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Scary Movies ai tempi del Coronavirus - articolo

Gli spaventi finti non ci hanno vaccinato contro quelli veri.

Ci è sempre piaciuto spaventarci, dai tempi dei tempi, farci raccontare storie paurose stretti intorno al fuoco di un accampamento o abbracciati alla mamma nel lettone. Ci consolava vedere che i buoni vincevano oppure, se venivano sconfitti, tanto era solo una storia, non era la nostra vita, sicura, protetta, i cattivi noi non li avremmo incontrati. Esorcizzavamo così tutte quelle paure, piccole e grandi, razionali e non, che ci portiamo dentro dalla notte dei tempi, impresse forse nel nostro DNA da quando un semplice fulmine bastava a terrorizzarci.

Dopo le leggende tramandate intorno al fuoco, è arrivata la letteratura a inventare storie per impressionarci e poi, il secolo scorso, è stato inventato il cinema, la macchina ideale per continuare a mantenere vivo il timore di tutto ciò che non possiamo controllare, il futuro, le malattie, le guerre, la cattiveria degli altri, il Destino insomma. Anche in questo caso, tanto ci piaceva terrorizzarci, preoccuparci, sobbalzare, chiudere addirittura gli occhi per lo spavento nel buio della sala, sapendo che dopo due ore al massimo tutto sarebbe finito e, soddisfatti, ce ne saremmo tornati alle nostre comode case. Impossibile non rimuginare queste riflessioni in giorni come quelli che stiamo vivendo, stretti fra la paura di ammalarci e lo stupore, forse per alcuni lo sgomento, nel vedere le città deserte, sentire i rumori attutiti, respirare un'aria quasi pulita.

La città verrà distrutta all'alba.

Non vogliamo qui ricordare i molti film o serie tv su virus ed epidemie, che in questi giorni tutti i giornali hanno stilato le solite liste (personalmente per noi i più validi sono Contagion di Soderbergh e il classico Virus letale, che ci ricordavano che siamo circa sette miliardi, aggrappati sulla crosta terrestre, ammassati in aree urbanizzate che chiamiamo megalopoli, ci spostiamo velocemente da un capo all'altro del pianeta, siamo promiscui, ci mescoliamo, ci respiriamo addosso, ci tocchiamo e tocchiamo cose che altri toccheranno: noi, convinti di essere la specie vivente più forte, mentre lo sono i virus). Noi pensiamo ai film in cui il contagio è già dilagato e ha modificato radicalmente il contesto sociale, cambiato l'habitat, mutato i rapporti umani.

Quindi pochi zombie-movie come World War Z, che in fondo è un disaster movie con molte contaminazioni, che innesta il tema dei morti viventi in uno scenario apocalittico alla Virus letale. Film attuale comunque, perché anche lì, pur se un rimedio all'infezione veniva trovato, niente sarebbe mai più stato come prima (timore che adesso ci sta facendo preoccupare ancora di più). Piuttosto pensiamo a un'angoscia del genere di La città verrà distrutta all'alba, cronaca coinvolgente e ricca di tensione di un'affannosa fuga per la salvezza, con le aree urbane brutalmente occupata dai militari, isolate dalle aree circostanti con un rigidissimo cordone sanitario, tutti i residenti rastrellati e divisi drasticamente in base al contagio e frettolosamente eliminati al primo accenno di difficoltà da soldati in assetto da guerra chimica altrettanto terrorizzati.

Pensiamo alle tante storie che il cinema ci ha raccontato, quelle delle apocalissi di ogni tipo di genere, da infezione o da atomica, quelle dei Medioevi prossimi venturi, che hanno imposto un drastico cambiamento ai comportamenti dell'umanità, dove il nostro mondo conosciuto ha finito col diventare una landa alla Mad Max o un agglomerato pseudo-urbano dove vige la legge del più forte, o una megalopoli dove il potere sta nelle mani di qualche crudele oligarchia. Oppure uno dei pochi sparuti avamposti dove si cerca di resistere, asserragliati contro la degenerazione che si è verificata all'esterno. Qui la lista dei film sarebbe infinita, perché piacciono molto le narrazioni di cui un futuro in negativo, dove il progresso ha portato solo danni e la degenerazione dello stile di vita degli esseri umani.

Io sono leggenda.

Ci sono libri stupendi sull'argomento, a partire proprio da Il medioevo prossimo venturo, titolo che consigliamo a tutti, saggio scritto nel 1971 dall'ingegnere e scrittore Roberto Vacca, divenuto un vero, profetico classico, seguito poi da La morte di megalopoli del 74, e in generale tutta la fantascienza degli anni d'oro, dai '50 ai '70, in cui i nomi di riferimento sono Asimov, Bradbury, Scheckley, Matheson, Sterling, solo per citarne alcuni. E sull'epidemia con conseguenti stravolgimenti della società, anche i più giovani conoscono il grande classico L'ombra dello scorpione, di Stephen King, divenuto una serie tv del '94 e sta per arrivare un remake, con il titolo The Stand. Quindi città vuote, strade deserte, provviste che scarseggiano, case che diventano fortini, gente che si guarda in cagnesco da lontano, polizia che impone il coprifuoco.

Il caposaldo è senza dubbio Io sono leggenda, tratto proprio dal romanzo di Richard Matheson, consigliamo l'antica visione con Carlton Heston rispetto a quella più recente con Will Smith, anche se il poster di quest'ultimo è diventato meme in questi giorni. Crudeli nella realistica messa in scena di panorami di sopravvivenza improntati alla ferocia più disumana sono The Road e Light of My Life, nel primo in una concatenazione di eventi irresistibili il mondo comunemente detto civile si sta fermando. Un padre armato di una pistola, con sempre meno pallottole e meno forze in corpo, riesce a proseguire solo per amore per il figlio, rimasto "umano" nonostante tutto proprio grazie al suo lavoro, alla sua dedizione, alla protezione cui il padre si è votato.

Film angosciante perché lo spettatore in cuor suo sa che finirebbe così, e velocemente, perché se la razza umana ha preso il sopravvento su tutte le altre è stato perché è sì la più intelligente, ma anche di gran lunga la più feroce. Stesso discorso ma con variante per Light of My Life: la maggior parte delle donne è morta a causa di una misteriosa infezione e in un mondo di maschi un padre deve difendere la sua unica, adorata figlioletta dai predatori in cui si è trasformato il resto dell'umanità, sconvolgente specie se genitori. Categoria che potrebbe essere toccata anche dalla storia narrata in It Comes at Night, in cui un padre si è rifugiato in lontane foreste con moglie e figlio per sfuggire al resto di un'umanità divenuta pericolosa per la loro sopravvivenza.

Light of My Life.

Non si sa come o perché sia successo, ma solo nell'isolamento ci può essere la salvezza. Stessa situazione per la famigliola di A Quiet Place, in cui fra le nuove regole di sopravvivenza, c'è il silenzio più assoluto. Spettacolari, meno intimisti, sono altri due classici dell'horror da epidemia, 28 giorni dopo e il sequel 28 settimane dopo, che però sono film di zombie ma anche di assedio, quella sensazione che ha indotto molti in questi giorni a citare Lucio Dalla e i sui sacchetti di sabbia alla finestra. Anomalo a modo suo E venne il giorno, in cui folate di vento portano l'oblio totale nelle menti degli umani, che in quel vuoto si suicidano. Citiamo la frase dell'autore del film Night M. Shyamalan, posta all'inizio del film "la scienza troverà qualche spiegazione da inserire nei libri, ma alla fine sarà solo teoria. Così potremo evitare di riconoscere che ci sono forze che vanno al di là della nostra comprensione".

Discorso più complesso per L'esercito delle 12 scimmie, diretto ai suoi bei tempi da Terry Gilliam, capace di ricreare scenari futuristi di incredibile suggestione, come anche in Brazil, che mostra la razza umana del 2035, costretta a vivere sottoterra per sfuggire a un contagio, che ha eretto la tecnologia a proprio nume tutelare. E di scenari post-apocalittici si occupava anche L'uomo del giorno dopo (The Postman), uno degli insuccessi di Kevin Costner negli anni '90, dove interpreta un piccolo uomo che cerca di ridare forza e fiducia nel futuro a un'umanità che vive frantumata in piccole comunità, vessata da milizie fascistoidi. In fuga da uno di questi gruppi, un uomo si improvvisa postino, per ristabilire il senso di comunità e fare alleanze, perché solo uniti si può resistere.

L'ombra dello scorpione.

Concludiamo questo breve excursus con The Mist, perché quel minuscolo virus che ci sta ammazzando potrebbe parimenti essere un mostro mostruoso, gigantesco e indifferente, scappato dai soliti laboratori degli scienziati pazzi e noi dovremmo stare ben attenti alle scelte che facciamo, alle nostre reazioni di fronte alla perdita di ogni speranza. The Mist mostra inoltre su quali fragili basi si fondi la convivenza civile, scoperchiando in un lampo l'ipocrisia dei sorrisi da buon vicinato, minati alla base dai piccoli reciproci soprusi, da insofferenze sociali e razziali, nascoste appena sotto lo strato sottilissimo della vernice delle buone maniere. In realtà tutti sono pronti a scatenarsi l'uno contro l'altro, in un gioco di influenzabili e fragili alleanze, tranne pochissimi che cercano semplicemente di ragionare, anche sbagliando, ma provandoci: restare aggrappati alla razionalità non salverà la vita di nessuno, ma impedirà di regredire in un'inutile barbarie, come imparerà amaramente il protagonista.

Quindi, avendo letto tanti libri e visto tanti film, avremmo dovuto arrivare preparati a una pur imprevedibile circostanza come quella attuale. E invece li abbiamo presi come le favole paurose della nostra infanzia, di cui parlavamo all'inizio. E adesso vaghiamo spauriti, con le nostre inutili mascherine, pronti a litigare se uno ci passa avanti nella fila per entrare in supermercato, in cui abbiamo paura di non trovare che pennette lisce. Come diceva l'adorabile Signor Verme di Labyrinth, non dare mai niente per scontato.