Super Meat Boy
Pronti per la versione sadica di Mario Bros?
”Super Meat Boy è un difficilissimo platform che vi metterà nei panni di un cubetto di carne animata impegnato a salvare la sua ragazza (una creaturina composta al 95% di cerotti) dalle grinfie di un malvagio feto sotto vetro con indosso un frac. Il solito videogame come tanti altri, insomma”.
Così viene descritta questa delirante follia indie dai suoi due stessi creatori (Edmund McMillen e Tommy Refenes) nel fenomenale fumetto distribuito all'E3 a chiunque dimostrasse il fegato di voler sfidare i diabolici piani del Dr Fetus mettendosi alla prova con uno dei videogame più intrinsecamente bastardi (ma anche più spassosi!) degli ultimi anni.
L'originale Meat Boy è nato nel 2008 su Newgrounds, autentica fucina di idee e di talenti (non a caso il fondatore del sito è uno dei proprietari dei The Behemoth, le brillanti menti dietro ad Alien Hominid e Castle Crashers). Il successo delle strampalate avventure masochiste del piccolo brandello di carne è stato a dir poco immediato: 4 milioni di partite in un mese, 400 milioni di Meat Boy martirizzati entro poche settimane... fino a diventare un piccolo grande cult, capace di attirare l'attenzione di Nintendo prima e di Microsoft poi.
Avendo recentemente provato con mano Super Meat Boy (la versione ampliata, riveduta e corretta del gioco, un progetto completamente inedito rispetto al quale l'originale in flash risulta appena più di un prototipo), i sensazionali numeri di questo autentico trionfo non riescono comunque a stupirmi a più di tanto: non che il traguardo non sia di per sé impressionante, ci mancherebbe, ma la qualità della proposta mi è parsa tale da meritarsi consensi pressoché universali.
Il mio primo incontro con Super Meat Boy è stato praticamente casuale: stavo dilettandomi presso lo stand Microsoft con la demo di Vanquish, quando tra un'esplosione e l'altra sono stato distratto dagli schiamazzi di una piccola folla assemblatasi rapidamente poco distante da me. Buttando un'occhiata da lontano mi sono accorto di un dettaglio bizzarramente singolare: le persone non erano ordinatamente in coda ad aspettare il proprio turno (come accade per qualsiasi altro titolo), ma si erano radunate in maniera caotica attorno al giocatore, ipnotizzate da quanto visto a schermo. E quelli non erano schiamazzi e urletti scomposti, no: quella era una sana, spontanea dimostrazione di vero e proprio tifo.
Terminata la demo mi sono istintivamente avvicinato al gruppetto: senza accorgermene qualche minuto dopo stavo incitando anche io un tizio che non conoscevo, impegnato a destreggiarsi con un videogame che avevo a malapena sentito nominare prima di quel momento.