Spiderhead Recensione, pillola rossa e pillola blu
Acconsento, acconsento, acconsento.
Quando qualcuno sembra non vedere la realtà, si usa dire che ha le fette di prosciutto sugli occhi.
Nel suo fantascientifico laboratorio, qualcosa del genere in effetti progetta il fascinoso Dottor Abnesti (Chris Hemsworth nel suo primo ruolo non positivo), mettendo a punto sofisticatissime sostanze che, iniettate al momento giusto, modificano in un attimo l’umore, la percezione, il carattere del soggetto interessato. La vie en rose, en noir.
Nel caso narrato nel film Spiderhead, i soggetti sono interessati in quanto prigionieri condannati a varie e gravi pene, che hanno volontariamente deciso di sottoporsi alla sperimentazione. A questo scopo sono stati trasportati in una splendida isola dove sorge l’avveniristico laboratorio in cui avviene la magia.
Una sostanza iniettata da remoto in un attimo rende propensi all’ilarità anche senza alcun motivo, fa diventare loquaci e verbosi soggetti laconici, riempie di terrore verso oggetti o situazioni innocue, spinge ad appassionati rapporti sessuali in mancanza di reale attrazione, provoca selvaggi attacchi di aggressività senza nessuna provocazione, in assenza di un avversario.
I detenuti-cavie hanno installato un apparecchietto sulla schiena: ogni volta che avviene la sperimentazione, viene richiesto il loro consenso e poi la sostanza è iniettata, per studiarne gli effetti. Anche il Dottore se n’è applicato uno, perché correttamente sperimenta anche su se stesso. La differenza è che è lui a decidere.
Siamo proprio solo chimica, siamo così in balia di ormoni, depressivi, euforizzanti da non essere in grado di decidere razionalmente? Del resto i prigionieri hanno dimostrato con le loro azioni che la ragione non li ha guidati come avrebbe dovuto. Tutto come sempre sembra mirato a rendere il mondo a better place, mai per ambizione o interesse. Il fine è sempre il controllo, il condizionamento, ma ottenuto con il sorriso, il convincimento, l’assenso. Sembrerebbe il paradiso, tutti obbedienti a ordini virtuosi, ma in balia di chi ha in mano il telecomando della nostra chimica.
Jeff (Miles Teller) è lì per scontare la sua pena in seguito a una di quelle imprudenze che possono costare un prezzo carissimo. Per Abnesti è il paziente ideale, un ragazzo civile nonostante tutto, collaborativo e ragionevole, capace di scrupoli morali, che coinvolge negli esperimenti anche tenendolo vicino a sé dalla parte del vetro in cui sta lo scienziato. Jeff prova simpatia per un’altra detenuta, Lizzy, e per questa simpatia non vorrebbe che la ragazza subisse le conseguenze di alcune delle somministrazioni. Ma il suo scrupolo si estende anche nei confronti di altri detenuti meno amabili, a differenza di quando hanno fatto gli studenti coinvolti nel famoso Esperimento Milgram.
Poco alla volta la figura dell’amabile dottore, così solare, aperto (ascolta pure bellissime hit degli anni ‘70/’80), così sincero con le sue cavie umane, gli appare meno credibile, mentre la loro squilibrata amicizia lascia passare dettagli dei rispettivi passati. Una catena di eventi cruenti gli aprirà definitivamente gli occhi sulla natura di tutto l’esperimento.
Ci preoccupiamo tanto del nostro libero arbitrio, guai chi ce lo tocca, e poi che ne facciamo? Pensiamo di essere noi a decidere, mentre acconsentiamo a multeplici livelli e spostiamo l’asticella della sopportazione ogni volta un po’ più in alto. Ci facciamo del male e ne facciamo agli altri: se fossimo controllati da un Grande Saggio non sarebbe meglio? Fin qui, siamo alle riflessioni che suscita la visione del film, che è tratto dal racconto Escape from Spiderhead di George Saunders, diretto da Joseph Kosinski, il cui Top Gun: Maverick sta facendo strage ai botteghini.
Peccato che tutte queste premesse intriganti anche se non originalissime, sulle quali lo spettatore stava già speculando, vengano sprecate in un finale improvvisamente farsesco, mentre il tema poteva avere ben altri sviluppi, ridicolizzando il personaggio dello “scienziato pazzo” e virando verso uno stile action che non c’entra nulla con la parte precedente. Il film si chiude pure su un frasettina moralistica di maniera, pronunciata con tono pensoso.
Peccato perché Chris Hemsworth è credibile nel ruolo, con il suo bel sorriso aperto e sincero a illuminare gli occhi azzurri dietro le lenti di professionali occhiali. Miles Teller è un attore che promette bene da anni ma non ha ancora trovato il ruolo per emergere. L’oggetto del suo interesse sentimentale è Jurnee Smollett, vista in molte serie tv, fra cui Undergound, The Lovecraft Country, True Blood.
Non abbiamo letto il racconto da cui il film è tratto e va detto che Saunders è uno scrittore che ama i toni tragicomici (suo è Il declino delle guerre civili americane, i cui diritti erano stati acquistati da Ben Stiller), ma pensiamo che nel racconto la virata verso uno humor che il web definisce “dark” fosse meglio articolata. Ma evidentemente non si voleva fare una cosa seria. A fine visione riflettevamo che in fondo nella vita si tratta sempre e solo di decidere che pillola buttare giù, che sia blu o rossa, tanto sappiamo che basta un poco di zucchero... Qui, per molti spettatori/spettatrici, quello zucchero sarà il simpatico Chris/Thor.
Si fosse voluto fare un film sulla cultura dell’assenso, sul condizionamento cui siamo sottoposti dai mass media e via enumerando i temi trattati in genere da Saunders, si sarebbe dovuto inserire il cambio di tono meno bruscamente. Sospettiamo l’influsso dei due sceneggiatori Rhett Reese e Paul Wernick, responsabili di film dal tono ben diverso, come i due Deadpool e i due Zombieland.
Spiderhead è quindi un’occasione mancata che porta acqua al mulino di quanti continuano a lamentare la qualità dei film prodotti dal “colosso dello streaming”, che in effetti nella bulimia del suo catalogo affastella prodotti tanto numerosi da far perdere di vista quelli davvero interessanti, che non sono affatto pochi.