Tacoma - recensione
Una stazione spaziale densa di emozioni.
Più diretto e meno personale, Tacoma segue inevitabilmente il fil rouge che Gone Home, pubblicato nel 2013, aveva tessuto con merito, proponendo questa volta una storia corale. Una stazione spaziale orbita lontana dalla Terra e racchiude le vicende di sei membri dell'equipaggio e di una intelligenza artificiale, che abbiamo il compito di recuperare. A noi il compito di capire cosa ne è stato dell'equipaggio.
Un motivo come un altro per scoprire le storie personali delle persone che hanno vissuto lì per mesi, delle loro aspettative, dei loro amori e dei loro obiettivi di vita. Il confronto diretto con Gone Home è inevitabile e purtroppo Tacoma non riesce a soddisfare completamente le aspettative che aveva creato dopo il risultato del precedente lavoro di Steve Gaynor e Fullbright.
Il perché è presto detto: l'empatia che si crea con i personaggi è minima. Forse è colpa della difficoltà di creare sei storie intriganti o forse della necessità di compattare il tutto in un prodotto fruibile in meno di quattro ore di gioco (anche meno se si è sbrigativi), tempo che lascia poco spazio all'approfondimento di sei persone distinte e di cosa sia successo nell'arco di tre giorni. Il risultato è comunque di buona qualità: la storia si lascia seguire fino alla fine ed è capace di soddisfare le aspettative di chi, nei walking simulator, cerca un risvolto emotivo.
Purtroppo, però, è proprio su questo lato che Tacoma deficita un po': non deraglia del tutto rispetto alle intenzioni e, durante qualche momento malinconico, ci lascia a fare i conti con un groppo alla gola, ma ha difficoltà ad accattivare in toto come Gone Home. Questa volta non c'è una sorella e una figlia che ritorna a casa e scopre che il suo mondo è completamente cambiato mentre era assente; questa volta c'è un ingegnere anonimo, che non ha alcun legame con gli individui che va cercando e conoscendo minuto dopo minuto.
Con un impatto tangibile sull'esperienza di gioco, improvvisamente asettica, esattamente come quella di un ingegnere che è semplicemente lì per svolgere il suo lavoro. Una ragnatela di relazioni, di scoperte e di cose non dette che fagocita un po' le emozioni indirette per lasciare che la storia scorra fluida e omogenea.
Il sistema di realtà aumentata per ricreare la storia dell'equipaggio è congeniale alla volontà dello sviluppatore di dare qualcosa di più concreto con cui interagire rispetto a post-it e volantini e il risultato c'è: osservare ciascuna scena da più punti di vista, tornare indietro, rivedere i gesti meno evidenti e le sensazioni di ognuno dei membri dell'equipaggio, è una caratteristica portante della narrazione di Tacoma.
Fullbright è riuscita a implementare questo sistema molto bene, permettendo di conoscere da vicino (anche in senso letterale) le figure virtuali dei membri dell'equipaggio. Si creano rapporti, si intrecciano obiettivi e incoraggiamenti, ma è ciò che non viene detto il grande assente della storia. Lo sviluppatore ha lavorato, e si vede, affinché Tacoma non sia semplicemente "un altro Gone Home", cercando di distinguere i due giochi per caratteristiche ludiche e struttura.
Nel raggiungere questo obiettivo, però, è stato sacrificato un altro elemento portante: l'interazione con l'ambiente, per quanto presente, è quasi totalmente irrilevante ai fini narrativi. Sono le cose che non vengono dette esplicitamente, che restano nascoste e celate all'animo altrui che permettono a Gone Home di penetrare l'armatura emotiva del giocatore, ma Tacoma non ci riesce. Nessun quaderno da sfogliare o fotografia nascosta; tutto è diretto, nulla è celato alla vista e all'udito. E così, tutto diventa immediatamente plateale e, quindi, poco personale, con il risultato che dei sei membri nessuno resta impresso nella mente.
Fortunatamente, niente resta irrisolto: ciò che viene suggerito all'inizio e ampliato nel mezzo trova una sua conclusione negli ultimi momenti di gioco (in alcuni casi anche prima), chiudendo storie secondarie che espandono lo spettro emotivo e personale dei vari personaggi. Il risultato non è omogeneo e in alcuni casi i risultati sono stati migliori di altri, in cui il background personale è un semplice bagaglio extra poco avvenente.
La stazione spaziale Tacoma non è nulla che l'immaginario collettivo già non potesse auspicare dopo anni di romanzi e film spinti verso lo scenario fantascientifico: desktop digitali, intelligenze artificiali con cui discutere di amore e decisioni importanti e gravità zero. In tal senso Fullbright non ha fatto che mettere assieme i pezzi di un'immagine del 2088, anno in cui si svolge la storia, con cui la maggior parte degli utenti si troverà subito familiare. Complice un comparto grafico molto semplice ma comunque funzionale, Tacoma non è un prodotto che si contraddistingue per l'originalità delle visuali e delle immagini.
Il gioco intrattiene e regala anche momenti di forte emotività ma senza lasciare un reale impatto. La storia scorre bene fino all'ultimo secondo: una narrazione fantascientifica godibile ma non imperdibile, che sa comunque distinguersi.