S.T.A.L.K.E.R. Call of Pripyat
Dove osano gli Stalker.
Chernobyl, Ucraina, 1986. Alle ore 1:23 del 26 aprile il reattore numero 4 della centrale nucleare Lenin esplode, causando la dispersione nell’atmosfera di ingenti quantità di materiali radioattivi. In pochi istanti il nome Chernobyl diventa sinonimo di catastrofe, monito per una civiltà attratta dal nucleare e cicatrice insanabile nell’animo di chi ha visto improvvisamente diventare ostili i luoghi della propria infanzia.
E allora non è un caso se è stata proprio una software house ucraina, GSC Games World, ad aver dato vita a uno degli universi distopici più affascinanti in ambito digitale, un universo virtuale che verte intorno al concetto di ‘unheimlich’, quel perturbante che attrae e repelle in egual misura.
La serie S.T.A.L.K.E.R. fa leva sul concetto di ostilità e in un genere sovraffollato come quello degli FPS, dove la tendenza è semplificare l’interazione, sceglie una strada differente e lo fa riducendo al minimo i compromessi, proponendo una serie ambiziosa e sotto diversi aspetti sofisticata; una serie che combina un’intelaiatura da FPS improntato al realismo con qualche elemento ruolistico e che integra sequenze scriptate in un contesto open world; una serie soprattutto che riesce a immergere il giocatore in una costante, palpabile atmosfera di tensione.
Come i due predecessori, il capostipite Shadow of Chernobyl e il prequel Clear Sky, Call of Pripyat è probabilmente destinato a essere amato solo da una parte degli appassionati di FPS. La Zona, un’area di 30Km quadrati delimitata dalle autorità ucraine a seguito dell’incidente, è la vera protagonista del gioco.
Il retaggio di quella realtà storica sembra essere filtrato in una produzione che riesce allo stesso tempo ad attrarre a sé e a tenere lontani i giocatori. In realtà, rispetto ai precedenti episodi, questo sequel di Shadow of Chernobyl risulta meno impegnativo. Una buona notizia per chi, fino a questo momento, ha rinunciato ad avventurarsi nella serie a causa di un livello di difficoltà sensibilmente più elevato rispetto alla media degli FPS in circolazione.
In Stalker: Call of Pripyat è infatti fondamentale studiare ogni spostamento perché potete ritrovarvi nel bel mezzo di un’anomalia; dovete riporre le armi prima di parlare con gli NPC onde evitare di inimicarvi qualche gruppo di Stalker; è necessario calibrare la mira tenendo conto dei movimenti del bersaglio; dovete centellinare cibo, medicinali e munizioni perché nella Zona tutto ha un prezzo e per racimolare denaro si deve rischiare la vita in mezzo alle radiazioni.
Per chi si avventura per la prima volta nella Zona, poi, l’impatto è alienante. Nei panni dell’agente Degtyarev, inviato nell’area circostante Pripyat alla ricerca della causa del fallimento dell’operazione Fairway, vi ritrovate brutalmente immersi in una realtà inquietante con un’interfaccia che, sebbene più intuitiva rispetto ai precedenti episodi, rimane comunque più elaborata rispetto alla media del genere.