Shingeki no Kyojin: Humanity in Chains - recensione
Quel giorno, l'Umanità ricordò il terrore dei giochi su licenza.
L'Umanità si è trovata in situazioni critiche più volte nelle storie di videogiochi, manga, libri e altre forme di espressione narrativa, ma il mondo distopico di Shingeki no Kyojin è caratterizzato da una nota particolarmente disperata.
Per chi non lo conoscesse, il manga creato da Hajime Isayama vede gli ultimi rimasugli dell'Umanità imprigionati in una triplice cinta di mura colossali, necessarie a tenere all'esterno i Kyojin del titolo, giganti umanoidi dalle fattezze grottesche che sembrano avere il solo scopo di divorare gli esseri umani per motivi ignoti.
Anche se prigionieri, gli esseri umani riescono comunque a condurre vite tutto sommato normali all'interno delle mura di cinta finché un titano colossale s'affaccia oltre di esse e apre una breccia da cui fanno irruzione titani di ogni specie e forma, costringendo la civiltà a ritirarsi ulteriormente.
Da questo antefatto in poi è meglio non scendere in dettagli, visto che la storia del protagonista Eren Jaeger e degli altri suoi compagni riserva molte sorprese veramente inattese ma in ogni caso ciò che c'interessa è che la carne al fuoco (da convertire in bit) è senza dubbio tanta.
Il punto focale di Shingeki no Kyojin: Humanity in Chains è ovviamente il combattimento con i titani, possibile grazie a complesse apparecchiature di manovra tridimensionale che conferiscono ai soldati che le indossano una mobilità senza pari, al prezzo di duri e lunghi anni di addestramento necessari per imparare a padroneggiarle.
Gli scontri al centro di questo videogioco sviluppato da Spike Chunsoft sono suddivisi in missioni di vario tipo, vissuti dal punto di vista dei personaggi principali della serie. Parliamo di Eren, Mikasa, Armin, il capitano Levi e Sasha Braus, quest'ultima dotata di missioni slegate dagli altri e che tentano di variare un po' lo svolgimento del gioco... ma ne parleremo tra poco. La progressione, nonostante i vari personaggi disponibili, è abbastanza lineare e spesso c'è una sola missione sbloccata, da completare per guadagnare l'accesso ad altre.
Le missioni consistono quasi sempre nell'abbattere un certo numero di titani, o uno in particolare, con piccole varianti come inseguimenti o il recupero di soldati feriti, entrambi molto semplici quanto a meccaniche.
Ma come sono stati resi i combattimenti tra i minuscoli e veloci soldati e i mostri? La complessa manovra tridimensionale è stata, per fortuna, resa molto semplice da gestire, e spostarsi tra strade e tetti non richiede molta pratica.
Lo stesso concetto è stato però applicato al combattimento vero e proprio, che in pratica consiste di un QTE neanche troppo complesso. Proprio così, in Shingeki no Kyojin: Humanity in Chains non v'è traccia della strategia che sarebbe indispensabile per affrontare un nemico così temibile, né della collaborazione con i compagni che sfrecciano al nostro fianco tra i giganti.
Il combattimento consiste praticamente nel puntare una parte del corpo di un titano, premere il tasto Y per scagliarsi verso di esso e il tasto X per cominciare l'attacco; dopodiché si dovrà premere nuovamente X quando un anello giallo che si rimpicciolisce sullo schermo sarà all'interno di una zona rossa. Colpire un titano alle gambe lo farà cadere a terra, mentre un colpo al volto lo accecherà rendendo i seguenti più facili.
Il colpo di grazia, come ben sa chi conosce la serie, va portato alle spalle, in quanto l'unica zona vulnerabile dei giganti è la collottola. Nel gioco non è affatto difficile eseguirlo poiché un critico ben assestato mette nella posizione migliore per ripetere l'attacco. L'unica variante sta nel tipo di colpo, che può essere normale o rotante, ma non c'è altro che renda più varia l'azione.
Il risultato è che i combattimenti sono quanto di più piatto possa capitare di vedere in un videogioco al giorno d'oggi. La sequenza di attacchi tutti uguali diventa ripetitiva dopo pochi minuti e la spettacolarità delle manovre su schermo va persa a causa della necessità di tenere d'occhio l'indicatore.
Moltiplicate questa sequenza per un numero spropositato di volte e vi sarete fatti un'idea abbastanza precisa di Shingeki no Kyojin: Humanity in Chains. Fattori come l'importanza di aggirare il nemico non hanno il giusto peso e anche attaccare di fronte (un sicuro suicidio nella serie) si rivela una tattica efficace.
Le situazioni teoricamente più impegnative, con vari titani che sciamano nella stessa zona, portano allo spam dei soliti due tasti e a sequenze ininterrotte di aggancio, colpo, aggancio, colpo e così via ad libitum. I titani anormali, che dovrebbero rappresentare un pericolo ancora più letale, non fanno altro che muoversi più velocemente e lanciarsi a terra per afferrarci in caso di manovra troppo incauta, ma la sostanza non cambia.
I momenti più epici della serie, come la scena del masso nel distretto di Trost, sono resi nella stessa semplicistica maniera e perdono praticamente tutta la loro carica dirompente. Uno dei momenti clou, lo scontro con il titano femmina, si risolve poi nel mashing spietato di un solo tasto... insomma, più le potenzialità del momento sono alte, più il gameplay s'appiattisce.
La variante di Sasha Braus, le cui missioni sono basate sull'insaziabile appetito della ragazza e prevedono appunto la raccolta di cibo, risultano se possibile ancora più vuote. La parte migliore dell'insieme sta negli intermezzi presi direttamente dalla serie animata, ma gran parte della narrazione è affidata a schermate statiche di testo, che vengono anche ripetute quando la stessa missione viene giocata con due personaggi differenti.
Graficamente i modelli dei titani sono resi discretamente ma la generale innocuità dei nemici fa perdere loro tutta quell'aura di indecifrabile pericolosità che caratterizza la serie. Gli scenari non brillano invece particolarmente, soprattutto quelli cittadini che offrono una manciata di case e mura invisibili tra cui muoversi, mentre le missioni nelle zone esterne si svolgono nel nulla quasi totale, con una manciata di edifici e poco altro a punteggiare il territorio.
Sarebbe bello poter parlare di tratti positivi che possano redimere almeno parzialmente Shingeki no Kyojin: Humanity in Chains, ma purtroppo non ve ne sono neanche a cercarli col proverbiale lanternino. Purtroppo le parti migliori del gioco sono le sequenze prese direttamente dalla serie animata, mentre tutto il resto fallisce miseramente nel catturare l'atmosfera del materiale originale.