Summer Game Fest 2022: se questo è il futuro dei videogiochi...
C'è qualcosa che non va.
Questo non sarà il solito articolo plastificato nel quale si ricordano le luci accecanti dei teatri di Los Angeles, i concerti in diretta, gli hamburger divorati nel cuore di Downtown, le folle in delirio di fronte agli attori di Hollywood. Non sarà un “si stava meglio quando si stava peggio” lungo il quale rivangare la storia dell'E3 e paragonare la kermesse più patinata dell'industry al soporifero show andato in onda oltre il sorriso del sempre professionale Geoff Keighley. Quindi tanto vale esaurire subito la cifra nostalgica.
Nella scena finale della serie Romanzo Criminale, “Er Bufalo” torna nel bar da Franco e immagina di vedere tutti i suoi amici ormai scomparsi. Ecco, durante la Summer Game Fest Opening Night, mentre fissavo un freddo schermo sulla sedia del mio studio, per un istante ho immaginato di scorgere la “one last thing” in fondo alla conferenza Ubisoft che mi dava una pacca sulla spalla, Miyamoto che saltava sul palco vestito da Link e mi sorrideva, addirittura Electronic Arts con il suo evento sempre uguale a sé stesso che mi faceva un cenno con la mano, e ad un certo punto ero così ebbro di trailer da rimpiangere persino i discorsi corporativi della Xbox di Don Mattrick. Ma, per l'appunto, è stato solo un istante.
Subito dopo, infatti, mi sono reso conto del fatto che tutti gli appassionati e gli addetti ai lavori si sono piazzati immobili per due ore di fronte a un monitor che ha trasmesso una lunga, lunghissima pausa pubblicitaria. Ma non una di quelle del Superbowl, una di quelle che riescono a intrattenerti, no: una televendita nello stile de La Ruota della Fortuna, una kermesse nella quale spazi e minutaggi vengono acquistati dal miglior offerente, e al Mike Bongiorno di turno non interessa niente se Antonella Elia non vuole indossare la pelliccia dello sponsor.
Poi però mi sono ricordato che Geoff Keighley di eventi ne capisce abbastanza, e può capitare a chiunque di sbagliare la ritmica di una manifestazione. Ed è stato solo allora che mi sono preoccupato sul serio. Possibile che non ci fosse quasi nulla di scoppiettante da portare sopra quel palco? Possibile che l'appiattimento creativo stia portando all'emersione di così tanti grandi videogiochi indistinguibili l'uno dall'altro? Possibile che il medium delle idee stia seriamente accantonando le idee? Possibile che ci troviamo all'alba di un nuovo 1983, con la sola differenza che le cartucce seppellite nel deserto del Nevada un domani saranno titoli abbandonati e dimenticati in fondo ai cataloghi di Steam?
Quest'ultima è ovviamente un'iperbole, ed è evidente che durante la nottata di apertura del “futuro dei videogiochi” ci sia stato anche qualche sprazzo di fantasia. Del resto, è bastata la sola diretta di Devolver Digital, come un sorso di caffè bollente la mattina, a risvegliarmi tutto d'un tratto. Ma nonostante la botta d'adrenalina garantita da un gioiello come The Plucky Squire, ci sono delle domande che ancora non riesco a schiodarmi dalla testa.
Cosa diavolo sta succedendo? Perché mi pare di vedere dei videogiochi tripla A che sembrano antesignani di opere uscite anni fa? Come mai Gotham Knights mi sembra più vecchio di Batman Arkham Knight? Perché la “one last thing” è il remake di un titolo “vecchio” di nove anni? Com'è possibile che chi ha stilato la scaletta non si sia accorto di aver presentato così tanti horror sci-fi uno dietro l'altro?
Anche se molti di questi quesiti rimarranno senza risposta, una cosa sono convinto di averla capita: i grandi publisher hanno paura, e probabilmente fanno bene ad averne. Era evidente che il caso Cyberpunk 2077 avrebbe avuto ripercussioni sul modo in cui vengono comunicati i videogiochi, ma sarebbe stato molto difficile prevedere una situazione di questo tipo.
Tutti restano fermi, si espongono il meno possibile, sono consapevoli delle problematiche che possono emergere da tempi di sviluppo tanto dilatati, sanno che un singolo rinvio può far esplodere una community, hanno capito che la macchina dell'hype è un marchingegno instabile e pericoloso, ed è per questo motivo che Keighley non ha potuto organizzare l'evento che avrebbe desiderato. O forse non sono queste le ragioni, il che sarebbe ancor più preoccupante.
Il fallimento della Summer Game Fest di quest'anno, perché di fallimento si tratta, si nasconde in Charlie e la Fabbrica di Cioccolato. Quando Charlie va a visitare la Fabbrica di Cioccolato, nonostante il tour non sia altro che una gigantesca manifestazione pubblicitaria, è Willy Wonka in persona, colui che la fabbrica l'ha costruita con amore, a guidarlo in giro per i corridoi.
Questa è la famosa magia che un tempo si celava dietro le conferenze dei platform-owner, quando Phil Spencer doveva convincerti che Xbox era il top, quando Kazuo Hirai doveva ricordare al mondo che PlayStation sapeva far gridare una platea intera. Comprimere il medium in un evento di questo genere, di contro, finisce per ridurre una grande fabbrica di sogni alla formula del concorso di bellezza.
“Ecco qui, c'è un nuovo horror sci-fi, guardatelo bene, mettetelo nella wishlist”. “Osservate che bello questo nuovo FPS, è stato fatto con passione, preordinatelo”. E via, passiamo oltre, al prossimo capo. Il problema non risiede solo nel fatto che all'arrivo del prossimo capo ti sei già dimenticato del precedente, ma soprattutto nel fatto che l'orizzonte alla fine resta inesorabilmente vuoto.
Noi videogiocatori navighiamo ancorati all'orizzonte, è così che ci hanno cresciuti e ammaestrati. Non possiamo fare a meno di pensare alla “next big thing”, al grande videogioco che attendiamo ormai da anni – in certi casi da decenni – a quella luce in fondo al tunnel che ci tirerà fuori dalle profondità dei backlog più sconfinati. Ecco, per molti appassionati quella luce in questo momento non è stata ancora accesa. E probabilmente una “conferenza” non può sperare di funzionare nel suo insieme se non piazza una piccola pentola d'oro alla fine dell'arcobaleno.
Ci sarebbero tantissime altre cose da dire, la maggior parte delle quali legate al fatto che la Summer Game Fest ha scattato una fotografia di un medium che sembra andare all'indietro anziché tentare di procedere. Un'istantanea che parla della continua riesumazione del passato a causa della paura e dell'incertezza che avvolgono il futuro, una polaroid che racconta di quanto il marketing e la profittabilità abbiano scavato nella mente dei creatori.
Ma forse alla fine conviene concentrarsi sul fatto che la Summer Game Fest Opening Night del 2022 sia stata solo una brutta conferenza. Sì, in fondo dev'essere così: un evento sfortunato che si è coniugato malamente con i cicli di sviluppo e che è stato penalizzato dalla ritmica e dalla confusione della sua scaletta. Sì, è senz'altro così: l'anno prossimo tornerà il vero E3 e si sistemerà tutto.