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Spec Ops: The Line

Cuore di tenebra… nel deserto.

L’E3 è uno di quegli eventi per i quali uno che fa il mio mestiere vive tutto l’anno. Un po’ l’intramontabile fascino della California (lo tenessero a Rozzano, non sarebbe la stessa cosa), un po’ l’emozione dell’annuncio a sorpresa alle conference o nelle immancabili presentazioni a porte chiuse, un po’ l’inevitabile magnetismo esercitato della novità videoludica di turno, fatto sta che ogni giornalista di settore che si rispetti inizia a baloccarsi immaginandosi dentro al Convention Center di solito già a marzo, se non prima.

Poi, una volta che si è lì, spesso le prospettive cambiano: sia chiaro, quanto descritto poco sopra non viene mai a mancare ma spesso sopraggiunge il sonno per il fuso orario, lo stress da appuntamento mancato e l’incazzatura perché non si sa come, ma mai che si riescano a prendere due appuntamenti di fila nella stessa hall; senza dimenticare la fame da schedule straboccante di impegni, che si finisce per fissare gli incontri anche a pranzo e poi ci si riduce a saccheggiare i muffin o le brioche ripiene che passano a portata di mano, rafforzando il convincimento comune a tutta l’industry che i giornalisti siano dei morti di fame (“Ehi, vieni alla presentazione del mio gioco?”. “No”. “Ma guarda che poi ti diamo anche da mangiare, eh?”).

Automobili e guard rail serviranno come coperture fintanto che combatteremo in autostrada.

Potrei proseguire la lista delle piccole sfighe ancora a lungo, ma di fondo ce n’è una che forse è la più importante, ovvero la quantità immane di palta che si è costretti a sorbirsi. Perché sia chiaro, su dieci giochi che si vedono, uno solo se va bene è un capolavoro, tre o quattro sono meritori di un’anteprima, altri due o tre trascurabili e i restanti sono proprio brutti.

Questo lungo preambolo per dirvi che quando mi sono presentato a vedere Spec Ops: The Line, non è che fossi proprio ben disposto: l’appuntamento infatti era a ora di pranzo e avevo fame, ero appena arrivato di corsa dall’altra hall e, soprattutto, il titolo non mi ispirava molto. Né d’altronde 2K Games faceva molto per convincermi del contrario: l’esterno della saletta era tappezzato con una gigantografia anonima e la demo è partita con almeno 10 minuti di ritardo (ovviamente, l’appuntamento successivo era un’altra volta dall’altra parte della fiera). Poi però si sono spente le luci, gli sviluppatori hanno iniziato la dimostrazione, e tutto è cambiato…

Sabbia, grattacieli, auto di lusso e morti impiccati ai lampioni: ecco la Dubai immaginata da Yager.

Cosa sia cambiato, di preciso l’ho capito solo successivamente: i primi minuti hanno visto infatti il solito manipolo di marines scambiarsi le consuete battute in attesa dell’immancabile evento scriptato. Tutto come da prontuario dello shooter moderno in terza persona, eppure c’era qualcosa di diverso: che ci facevano delle enormi giraffe all’interno di quella che sembrava una pacchianissima hall di un albergo? E che era tutta quella sabbia qualche istante dopo?

Gli sviluppatori della tedesca Yager chiariscono subito il mistero: ci troviamo in una Dubai alternativa dove una colossale tempesta di sabbia di dimensioni bibliche ha devastato la maggior parte degli edifici, sepolto migliaia di macchine e lasciato dietro di sé una scia di morte e distruzione.

Come da cliché, i nostri eroi appartenenti alla solita squadra elite della Delta Force e capitanata dal Capitano Martin, si addentrano per la mappa di gioco alla ricerca del Colonnello John Conrad, da riportare a tutti i costi negli USA.

Björk intona una canzone sullo sfondo di una Dubai devastata dalla sabbia: questo gioco ha indubbiamente personalità...