Shang-Chi e la leggenda dei 10 anelli - recensione
10 anelli per domarli… e nel buio incatenarli…
Nell'ampliamento dell'MCU, fra inclusione, ammenda e allargamento del mercato, siamo arrivati al colore giallo.
Dopo il nero di Wakanda in Black Panther, siamo infatti a personaggi "gialli" cioè cinesi. Infatti di quell'etnia è Shang-Chi, figlio di Wenwu, il millenario detentore dei 10 anelli, che gli hanno dato potere e immortalità.
Wenwu si era innamorato della bellissima Xilaing, il cui villaggio avrebbe dovuto conquistare. Invece a essere conquistato era stato il suo cuore (molto bella la sequenza del loro primo combattimento che assume i connotati di una vera danza di seduzione e accoppiamento).
Ma non per questo aveva smesso di essere uno spietato dominatore e aveva cresciuto con grande durezza Shang, trascurando la figlia in quanto femmina. L'amorevole madre aveva cercato di porre rimedio ai traumi inflitti dal padre ma una volta cresciuti i ragazzi si erano sottratti al tossico ambiente e si erano persi di vista.
Tanto che, molti anni dopo, a mamma morta, ritroviamo Shang-Chi a fare il posteggiatore di auto fuori da un hotel di lusso a San Francisco, con il nome di Sean, insieme all'inseparabile amica e compagna di karaoke Katy (Awkwafina), che non sa nulla delle sue origini. Ma l'aggressione da parte di un gruppo di energumeni gli fa capire che il suo passato lo sta braccando.
Costretto a rintracciare la sorella, dovrà intraprendere un percorso di crescita, in cui affronterà l'ingombrante figura paterna, stretto idealmente fra lo Yin e lo Yang, fra la violenza del padre e la grazia della madre. Così come il film, che resta in equilibrio fra il genere supereroico all'occidentale e quello tradizionale dei Wuxiapian.
Sono molte e valide le scene d'azione, coreografate in combattimenti impeccabili, sia quelli più aerei in cui i volteggi sono realizzati con l'ausilio dei cavi, sia quelli più fisici e violenti. Notevole la sequenza della lotta sul bus che si avventa a rotta di collo giù per le mitiche discese di San Francisco, mentre a bordo i personaggi si tirano mazzate epocali e anche quella giocata sulla verticalità delle impalcature di un grattacielo.
Dopo una parte centrale in cui si subisce un leggero calo di attenzione, causa qualche "spiega" di troppo (il film dura 2ore e 12 e si sarebbe potuto stringere un po'), la parte conclusiva, quella della resa dei conti, è invece ambientata nel fiabesco villaggio della madre, affollato di personaggi "disney" che in realtà sono rivisitazioni di animali tipici della favolistica cinese, i leoni guardiani, le volpi a nove code, i cavalli kirin e il buffo Dijiang, una specie di cuscino peloso, con sei gambe e altrettante piccole ali ma senza faccia.
Il combattimento finale, oltre che fra umani, è fra draghi, uno orrido e malefico, poetico e sinuoso e senza ali l'altro, nello stile orientale, come il drago di Raya per intenderci. Due scene nei titoli di coda, una proprio alla fine, restate seduti fiduciosi.
Il protagonista Simu Liu ai nostri occhi sembra poco carismatico, è di cittadinanza canadese, ex stuntman con preparazione in arti marziali Taekwondo e Wing Chun, con partecipazioni a diverse serie tv. Si guarda più a Jackie Chan che ai romantici e fascinosi eroi dei molti wuxia che abbiamo visto negli anni (ma anche il personaggio nato sui fumetti negli anni '70 non era stato memorabile).
Per fortuna (almeno degli amanti del cinema) Wenwu è affidato al lui sì sempre carismatico Tony Leung, che ne fa qualcosa di più di una semplice figurina. Del resto in fase di scrittura il personaggio era stato sfrondato da tutti gli stereotipi sul "perfido orientale" che appartenevano alla scrittura originale del personaggio Fu Manchu (e vista la presenza di Ben Kingsley nei panni di Trevor Slattery, per i più distratti si consiglia un ripasso di Iron Man 3 per la questione del Mandarino). Di bellezza moderna e di fascino letale Fala Chen, che interpreta la sorella Li, divenuta per necessità più spietata del fratello.
Dirige Destin Daniel Cretton, di origine hawaiana, autore di Il castello di vetro e Il diritto di opporsi, al suo esordio nel genere action, che anche scrive la sceneggiatura insieme a Dave Callaham, uno che ha partecipato alla scrittura di molti film noti (fra cui, purtroppo, anche Wonder Woman 1984). I dialoghi sono in inglese (da noi ovviamente doppiati), ma molti sono in cinese con sottotitoli, che è sempre un azzardo per il mercato americano. Ma la ragione è chiara.
Shang-Chi e la leggenda dei 10 anelli si rivela nel complesso migliore del previsto, nonostante la narrazione poco appassionante e nessun personaggio che tocchi il cuore. I combattimenti e gli effetti sono impeccabili (e ci mancherebbe, con quello che costano questi film), e il riallaccio con la saga può dirsi riuscito (nella figura del simpatico Wong). Emozione percepita zero, ahimé.
A forza di inclusioni e ammende (ma vorremmo a questo punto anche qualcosa indirizzato ai "rossi" cioè ai nativi americani, nei cui confronti gli americani hanno ben da espiare), siamo arrivati a questo punto.
Però, per restare nella metafora dei colori, possiamo dire (senza voler essere politicamente scorretti) che l'unico colore capace di trasmetterci qualche emozione, diverso dal bianco del gruppo originario degli Avengers, per noi resta solo il verde di Hulk.
Restiamo in attesa del prossimo film, Eternals, in cui si promette maggiore sostanza.