetti che tormentano il gioco.

L'impatto estetico, insomma, è dei migliori, assolutamente in grado di immergere il videogiocatore in un'esperienza appagante. Anche la trama, che si arricchisce progressivamente con il reperimento, in molti casi facoltativo, di banche dati, appassiona, tiene col fiato sospeso e spinge il videogiocatore a raggiungere i titoli di coda per scoprire il mistero che si cela dietro al guasto che ha distrutto l'Esmeralda.

Robinson: The Journey, insomma, è ben più che una tech demo utile a sfoggiare le meraviglie della realtà virtuale. È un'avventura piacevolissima, divertente, persino longeva. Non fa dell'originalità il suo maggior pregio, ma il PlayStation VR, in questo senso, è più che sufficiente per regalare un gusto inedito alla produzione.

Imprescindibile per chi ha deciso di investire nella realtà virtuale, saprà regalare qualche sfida all'altezza anche agli amanti delle avventure grafiche.

8 / 10
Avatar di Lorenzo Fazio
Lorenzo Fazio non ha mai smesso di giocare sin dai tempi del Master System. Ha così cercato di unire l’utile al dilettevole, inventandosi giornalista videoludico. Qualcuno ci è cascato: scrive per importanti testate del settore da quasi una decina di anni.

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