Scarlet Nexus - recensione
Un action RPG “brainpunk” che supera i confini del videogioco.
Quando il mondo dei videogiochi incontra il sottobosco dell'animazione giapponese si genera un'imprevedibile reazione chimica che rischia di dar vita a dozzine di conseguenze inaspettate. Certo, il connubio potrebbe esplodere in opere a dir poco leggendarie come la visual novel Steins;Gate, ma è decisamente più facile che riduca entrambe le sue nature ai minimi termini, finendo per penalizzare tanto il gameplay quanto l'ambizione creativa.
Ciò è ancor più vero quando l'ispirazione è quella del battle shōnen, e Bandai Namco Studios, che è reduce dal mezzo successo di Code Vein e dalla serie God Eater, questo lo sa meglio di chiunque altro. Così, per il suo Scarlet Nexus, Kenji Anabuki della serie "Tales of" ha radunato un team di "Avengers" con un solo obiettivo in mente: quello di costruire un universo e un intreccio narrativo che fossero in grado di brillare a prescindere dal medium di riferimento, fosse esso un video game o una classica serie animata.
"Brainpunk": è così che gli stessi producer hanno definito la natura dell'opera. Nel mondo di Scarlet Nexus il 99% della popolazione nasce con quel minimo di facoltà psioniche che sono necessarie per sfruttare Psynet, un'immensa rete cerebrale che governa ogni aspetto della quotidianità, dall'informazione alle telecomunicazioni fino addirittura alla censura visiva. Ma per quanto un mondo percepito unicamente attraverso innesti neurali possa già di per sé apparire distopico, la nazione di New Himuka conosce il proprio dramma attraverso una tremenda guerra che sembra non conoscere fine.
Duemila anni prima degli eventi narrati, sotto il dominio dello storico leader Yakumo Sumeragi, un fenomeno fisico noto come "Fascia Estintiva" si è manifestato nei cieli della stratosfera terrestre, e da allora il pianeta è tenuto in scacco dalla costante minaccia degli "Estranei", creature a dir poco terrificanti che si muovono lungo la superficie con il solo e unico scopo di divorare cervelli umani.
La risposta del New Himuka al conflitto millenario sta nella FSE, ovvero la Forza di Soppressione Estranei, un esercito di guardiani scarlatti dotati di devastanti capacità psioniche che rappresentano l'unica forza in grado di opporsi alla misteriosa invasione. Il tessuto di Psynet consente ai vertici dell'arma di selezionare i soggetti più promettenti fin dalla tenera età, e una volta che si viene scelti non c'è modo di tirarsi indietro. Ciò può ovviamente rappresentare un problema, dato che sfidare gli Estranei in combattimento significa spesso e volentieri morire schiacciati come mosche sul campo di battaglia.
È qui che entrano in gioco i due protagonisti di Scarlet Nexus: lui è Yuito Sumeragi, il giovanissimo erede dell'imponente famiglia Sumeragi, un ragazzo di buon cuore che si è arruolato come volontario nelle file della FSE rinunciando alla carriera politica. Lei è Kasane Randall, una soldatessa gelida e determinata che è stata selezionata dalla FSE all'età di dodici anni e che si è sempre distinta per le straordinarie doti combattive, ora impegnata a proteggere la sorellina Naomi.
Nonostante le diversità, la coppia di cadetti condivide un sottile legame che fa da sfondo all'intera vicenda. Il motivo per cui Yuito si è arruolato, infatti, sta nel traumatico ricordo del giorno in cui un Estraneo uccise sua madre, momento in cui una ragazza esattamente identica a Kasane gli salvò la vita e lo ispirò a votare la propria esistenza alla causa. Dal canto suo, Kasane non ha alcun ricordo dell'accaduto, e del resto come potrebbe dal momento che è quasi coetanea del giovane Sumeragi?
A partire da questo primo misterioso quesito ha origine un immenso intreccio che trabocca di risvolti tragici, di agghiaccianti rivelazioni e di colpi di scena che non hanno paura di porre numerosi interrogativi e fornire altrettante risposte. Che cosa sono gli Estranei? Cosa accadde veramente duemila anni fa? Cosa diavolo ci fa Kasane nei ricordi di Yuito? Queste, insieme a un tappeto di altre mille domande, costituiscono il motore nascosto dietro le oltre venti ore di gioco necessarie per completare la campagna di Scarlet Nexus.
Ma sarebbe meglio dire ciascuna campagna di Scarlet Nexus, perché tanto Yuito quanto Kasane vivono esperienze personali che rappresentano solamente una fetta dell'intreccio, e a seconda che si scelga di impersonare l'uno o l'altra ci si troverà a scoprire storie pressoché indipendenti. Anche se la narrativa converge verso un unico finale, le vicende di Yuito e Kasane sono complementari, e chi vorrà alzare il sipario su tutte le sfaccettature della trama non avrà altra scelta se non quella di completare entrambe le campagne.
Seppur nel complesso la componente narrativa non ci abbia fatto gridare al miracolo, il tessuto creativo lungo il quale si sviluppa è di eccellente fattura, e può contare su una frizzante "lore" che basta di per sé a tenere incollato il giocatore fino alla fine. In sostanza, le fondamenta del mondo di Scarlet Nexus erano talmente promettenti da farci sperare in un epilogo ancor più sorprendente e tragico, ma al netto di uno fra i villain più ispirati del genere l'opera porta a casa il risultato in modo tranquillo, senza puntare su guizzi trascendentali.
Se questo è un certificato di appetibilità anche per la serie anime di Scarlet Nexus, che debutterà dal primo luglio su Funimation e di cui il primo episodio è già disponibile sottotitolato in italiano su YouTube, non bisogna dimenticare che dietro la narrativa si nasconde anche e soprattutto un videogioco. E Bandai Namco Studios, in questo caso, ha abbandonato qualsiasi velleità da soulslike per abbracciare a tutto tondo una formula da action puro.
Nucleo di Scarlet Nexus sono le missioni e le pattuglie della FSE che bisogna portare a termine sterminando orde di Estranei fra le macerie dei luoghi più caldi del paese, compito possibile grazie all'infernale turbine di acciaio scatenato dai poteri e dalle lame di Yuito e Kasane. E anche se inizialmente il sistema di combattimento può apparire piuttosto caotico, una volta superato lo scoglio delle prime ore di gioco si apre su un ventaglio tecnico di tutto rispetto.
Non basta attaccare a ripetizione sfruttando colpi leggeri, fendenti pesanti e attacchi caricati: per infliggere la maggior parte dei danni è imprescindibile padroneggiare le schivate perfette e soprattutto intrecciare le abilità telecinetiche con un più classico sistema di combo. La possibilità di mettere gli elementi dello scenario al servizio dei poteri psionici, poi, si rivela decisiva per liberarsi rapidamente degli Estranei più coriacei, avversari che puniscono senza esitazione i giocatori che optano per uno sciocco approccio a testa bassa.
Dove però il combat system arriva a dare il meglio di sé è nell'ambito del proprio plotone FSE. Yuito e Kasane sono infatti a capo di due squadre composte da altri quattro elementi, e ciascuno di questi otto comprimari è dotato di un particolare potere psionico che, attraverso un collegamento neurale chiamato Struggle Arms System (SAS), può essere temporaneamente "preso in prestito" dai protagonisti e utilizzato direttamente sul campo.
Ciò significa che alcuni poteri si rivelano determinanti per abbattere Estranei apparentemente inattaccabili: un nemico invisibile, ad esempio, sarebbe impossibile da affrontare per il solo Yuito, ma la Chiaroveggenza di cui è dotata la timida Tsugumi gli permette di ovviare rapidamente al problema; allo stesso modo, se Kasane dovesse incontrare nemici tanto rapidi da lasciarsi dietro le spalle immagini residue, potrebbe sfruttare la Iper-velocità di Arashi Spring per ridurli in poltiglia in pochi istanti.
Nelle fasi finali dell'avventura il corretto utilizzo del SAS diventa parte integrante del puzzle della battaglia, ed è letteralmente impossibile liberarsi di determinati Estranei se non si ha piena padronanza delle capacità di ogni soldato. Tenendo conto che alcune abilità influiscono anche sulle modalità di navigazione, come ad esempio il Teletrasporto di Luka Travers, ma soprattutto del fatto che Yuito e Kasane guidano squadre dotate di poteri completamente diversi, questa caratteristica riesce a portare una ventata di freschezza in caso si scegliesse di affrontare entrambe le campagne.
Il SAS è anche una componente attiva del sistema di progressione, perché accanto alla tradizionale meccanica di level-up e alla Mappa Neurale in cui si possono sviluppare nuove tecniche, il rapporto con i personaggi secondari ricopre un ruolo a dir poco fondamentale. Nelle fasi "slice of life" dell'avventura, ovvero quelle in cui si può esplorare liberamente il mondo di gioco e interagire con i comprimari, è essenziale partecipare a Eventi Legame che, oltre ad approfondire la personalità di ciascun elemento del team, ne potenziano notevolmente l'impatto in combattimento.
Prendiamo per esempio Hanabi Ichijo, premurosa amica d'infanzia di Yuito che nutre verso il ragazzo un interesse sentimentale. Coltivando il rapporto con la giovane Pirocineta non si esplora solamente qualche strato extra della componente narrativa, ma si incrementa nettamente la sua abilità in battaglia: all'inizio potrà offrire le sue doti di dominio del fuoco in modo passivo, poi metterà a disposizione una combo attiva, infine una spaventosa finisher per infierire sui nemici atterrati insieme a un sostanziale bonus permanente, e questo procedimento vale per ogni singolo personaggio del cast.
Si tratta di un amalgama perfetto? Assolutamente no. Le funzionalità di lock-on, in alcuni casi, possono rivelarsi piuttosto imprecise, le sequenze di esecuzione interferiscono troppo spesso con i tempi dell'azione, gli Estranei rischiano di diventare presto ripetitivi, mentre alcuni boss dal design intricato possono risultare molto difficili da leggere. Il difetto principale risiede tuttavia nel ritmo: se nelle prime ore di gioco c'è un equilibrio quasi perfetto fra azione e narrativa, gli ultimi scenari diventano interminabili, mettendo sul piatto corridoi chilometrici pieni zeppi di nemici da abbattere ancora e ancora fra qualche saltuaria tavola animata.
La sensazione di affaticamento è dovuta anche a un design dei livelli estremamente minimalista, per non dire quasi assente, dal momento che ciascuna area, per quanto ispirata e bella da vedere, non offre altro che una continua alternanza fra corridoi e arene senza twist degni di nota, ma soprattutto senza oggetti che giustifichino l'investimento di tempo in un'esplorazione approfondita. E questo era l'elemento che più aveva penalizzato anche Code Vein, svestendo in quel caso l'esperienza soulslike di una delle sue componenti fondamentali.
L'esplorazione, d'altra parte, non è certo un elemento cardine di Scarlet Nexus, un piccolo mosaico che si può tranquillamente dividere in tre tessere fondamentali: la prima è ovviamente la trama, che costituisce la spina dorsale dell'intera esperienza; la seconda è il combat system, che pur mancando la perfezione tecnica di Platinum Games funziona nella sua deriva action; la terza, infine, sono le minute fasi "slice of life" pensate per caratterizzare personaggi principali e secondari attraverso dialoghi e semplici tavole animate.
A meritare una menzione speciale, invece, sono tanto la direzione creativa quanto il reparto artistico. Alcuni degli Estranei disegnati dall'esordiente Masakazu Yamashiro sono qualcosa di strepitoso, un folle cocktail a base di architettura, vegetazione e caratteristiche del regno animale, creature che sembrano mescolare i tratti di Silent Hill con quelli di un bestiario del duecento. Insomma, il designer di God Eater Kouta Ochihai ha estratto un autentico talento dal cilindro, ed è riuscito a metterci del suo caratterizzando a dovere le capacità più avanzate dei protagonisti, dal Brain Drive fino al Campo Neurale.
Il secondo plauso va al tessuto "Brainpunk" che sorregge la narrativa, a quelle fondamenta fatte di lotte politiche, misteri, intrighi e tradimenti che non hanno paura di scherzare con la moderna cultura social, con la teoria del controllo mentale e persino con quella dei buchi neri, il tutto sullo sfondo della distopia di una nazione in rovina. Sopra questi solidi ponti si muove un roster di personaggi ben caratterizzati che fra una lunga chiacchierata e l'altra, e ovviamente in mezzo a tutti gli immancabili cliché del genere shōnen, riescono talvolta a scavare più in profondità di quanto ci si aspetterebbe.
Al netto di qualche strascico di troppo e di una spolverata di ripetitività nel finale, Scarlet Nexus riesce comunque a superare le precedenti produzioni Bandai Namco Studios sotto praticamente tutti i punti di vista. Non bisogna dimenticare che il titolo offre venti ore di gioco per ciascuna delle due campagne, per un totale potenziale che supera agilmente le quaranta ore, a cui si aggiunge una modalità "Nuovo Gioco Ex" che permette di rivivere la storia con tutti i poteri e gli oggetti sbloccati. Certo, per chi avesse appena affrontato entrambe le avventure potrebbe risultare quantomeno un overkill, ma si tratta comunque di un'iniziativa apprezzabile.
In definitiva, Scarlet Nexus mantiene gran parte delle promesse suggerite nei mesi che hanno preceduto il lancio, dalla costruzione di un intreccio all'altezza della tradizione animata fino alla realizzazione di un impianto action decisamente più tecnico e controllato rispetto al passato. Magari non avrà l'appeal del "soulslike anime" che tanto alimentò le aspettative attorno a Code Vein,ma chissà, questo potrebbe rivelarsi un bene per la sua vita successiva al day one, specialmente in seguito alla pubblicazione dell'intera serie animata.
Sotto il cielo mortifero di New Himuka si nasconde un'opera fatta da appassionati per gli appassionati, un'azione colorata e soddisfacente e un intreccio che forse non sarà perfetto, ma che sa senz'altro intrattenere fino ai titoli di coda. Una volta raggiunta la fine, quando si rimira la schermata dei titoli osservando Yuito Sumeragi e Kasane Randall che riposano sul tetto di un palazzo di Suoh, lo si fa con occhi sorridenti. E di questi tempi anche un semplice sorriso può rivelarsi estremamente prezioso.