Stray, la Recensione
BlueTwelve Studio e Annapurna Interactive ci presentano il più improbabile degli eroi.
Il publisher indipendente statunitense Annapurna Interactive ci ha abituati, nel corso degli ultimi cinque anni, ad una notevole varietà in termini di prodotti portati alla luce sulle più disparate piattaforme. Per fare qualche esempio, siamo andati dallo splendido e rilassante Journey di Jenova Chen su PS3, all'elettrizzante Solar Ash di Heart Machine passando, ovviamente, per l'acclamatissimo Outer Wilds di Mobius Digital o anche per il più recente Neon White che ha saputo raccogliere entusiasmo unanime da critica e pubblico.
Insomma, per utilizzare una banale metafora calcistica, potremmo accostare Annapurna alla figura di un brillante talent scout dell'industria capace di presentare al mondo un nuovo centravanti da trenta goal a stagione ogni anno; una sorta di Re Mida del mondo videoludico, capace di trasformare in oro anche le idee più semplici, libero dalle catene imposte dai ritmi convulsi del mercato moderno.
Ed è un po' quello che è successo anche con BlueTwelve Studio, neonato sviluppatore transalpino fondato da ex-dipendenti di Ubisoft che subito si sono messi al lavoro sul loro primo progetto sotto l'egida di questo eclettico publisher americano. Quello che in principio era noto come HK_Project e che poi ha preso la forma dell'attesissimo Stray, è un platformer in 3D che immerge il giocatore in un affascinante mondo futuristico/post-apocalittico a tinte cyberpunk, peculiare sia per lo stile artistico adottato nella costruzione di edifici, vicoli e abitanti dei vari conglomerati urbani che è possibile visitare sia, chiaramente, per via del protagonista attorno a cui si sviluppa la vicenda: un gatto.
E no, non si tratta di un animale antropomorfo in stile Ratchet dalla celebre serie Ratchet & Clank di Insomniac, men che meno di un felino capace di articolare pensieri compiuti come farebbe un qualunque personaggio delle avventure videoludiche più blasonate: è un gatto randagio, esattamente come quelli che è possibile trovare negli angoli delle metropoli moderne, molto spesso intenti a condurre una vita votata unicamente alla sopravvivenza.
Non ha nemmeno un nome, il nostro alter ego peloso: all'inizio di questa storia lo troviamo assieme alla sua colonia felina all'interno di un canale di scolo durante una tempesta battente, impegnato in un'esistenza fatta di ozio, scambi di effusioni con i suoi compagni di branco e pochi altri pensieri.
Ma siccome, come diceva qualcuno, non può piovere per sempre, il giorno dopo il sole splende in cielo e la colonia decide di muoversi in gruppo per procacciarsi il cibo. Ed è qui che ci si rende conto, per la prima volta, che qualcosa non va. Dove sono tutti? Cos'è questo silenzio assordante che pervade l'atmosfera? Perché abbiamo la sensazione che qualcosa di orribile sia accaduto tra le alte mura di questa città?
La scelta di rendere protagonista un essere completamente avulso da logiche di questo tipo si è rivelata particolarmente brillante: mentre il gatto si addentra nella cittadella con il solo scopo di trovare sostentamento, l'utente che guarda dall'esterno è spinto a farsi mille domande su ciò che può trovarsi dietro ogni angolo, dietro ogni scritta sui muri (che ovviamente non possiamo interpretare, in quanto felini), dietro ogni suono in lontananza.
È evidente fin dal principio che sia successo qualcosa di molto grave ma per scoprire la verità sarà necessario analizzare attentamente l'ambiente circostante essendo il protagonista sprovvisto di qualsiasi morale o pensiero critico che possa filtrare l'osservazione del giocatore. Un'intuizione davvero niente male da parte di BlueTwelve.
Anche la struttura ludica deve adattarsi, per forza di cose alla natura del personaggio principale: il gatto non ha la possibilità di conversare con gli NPC, non può aprire porte o interagire in modi complessi con il mondo circostante. Può graffiare le porte, rovesciare gli oggetti posti in luoghi soprelevati o camminare sulle tastiere dei computer compiendo disastri di vario genere (sì, è evidente che chi ha sviluppato il gioco condivida le proprie giornate con dei gatti e conosca molto bene le loro abitudini, ndR).
La spiccata agilità del felino, tuttavia, gli consente di esplorare in modo piuttosto approfondito gli ambienti di gioco potendo contare sulla possibilità di arrampicarsi praticamente dappertutto o intrufolarsi anche nelle strettoie più anguste, facendo valere le caratteristiche tipiche di questi meravigliosi animali.
Tutto questo, almeno, finché non vi imbatterete in B12, un drone da compagnia dal passato misterioso che aprirà la strada a un ventaglio di nuove possibilità sia in ottica narrativa, dal momento che grazie ad un modulo di traduzione potrà interpretare il linguaggio dei vari NPC e fare luce su alcuni aspetti della trama, sia sotto il profilo del gameplay. Il robot, infatti, può hackerare porte, utilizzare la torcia per illuminare gli ambienti più bui e anche raccogliere oggetti per risolvere semplici enigmi ambientali. Anche se, con ogni probabilità, il termine 'semplici' vi suonerà come un eufemismo, dopo aver giocato Stray.
Per quanto il level design risulti sempre piuttosto piacevole e ben strutturato, con un ottimo sviluppo verticale che avrebbe potuto essere sfruttato in modo parecchio intelligente, purtroppo gli sviluppatori francesi di BlueTwelve non hanno infuso lo stesso impegno anche nella creazione di enigmi che possano mettere anche solo un minimo alla prova il giocatore: è facile rendersi conto che nove volte su dieci la soluzione si trova a una manciata di metri dal rompicapo, diluendo di molto la sensazione di trovarsi al cospetto di un reale ostacolo da superare aguzzando l'ingegno.
In effetti, vuoi per la spiccata linearità dell'esperienza, vuoi per la natura intrinseca del protagonista, l'opera prima del team francese non offre una varietà di situazioni encomiabile, anzi, ben presto ci si rende conto che, almeno per quanto riguarda il gameplay, si tratta di un'esperienza ridotta ai minimi termini.
Intendiamoci, tutto ciò che fa lo fa abbastanza bene, tutto funziona esattamente come dovrebbe, ma al netto di esplorare la città in lungo e in largo, magari alla ricerca di alcuni collezionabili o di qualche simpatico compito accessorio, la formula ludica di Stray si riduce a poche, basilari attività che si ripetono uguali a sé stesse per l'intera durata dell'avventura.
Se poi consideriamo la longevità alquanto ridotta (sebbene gli sviluppatori indicassero circa 8 ore di tempo per giungere ai titoli di coda, a noi ne sono bastate la metà), è facile capire che siamo rimasti leggermente interdetti, una volta conclusa la campagna.
Fortunatamente il lavoro svolto dal team artistico è capace di risollevare almeno in parte la situazione. La città protagonista di Stray è quanto di più affascinante abbiamo potuto vedere in tempi recenti, anche se raffrontata, ad esempio, con la Night City di Cyberpunk 2077, tanto per restare in tema. Nonostante il budget per la produzione di questi due titoli sia profondamente differente, il talentuoso studio transalpino è riuscito a tratteggiare un agglomerato urbano dalle atmosfere cupe e opprimenti quanto, allo stesso tempo, assolutamente magnetiche, complice anche un sistema di illuminazione globale davvero mozzafiato.
Vedere il nostro adorabile micino muoversi tra fumosi vicoli o districarsi tra le insegne al neon che tappezzano le pareti mentre sotto di lui la giornata continua come se nulla fosse è davvero una gioia per gli occhi e per l'anima, ve lo possiamo garantire. A questo va aggiunta la trama che, al netto di qualche punto che rimane fin troppo oscuro anche dopo aver dissolto il mistero, risulta abbastanza godibile grazie anche all'accenno di alcune tematiche importanti che non ci saremmo aspettati di trovare in un prodotto di questo tipo.
Buoni anche i modelli poligonali del protagonista e di tutti i comprimari, realizzati e animati in modo sufficientemente fedele e realistico da contribuire a rendere credibile questa metropoli futuristica dal cuore meccanico. Menzione d'onore anche per la colonna sonora, composta da orecchiabili brani chiptune e synthwave curati dall'artista francese Yann Van Der Cruyssen che si sposano alla perfezione con l'incedere del racconto.
In definitiva, Stray è un'opera accorata, appassionata, affascinante ma, purtroppo, inficiata da un'eccessiva semplificazione in termini di meccaniche e da una durata fin troppo esigua. D'altra parte, non ci sono parole sufficienti da esprimere quanto sia importante l'esistenza di esperimenti di questo tipo in un'industria mai così tanto asservita a logiche di mercato votate alla condivisione spasmodica dell'esperienza videoludica.
Stray è un viaggio single player puro dai ritmi distesi che può essere affrontato con tutta la calma del mondo anche solo per godersi la straordinaria bellezza delle atmosfere che permeano la città futuristica che fa da sfondo alle avventure del nostro peloso alter-ego virtuale.
Visto il prezzo a cui viene proposto e vista anche la sua inclusione nel tier Extra del nuovo programma Plus di PlayStation, è difficile non consigliarvi di dargli una possibilità, se non altro per riscoprire quanto possa essere bello, di tanto in tanto, concedersi del tempo lontano da loot box, pass battaglia e competizioni di vario genere.