Spellbreak - recensione
Un Battle Royal magico e divertente.
Fra tutti i possibili generi di videogiochi, sicuramente quello che ha raggiunto la saturazione è quello dei Battle Royale. Con CoD: Warzone, Apex Legends e l'inossidabile Fortnite a suonare la carica, titoli come PUBG, Rings of Elysium e il recente Hyperscape, seppur valide alternative, sono stati oscurati e messi in secondo piano rapidamente. Meccaniche di gioco ripetitive, con variazioni minime sul tema e un loop di gioco - Drop, Collect, Move, Engage - che rimane invariato da titolo a titolo di certo non lasciano spazio all'immaginazione. O almeno così pensavamo.
Spellbreak arriva sui nostri schermi dopo quasi due anni di gestazione, che ha visto il gioco evolversi da una pura simulazione della fisica del mondo a un piccolo gioiello di grafica e tecnica. Inizialmente il gioco sembra essere familiare a chiunque abbia approcciato il genere BR: dopo qualche secondo di caos in una lobby con gli altri 41 giocatori - e non 100, come i più blasonati membri della famiglia - dovremo scegliere il nostro punto di atterraggio fra i numerosi e sempre diversi punti caldi; niente aerei, bus o jet che sorvolano la mappa in percorsi predefiniti, ma una selezione più mirata, cercando di evitare aree sovraffollate.
Vestendo i panni di un Mago da Battaglia, le nostre armi non saranno fucili d'assalto e pistole, ma speciali guanti in grado di lanciare incantesimi elementali di sei diverse scuole: Veleno, Fuoco, Aria, Terra, Ghiaccio ed Elettricità. Una scelta, questa, che avviene prima di lanciare il nostro mago nella mischia, in quanto determina il set di skill passive iniziali e i nostri due attacchi primari. Inoltre, il guanto da battaglia associato a questa scuola non sarà rimpiazzabile per il resto della partita.
Una scelta che pertanto condiziona enormemente il nostro stile di gioco. Se da un lato questa sembra essere una limitazione, si capisce ben presto che non è così; durante i primi secondi frenetici, tipici di ogni BR, in cui cerchiamo disperatamente loot aggiuntivo, troviamo guanti delle altre scuole, che possiamo equipaggiare come arma secondaria; avere un guanto iniziale con cui difenderci aiuta non poco la lotta per la prima sopravvivenza. Insomma, non più pugni o padelle, una sana palla di fuoco di certo fa la differenza!
Ed è qui che il gioco rivela la sua unica natura e originalità. Gli attacchi delle diverse energie elementali possono generare combo che - permetteteci il paragone estremo - ricordano molto gli incantesimi della saga RPG Divinity Original Sin.
Un muro di fuoco, se colpito con un attacco di Veleno, diventa un muro di veleno, con modifiche al danno ed effetti aggiuntivi. Un tornado d'aria, che attira verso il centro i giocatori circostanti, se colpito da una palla di fuoco, diventa un tornado infuocato che risucchia e fa danno allo stesso tempo. Usare gli incantesimi in maniera creativa aggiunge un livello di complessità da non sottovalutare, e spesso la ricerca della combo perfetta costituisce la differenza fra sopravvivenza o eliminazione.
I combattimenti diventano frenetici, eccitanti e all'ultimo incantesimo: si ha davvero l'impressione di essere in un campo di battaglia fantasy, con esplosioni, meteore scagliate da grande distanza, frecce di ghiaccio di novelli cecchini e fulmini lanciati con la velocità tipica di un fucile d'assalto. Puro ed esilarante caos.
Spellbreak non è un semplice BR, ma un connubio di diversi stili di gioco e meccaniche; certo il concetto molto Highlander di "Ne resterà soltanto uno" rappresenta il cuore del titolo, ma non possiamo ignorare le meccaniche MOBA, con skill passive che vanno a potenziare la nostra arma principale ogni volta che raggiungiamo il cerchio successivo, ed inoltre una visuale in terza persona che unita ai combattimenti frenetici ricorda molto da vicino Smite, il MOBA dedicato agli Dei di Hi-Rez.
Spellbreak prende inoltre ispirazione (o forse dovremmo dire il contrario) dal recente Hyperscape di casa Ubisoft in almeno due aspetti: verticalità e skill aggiuntive. Ogni giocatore può levitare per una breve durata rendendo ogni scontro complesso nelle sei direzioni possibili; la levitazione consuma però mana, la risorsa principale per lanciare i nostri incantesimi. Evitare una palla di fuoco salendo in cielo potrebbe quindi costare caro, impedendo un contrattacco per mancanza di mana, specialmente frustrante quando il nostro avversario rimane con pochissimi punti vita.
Per quanto riguarda le skill aggiuntive, raccolte dai vari forzieri sparsi per la mappa, aggiungono un ulteriore livello di gameplay: invisibilità, volo, schivate fulminee per citarne alcune diventano pezzi chiave della nostra build e spesso potenziano le nostre armi primarie, creando pertanto combinazioni vincenti.
Graficamente Spellbreak è assai piacevole, con un cel-shading che ricorda molto quello usato per Breath of the Wild. Ogni incantesimo ha il suo stile ben definito con effetti molto cartoon e spettacolari. La mappa presenta aree con ambientazioni diverse che vanno dal villaggio nomade in mezzo al deserto, a boschi dalle tinte autunnali, a paesaggi collinari costellati da rovine di castelli di un tempo che fu.
Per quanto riguarda il modello di business, siamo nel territorio Fortnite, con skin e vari upgrade cosmetici in linea con i prezzi del gioco di Epic. Non esiste al momento un season pass e le varie modalità di gioco non sono ancora tutte presenti (al momento della recensione, abbiamo solitario e squadra da tre), ma tutto fa pensare che quando il gioco sarà ufficialmente completo, vedremo apparire stagioni e skin o pacchetti a tema, visto anche il successo sulle varie piattaforme streaming, con picchi di visualizzazioni elevati e streamer di grosso calibro gettarsi nella mischia lanciando incantesimi.
Spellbreak è la prova che si può ancora innovare in un genere di gioco che ha raggiunto la saturazione. Pensare fuori dal coro sembra essere la chiave del successo per evitare di essere dimenticati e finire nel mucchio dei "cloni falliti".