Sword Art Online Fatal Bullet - recensione
Quando l'uomo con la spada incontra l'uomo con il fucile…
I fan di vecchia data di Sword Art Online ci metteranno poco ad abituarsi al clima che si respira nel nuovo capitolo videoludico di una ricca serie, che comprende gli originali romanzi, anime, manga, OAV e mille altre declinazioni. Gli altri invece si ritroveranno decisamente spaesati mettendo le mani su Fatal Bullet, che arriva su PlayStation 4, Xbox One e PC sviluppato per Bandai Namco dai DIMPS, che di cel-shading e anime se ne intendono eccome.
Entrare per la prima volta nel gioco di Sword Art vuol dire giungere in un universo parallelo in realtà virtuale, dove si gioca un VRMMO insieme a player di tutto il mondo. Questa vita parallela è fatta di scontri PvE e PvP a colpi di armi futuristiche e, nella variante giocata in Fatal Bullet, chiamata Gun Gale Online, soprattutto con armi da fuoco grazie alle quali ripulire i dungeon che riproducono il futuro post apocalittico di Sword Art.
Non è un concetto del tutto nuovo, anzi, fa parte di un filone nato intorno agli anni 2000 quando gli MMO esplodevano come genere di riferimento e, tra l'altro, abbiamo visto tanti altri titoli ambientare la loro storia in un "gioco nel gioco", col continuo intersecarsi delle vite reali con quelle virtuali, con una sfera ulteriore che comprende la nostra stessa di giocatori che interagiamo con gli altri.
Saremo chiamati a creare un personaggio nuovo, da zero, per affrontare l'avventura che ci vedrà comunque protagonisti insieme ai volti noti della saga, l'eroico Kirito su tutti, e a quelli che per la prima volta fanno il loro ingresso nel gioco. Diventeremo il fulcro della storia grazie all'incontro fortuito con AfaSys, una IA di nuova generazione che tutti ci invidieranno, e che ci farà da guida e compagno di battaglia durante il gioco. Di roba da imparare e fare in Fatal Bullet ce n'è infatti tanta, e ci vorranno un po' di ore per entrare nel vivo degli eventi, dopo un tutorial lunghissimo e noioso fatto di dialoghi banali e facili scontri iniziali.
Uno dei problemi principali di Sword Art Online che viene subito a galla è il comparto tecnico, non all'avanguardia e anzi limitato sia nel cel shading che nella complessità di livelli, dungeon o semplicemente degli hub dove armarsi e partire. Se i modelli dei protagonisti del gioco sono tutto sommato sufficienti e abbastanza ricchi di colori, gli stage e i nemici sono decisamente piatti, in tutti i sensi, con pochi poligoni, una complessità elementare e molto poco carattere.
La base di partenza ad esempio, è fatta di un paio di corridoi dove correre di qua e di là per incontrare persone o comprare armi. Non si capisce perché molti shop vengano ripetuti nella lobby, visto che sono accessibili tramite l'interfaccia utente nei menù, o perchè ci sia bisogno di spostarsi verso alcuni punti precisi quando siamo capaci di teletrasportarci. Con una visione più ampia si deduce che il vero problema stia nella natura stessa di Sword Art, quella di JRPG troppo legato a sistemi ormai datati, seppur consolidati.
Lo si vede da ogni lato da cui lo si guarda, come le interazioni e i dialoghi con gli NPC, la gestione degli inventari, il ritmo generale e addirittura le ambigue fattezze fisiche dei giocatori di Gun Gale Online. Tutto sprizza Giappone da ogni poro ma non nel modo migliore. I dialoghi diventano inutili e noiosi per il novanta per cento del titolo, perdendosi tra le tipiche esagerazioni emotive nipponiche, e il servilismo della nostra compagna di gioco AfaSys Rei quasi innervosisce per quanto ostentato.
Nel pratico il discorso non cambia, e fa storcere il naso perché riteniamo sia stato sprecato un combat system ricco di soluzioni per via di un level design alquanto banale. Soprattutto per la prima quindicina di ore, tutti i livelli sono eccessivamente ripetitivi, con percorsi lineari e spawn dei nemici che non variano di un millimetro, così come l'IA generale che muove compagni e avversari, incapace di essere pericolosa e di fare la scelta giusta a seconda degli eventi che ha attorno.
Un peccato perché l'ottenere nuove armi, potenziarle e diventare un carro armato che cammina è uno degli aspetti più divertenti del gioco. Dopo un po' di dungeon ripuliti e con una taglia giocatore aumentata, è chiaro che è questo il vero obiettivo di gioco: fare grinding fino all'ultimo punto esperienza per sbloccare nuove armi sempre più rare e ripetersi ancora. Tutto però è reso monotono da scenari sempre uguali.
Un'ultima considerazione va fatta per il sistema di controllo, che prova ad essere originale ma che si perde in più di un'occasione. Propone diversi metodi di puntamento per le armi, di cui però ne conviene solo uno, il più assistito, e il più adatto al ritmo spesso frenetico con cui ci si muove sul campo di battaglia, che penalizza di conseguenza la macchinosità di alcuni movimenti come il crouch dietro gli ostacoli.
Durante praticamente tutto il gioco non vi siamo mai ricorsi, preferendo invece la corsa e il fuoco continuo. Per questo alcune classi di armi vengono rese automaticamente più deboli, come le tradizionali spade di Sword Art che, capaci di infliggere pesanti danni solo a distanza ravvicinata, espongono troppo facilmente al fuoco nemico. Fucili d'assalto e gatling hanno la meglio.
Una nota di merito va alla completezza di tutto il gunplay. Permette di equipaggiare due armi, usare quattro abilità in modo rapido, gestire l'IA impartendo comandi e di ottenere una classe in base all'equipaggiamento che preferiamo, tra le sei disponibili in gioco. Il PvP e la Kirito Mode danno sicuramente modo di mettersi alla prova in maniera più efficace rispetto alla controparte singleplayer.
Sword Art Online Fatal Bullet non è sicuramente il JRPG che alzerà l'asticella nel suo genere, pur provando a dire la sua mettendo tanta carne al fuoco, ma riesce a salvarsi grazie ad un grinding sufficientemente efficace, e una fedeltà alla serie che non lascerà deluso chi la segue da tanto tempo, e che sarà sicuramente felice di ritrovare Kirito e compagni, vecchi e nuovi, così come non farà caso più di tanto al feeling nipponico quasi ortodosso. Per pochi.