Soulstice, la recensione
Forse un punto di svolta nel nostro paese.
Questa è una di quelle recensioni scritte con un sorriso e quasi una punta d'orgoglio. È molto facile farsi prendere dall'entusiasmo con Soulstice, soprattutto per chi è appassionato di anime giapponesi e apprezza opere come Claymore e Berserk, senza dimenticare i capisaldi dell'hack 'n' slash come Devil May Cry, Bayonetta e gli originali God of War. Ma anche dopo aver trascorso un certo periodo di “cooldown”, in cui riordinare le idee e ragionare a freddo su quanto vissuto, il nuovo lavoro Replay Game Studios non può che essere promosso, alimentando aspettative molto alte per l'eventuale sequel.
La nostra industria eccelle soprattutto nei racing game, con Milestone e Kunos Simulazioni che dicono la loro senza remore nel panorama mondiale, ma pensare di affermarsi anche nel campo degli action sembrava utopia. Del resto, il Giappone è fiero detentore del genere, senza dimenticare gli occidentali Darksiders e il già citato God of War. Serviva essere spregiudicati, avere una buona dose di ambizione ma anche una certa esperienza, e dopo Theseus e Lone Wolfe, la terza opera del team di Milano potrebbe invogliare anche altri studi nostrani a gettarsi nella mischia di questo genere.
Sebbene il nome faccia intendere altro, Soulstice è quanto di più lontano prodotto da From Software, anche se l'ispirazione artistica delle ambientazioni è abbastanza palese. Il titolo pesca a piene mani dagli originali Devil May Cry, con alcune soluzioni che sicuramente sanno di già visto ma che si rivelano necessarie per mettere dei paletti su cui costruire tutto il resto.
Ciò che spicca, però, è l'aver messo la narrazione a servizio del gameplay, con una contestualizzazione di ciò che avviene a schermo difficilmente riscontrabile in altre opere simili, in cui normalmente avviene il contrario. In poche parole, prima sono state pensate le abilità del duo protagonista, la loro progressione e i loro limiti, successivamente la sceneggiatura, in modo da rendere coerenti tutti i power-up che spesso, soprattutto in manga e anime, sbucano fuori un po' a caso.
Esiste dunque un'attenzione particolare su tutto il pacchetto offerto, anche a livello narrativo, con i connotati di una struttura giapponese in grado di ricalcare in pieno non solo lo svolgersi degli eventi ma anche alcune scene che potremmo definire iconiche e punto di svolta dei personaggi. C'è un amore profondo per questo modo e lo si vede soprattutto nella regia delle cutscene, volutamente sopra le righe nelle movenze della protagonista e con alcune inquadrature e una fotografia che cerca di cogliere il momento perfetto.
Ma la scelta registica interviene anche in-game, con l'utilizzo di una telecamera fissa durante le fasi esplorative, erede di quanto visto in DMC ma soprattutto God of War, con panoramiche mozzafiato in grado di mostrare non solo soluzioni per il platforming ed eventuali luoghi od oggetti nascosti ma anche l'ambiente di gioco e la devastazione che ha colpito Ilden, la città sacra protagonista in Soulstice.
La questione della telecamera è un aspetto cruciale e sebbene risulti un interessante ritorno al passato, sia per questioni meccaniche sia artistiche, a volte si fatica a percepire la giusta profondità dell'ambiente di gioco, un piccolo problema quando si cerca ad esempio di saltare su piattaforme sospese, finendo col cadere per terra.
Mentre su questo ci si può grossomodo abituare, il tutto si fa un po' più complicato nelle fasi di combattimento (togliamoci subito il dente) con la telecamera che da fissa diventa mobile, diventando in certi frangenti un ostacolo in più, oltre ai vari nemici che già affrontiamo.
Essendo un hack 'n' slash, targhettare un nemico può risultare controproducente per cui si procede spesso con attacchi generali all'orda, cercando di avere tutti sott'occhio; questo però, in certi frangenti, è davvero difficoltoso e soprattutto in due occasioni: quando ci si trova ai confini dell'arena e quando si è in presenza di nemici dotati di una certa stazza che, semplicemente, nascondono il nostro alter ego e gli eventuali nemici attorno.
Un ulteriore problema accade quanto nemici di rango più alto sono tenuti in vita da altri che, a un certo punto, fuoriescono dal corpo principale: trovandosi spesso fuori inquadratura, diventa impossibile targhettarli, compromettendo l'esito della partita. Non accade sempre, sia chiaro ma si ha la sensazione che se messa alle strette, la telecamera non sia abbastanza rapida da seguire l'azione e che non sia ben posizionata nelle zone al chiuso, trasformando il divertimento in frustrazione. Ma questo è forse l'unico vero limite di un titolo che, in realtà, ha molte frecce al proprio arco.
Una di queste sta nel cast di personaggi, in cui le protagoniste Briar e Lute spiccano grazie al loro rapporto (doppiate entrambe da Stefanie Joosten, Quiet di MGS V) e la loro crescita all'interno di un mondo costruito attraverso cospirazioni e menzogne. Benché non si tratti di una narrazione particolarmente originale, è trattata con cura, con uno sviluppo attento di personaggi e contesto. Anche i cliché sono posizionati lì dove serve e, tralasciando una parte finale forse un po' prevedibile, diversi colpi di scena funzionano, con l'espediente dei ricordi a fare da collante tra un punto di svolta e un altro.
In certi frangenti si assiste essenzialmente a un tie-in dei già citati Claymore e Berserk, il primo per l'ispirazione che vede la creazione di un corpo speciale di guerrieri (Chimere) costituiti in parte da ciò che si combatte, l'altro per lo stile adottato nella regia, pose e alcuni elementi che ricordano il famoso tratto lasciato dal compianto Miura. Un altro elemento da prendere in considerazione è l’apprezzabile mancanza totale di fan service, cosa su cui si sarebbe potuto spingere con una certa facilità, vista la procace protagonista.
Il duo protagonista, dunque, esiste in funzione del gameplay, alla ricerca di un proprio posto nell'intricato destino che l’attende attraverso errori, sacrifici, la ricerca del perdono e l'accettazione del male necessario per fermarne uno più grande, che spalancherà le porte a eventuali sequel. È incredibile, comunque, come tutto risulti coerente ed è questa forse a dare risalto e carisma ai personaggi, inficiati da un design un po' troppo derivativo (anche se qualche guizzo stilistico è presente). Briar e Lute maturano assieme al giocatore durante il corso dell'avventura ma senza dimenticare che oltre questo, c'è da menare le mani.
È già l'intro a farci capire con cosa abbiamo a che fare, ossia un titolo tremendamente frenetico, in grado di mostrare cosa saremo in grado di fare in futuro, solleticando la nostra parte viscerale. Soulstice sa come toccare le corde giuste, quelle di bambini appena tornati da scuola che non vedevano l'ora di vedere le battaglie di Goku o Naruto, o chi attendeva con trepidazione l'anime night su MTV, e questo perché anche nel bel mezzo del combattimento possiamo assistere a piccole cutscene perentorie su trasformazioni o colpi finali che chiaramente spezzano un po' il ritmo dell'azione, ma che raramente verranno saltate per tornare a combattere. Tutto è perfettamente integrato e, siamo onesti, chi salterebbe le trasformazioni in un anime solo perché le abbiamo viste decine di volte!?
Ma questo è tutto contorno e fortunatamente esiste anche parecchia sostanza. Come detto, le protagoniste Briar e Lute sono chiamate a salvare la città di Ilden ma, per farlo, dovranno affrontare molti nemici e diversi boss, tutti diversi tra loro e che meritano una strategia apposita. Nonostante piccoli alti e bassi, il combat system regge l'urto dei veterani abituati alle combo di Dante o Bayonetta e benché non abbia la cura meticolosa con cui Ryota Suzuki ha reso Devil May Cry 5 quello che è, Soulstice si difende bene, soprattutto perché ci ritroviamo più in territorio Platinum Games: poca complessità, massima resa.
Le combo (purtroppo) sono poche ma suddivise in sei tipologie di armi intercambiabili in tempo reale, oltre la nostra fedele spada, anche questo riferimento a Berserk ma anche alla Buster Sword di Cloud in Final Fantasy VII. La particolarità di quest'arma è quella di potersi trasformare in un possente martello, che non ha attacchi ad ampia portata ma è utile con specifici nemici. Briar ha infatti un coltellino svizzero di morte visto che ogni arma a disposizione possiede punti di forza e debolezze in base al nemico affrontato. Si cambia dunque arma per necessità oltre che per “stile”, cercando di ottimizzare il tutto.
Tutte queste armi possiedono combo proprie e padronanza che ne aumenta efficacia e, una volta in possesso di tutte, si avvia una danza mortale estremamente fluida e appagante, grazie alla reattività dei comandi e l'ottimo feedback dei colpi. Oltre questo, esistono le trasformazioni: come in Claymore, infatti, le Chimere possiedono un potere speciale che se non controllato adeguatamente le farebbe “trascendere” in mostri dotati di potenza e abilità inimmaginabili. È questo che si cerca di evitare e Briar e Lute lotteranno duramente contro questo potere sopito ma di fronte alla distruzione totale, bisogna fare a patti con i propri demoni.
Qui diventa fondamentale la Coesione, sempre presente e che aumenta in base a quanto siamo bravi in combattimento, aumentando la sinergia tra le protagoniste collaborando meglio tra loro. Una volta raggiunto il culmine, Briar può sfoderare la sua massima potenza, una sorta di Devil Trigger che però può essere personalizzato negli effetti in base ai poteri sbloccati in Lute. Le due sorelle, dunque, agiscono contemporaneamente ma Lute in forma di spettro e dotata di una propria IA che la rende quasi totalmente indipendente.
Lute infatti può attaccare, respingere e deflettere i colpi avversari e lo fa con maggiore efficacia con una Coesione più alta. In certe situazioni possiamo indicarle cosa fare, premendo l'apposito tasto nel momento esatto ma bisogna farlo per bene altrimenti distrarremo la sorella lasciandoci scoperti. Questo combat system in poche parole non ci fa concentrare solo su ciò che avviene attorno a Briar ma ci costringe a guardare tutto il campo di battaglia, visto che dovremmo indicare a Lute da dove stanno per arrivare i colpi avversari.
In poche parole, Lute è lo Stand di Briar se masticate un po' di Jojo, una facoltà intrinseca delle Chimere, rappresentazione dell'unione di due anime. Un'altra facoltà di Lute sta anche nel creare dei campi di interazione (uno blu e uno rosso) che ci permetteranno di interagire con alcuni elementi dell'ambiente necessari per risolve puzzle ambientali o semplicemente per esplorare le ambientazioni(il level design è lineare ma ha qualche segreto da svelare, anche se con qualche muro invisibile di troppo).
Soprattutto torneranno utili in combattimento, visto che molti nemici sono affrontabili solo all'interno di un determinato campo. Un po' come le armi demoniache e angeliche di DMC Devil May Cry di Ninja Theory, dovremmo intercambiare campo in base al nemico affrontato ma questo ha un prezzo. Lute, infatti, non può tenere il campo attivo a lungo e una volta abusatone, sparirà lasciandoci in balia dei nemici. Tutte le abilità di Lute possono essere potenziale, attivate e disattivate in base ai nostri gusti ma c'è una cosa che lei, e solo lei, è in grado di fare.
Riferendoci alle trasformazioni di Briar ci siamo riferiti al plurale: al massimo livello di Coesione, Briar può perdere il controllo, trasformandosi praticamente in Gatsu una volta indossata l'armatura del Berserk, andando in uno stato di furia incontrollabile e a cui possiamo solo assistere. Attraverso i nostri comandi, sarà Lute a mettere freno alla follia in cui versa Briar, pena il game over con la protagonista che diventerà una Trascesa, seminando distruzione nel mondo. Qui si pesca a piene mani in Berserk, con Lute in grado di tenere assieme la sanità mentale di Briar.
Il loro rapporto, dunque, è scandito da un equilibrio tattico, di gameplay, narrativo e funzionale al giocatore, visto che la loro interazione con numerosi dialoghi, anche in combattimento, svelano nuove strategie da adottare o suggerimenti. Di dialoghi Soulstice è pieno, anche nelle già accennate boss fight, fondamentali per caratterizzare i personaggi ma anche per creare un'atmosfera credibile e che invogli il giocatore a scoprire di più tramite l'apposito diario.
Il gameplay è dunque un’unione di tutte queste feature in cui si ha la sensazione che ogni scontro sia un altro pezzo di storia, un racconto a suon di lame che non ha nulla di cavalleresco ma che funzionano da perfetto collante nell'evoluzione delle vicende. Verso la fine forse se ne abusa un po', con gli sviluppatori che probabilmente si sono fatti prendere un po' la mano, ma in generale risulta un pacchetto omogeneo che aspetta solo di esplodere in un sequel che forse, è già previsto.
Soulstice, dunque, è una bella boccata d'aria fresca e la dimostrazione che in Italia è possibile creare qualcosa in grado di rivaleggiare con i veterani del settore. È vero, a tratti è derivativo e con ispirazioni davvero palesi ma, in mezzo a tutta questa luce riflessa, il titolo di Replay Game Studios brilla di luce propria, candidandosi come una delle migliori sorprese dell'anno.
Serve un po' d'olio di gomito per limare i difetti, soprattutto alla camera, ed espandere quanto di buono fatto. Il voto che vedete in realtà è anche qualcosina in più, segno che le aspettative ora sono molto alte.