Soulcalibur VI - recensione
Di lame ed eroi.
Se per voi non è un problema, partiremmo subito con il Lupo Bianco di Rivia. Sì, perché il personaggio di Geralt, guest di questa edizione, è probabilmente il miglior ospite ad aver mai varcato la soglia del mondo di Soulcalibur e, oltre a combattere in modo eccellente, può contare sulla teoria dei multiversi targata The Witcher per inserirsi perfettamente nelle trame dell'epopea delle due spade.
Grazie allo swordplay fantastico, al doppiaggio targato Doug Cockle (il doppiatore originale), ai segni che si sposano alla perfezione con il sistema di combo e grazie soprattutto a un episodio narrativo che riesce nell'intento di non fare torti né all'universo di CD Projekt né al sedicesimo secolo secondo Project Soul, lo Strigo porta agilmente a casa la corona per il miglior crossover finora realizzato nella storia di Soulcalibur.
Lo sappiamo, state rimuginando su Link, Kratos e Darth Vader, ma la verità è che non possono competere con l'integrazione a tutto tondo che ha caratterizzato la comparsa di Geralt.
Esaurito questo piccolo excursus, passiamo a Soulcalibur VI. Siamo certi che la parola "multiforme" sia apparsa almeno una volta su tutte le testate di settore nel corso dell'ultimo mese, ma purtroppo non c'è altro modo per definire l'ultima fatica di Project Soul. Perché, inevitabilmente, questo episodio della saga finirà per superare le aspettative di molti utenti, andando però a generare qualche dubbio tra le file dei giocatori più appassionati.
Del resto, la linea creativa alla base dell'opera ha conosciuto un importante passaggio di testimone: Motohiro Okubo, già producer di Tekken, ha preso in mano le redini di Soulcalibur, fattore che appare evidente sin dai primi istanti di gameplay. Non fraintendeteci però: l'anima ventennale è rimasta pressoché invariata ma è palese che il confine tra i due prodotti si stia assottigliando una release dopo l'altra. Del resto il sistema della Lama Critica, che nel quinto capitolo permetteva di sprigionare potentissimi attacchi in seguito al riempimento di una barra, ha trovato una sua forma nelle Rage Arts apparse in Tekken 7.
In effetti, ciò che ci ha stupiti maggiormente è come Soulcalibur VI sia riuscito a preservare un ottimo livello di purezza tecnica nonostante le numerose aggiunte pensate e realizzate per accogliere un'ipotetica nuova fetta di pubblico. Oltre al ritorno della Lama Critica, è stato introdotto un sistema definito Reversal Edge che permette di sferrare un potente attacco e, negli istanti successivi all'impatto, di scontrarsi in slow motion con l'avversario nel corso di una sequenza altamente cinematografica e altrettanto efficace.
Sulla carta un giocatore navigato sarebbe facilmente in grado di uscire indenne dalla sequenza ma l'elemento sorpresa e il riposizionamento intrinseco dell'attacco lo rendono un'arma estremamente versatile, seppur facilmente punibile. Ciò accade perché lo spacing, ovvero la capacità di leggere le distanze tra i personaggi tipica dei picchiaduro, resta tuttora l'elemento cardine dell'intera costruzione del gameplay.
Agli occhi di un neofita Soulcalibur pare il classico prodotto pensato per un pubblico casual, probabilmente perché al primo sguardo non presenta command list particolarmente poderose e complesse. Chi conosce il titolo, invece, sa bene che si tratta di uno tra i picchiaduro più tecnici e che richiede un'interpretazione degli attacchi al limite del sandbox. Certo, nel gioco sono presenti elenchi di mosse ma ciò che fa la differenza sono i tempismi, i juggle e, per l'appunto, lo spacing.
Quanto sono distante dal nemico? Quanto raggio ha la sua arma? Quali attacchi di avvicinamento posso utilizzare? Queste sono solo alcune delle domande che affollano la mente del giocatore, perché bisogna tenere conto del fatto che uscire dall'arena comporta la morte istantanea. Se solitamente finire con le spalle al muro significa dolore e sofferenza, in Soulcalibur significa precipitare per centinaia di metri. Ma attenzione: come insegna la celebre presa di Nightmare, attaccare un personaggio sull'orlo del precipizio può rivelarsi spesso una scelta kamikaze.
La componente strategica è ai massimi della saga: come da tradizione la parata è un input attivo (con tanto di Guard Impact), e la novità risiede in quella serie di giochi mentali che scaturiscono dalla presenza delle barre dedicate alla Lama Critica. Insomma, tutte le meccaniche che di primo impatto sembravano null'altro che espedienti per aumentare l'accessibilità, alla prova dei fatti si sono dimostrate ottimi innesti per svecchiare il gameplay, mantenendo intatto al tempo stesso il feeling tecnico presente fin dagli esordi.
Un risultato, questo, che si traduce in una serie di combattimenti freschi ed emozionanti, mai scontati e sempre aperti al rovesciamento di fronte; i juggle, poi, non sono eccessivamente punitivi: non si tratta di uno di quei titoli in cui l'avversario può usarci come punching ball inerti nel corso di una singola lunghissima combo, e molto spesso ci si trova in posizione neutrale pronti a sferrare un nuovo assalto. Esauriamo le questioni tecniche con la Carica dell'Anima, che torna in una nuova veste: non è altro che uno sfruttamento alternativo della barra dedicata alla Lama Critica che permette di accedere a intere nuove stance nel corso di una sorta di modalità rage.
Le critiche mosse a Soulcalibur V, tuttavia, avevano ben poco a che fare con la componente meccanica, nonostante più di una finale mondiale effettivamente al di sotto delle aspettative del pubblico pagante. Il lavoro di Motohiro Okubo, in questo ambito, è stato ineccepibile: il producer è riuscito a muovere gli ingranaggi giusti per aumentare l'appeal estetico senza sacrificare un briciolo della complessità. Ciò che invece non andava giù agli utenti era l'offerta complessiva del pacchetto, perché Soulcalibur non dovrebbe essere solo arcade e multiplayer, ma anche storia e intrattenimento per ogni singolo giocatore.
A differenza della scrittura di Tekken, che ormai da tempo ha smesso di prendersi sul serio, l'odissea della Soul Edge e della Soul Calibur è molto complessa e occupa un posto speciale vicino al cuore dei fan, essendo facilmente assimilabile ad un anime fatto e finito. In questo senso, il sesto episodio si può interpretare come un vero e proprio reboot: si torna alle origini del mito, e di fatto anche al roster più amato della serie.
Spazzando via il salto temporale della scorsa istanza, tornano sul palcoscenico personaggi come Kilik, Xianghua, Sophitia, e Zasalamel accompagnati da qualche nuovo innesto (stilisticamente fantastico l'esordio di Groh) e da altri numerosi inevitabili ritorni. La modalità Cronache dell'Anima permette appunto di vivere da protagonisti l'ascesa di Nightmare, seguendo le imprese di Kilik, Xianghua e Maxi dal momento del loro primo incontro fino alla seconda battaglia per il destino del mondo.
Compressi nella linea del tempo che va dal 1583 fino al 1590 troviamo, oltre alla storia principale, una serie di capitoli riservati alle vicissitudini di ogni protagonista, villain compresi. Capite dunque che la mole di attività da portare a termine è piuttosto importante, di conseguenza abbiamo incontrato un numero esiguo di sequenze cinematiche, mentre gli artwork sono stati sostituiti da un pratico ma meno impattante sistema di dialoghi.
La qualità di quest'offerta specifica è altalenante: alcune storie sono decisamente più interessanti di altre e in alcuni casi ci siamo trovati di fronte a tantissimi filler, necessari per non intaccare le già complicatissime interazioni tra i protagonisti della serie. Il ritorno alle radici, in ogni caso, rappresenta un ottimo strumento per coinvolgere chi sia arrivato in ritardo alla festa, accendendo i riflettori sulla storia delle spade e offrendo uno spaccato della personalità di ciascun combattente.
La novità, che poi non è una novità, è la modalità Bilancia dell'Anima, che per grande gioia dei fan è una reinterpretazione in chiave moderna delle Cronache della Spada assenti fin da Soulcalibur III. La bomba è sganciata: da tempo numerosi aficionados richiedevano a gran voce un'avventura per i personaggi appena usciti dal character creator, un viaggio che permettesse agli avatar di prendere vita nell'universo di Soulcalibur; un tempo questa modalità ricordava Fire Emblem, con la differenza che gli scontri si risolvevano in duelli all'ultimo sangue.
Ora ci troviamo di fronte a un'esperienza ancor più ruolistica: la selezione della classe non sarà restrittiva come in passato, ma ogni scelta compiuta nel corso dell'avventura porta a un esito differente a seconda dell'allineamento del nostro protagonista. Interagendo con i personaggi al centro della vicenda della Soul Edge, dovremo farci strada nel mondo affrontando una serie di minacce di difficoltà crescente, potenziando il nostro arsenale e sfruttando numerosi buff per arrivare in fondo all'avventura. Si tratta di una modalità di gioco, oltre che particolarmente azzeccata per rispondere all'esigenza di contenuti offline, capace di crescere in modo piuttosto inaspettato; non corre sul classico binario tipico del genere e non è una semplice modifica formale della struttura arcade, ma una vera e propria lettura ramificata dell'esperienza in single player per i fighting game.
Esplorando il globo terrestre ci si imbatte in piccole quest testuali, scontri casuali e luoghi misteriosi. I mercanti offrono armi ed equipaggiamenti, mentre accettare missioni per conto di un feudo, oltre a fornire una ricompensa in oro indispensabile per viaggiare, premia il giocatore con un miglioramento delle infrastrutture interne agli insediamenti. Insomma, pur non essendo una feature eccessivamente profonda e impegnativa, la Bilancia dell'Anima riesce nell'intento di scavalcare l'ostacolo della ripetitività intrinseca e aggiungere al piatto una modalità che, all'interno del panorama picchiaduro odierno, difficilmente può trovare termini di paragone.
L'editor del personaggio fa il suo dovere alla perfezione, e ovviamente si possono creare i classici lucertoloni per poi personalizzarli in ogni dettaglio; alla scelta dello stile corrisponde la tecnica di combattimento di uno tra i membri originali del roster, mentre le armi presentano vantaggi effettivi e un buon numero di sfaccettature estetiche. È possibile personalizzare anche i protagonisti veri e propri cambiando i colori dei costumi, che si rompono e mutano aspetto in seguito ai danni subiti nei round, oltre che scegliendo tra 8 armi diverse nel rispetto della tradizionale lore dell'opera; Xianghua, ad esempio, può effettivamente impugnare la Soul Calibur.
Altra feature degna di menzione è il Museo: tramite i Punti Anima, valuta principale del titolo, è possibile sbloccare un'immensità di artwork e intere opere letterarie volte ad alimentare la componente narrativa; altre, invece, sono da ottenere tramite Le Cronache dell'Anima e La Bilancia dell'Anima, e affiancheranno la mole di informazioni sui personaggi e l'immancabile colonna sonora, che merita un plauso particolare.
Soulcalibur Vi si configura come una concretizzazione dell'eredità spirituale dei primi episodi, quelli capaci di consolidare una fan base estremamente legata alle trame dell'opera, ma al tempo stesso riesce a innovare come mai accaduto in passato grazie a un eccellente impiego dell'Unreal Engine 4. Il ritorno dei grandi personaggi non può che soddisfare anche i palati più difficili, mentre Geralt è semplicemente la miglior guest star ad aver mai calcato questi campi di battaglia.
Se aggiungiamo al calderone un'offerta single player capace di intrattenere anche i giocatori più accaniti per un elevatissimo numero di ore, otteniamo un'esperienza che sa farsi apprezzare da qualsiasi categoria di videogiocatore, dai fan di vecchissima data fino ai più giovani appassionati di picchiaduro. Perché dunque non premiarlo ulteriormente? Perché stiamo vivendo una vera e propria età dell'oro per il genere dei fighting game, e ormai serve qualcosa in più per farci letteralmente saltare sulla sedia.