The Adam Project Recensione: La fantascienza dei sentimenti
Tornare nel passato per aggiustare il futuro.
2050, Adam (Ryan Reynolds) su una futuristica astronave/jet si lancia in un wormhole e sfugge a un inseguitore che lo sta mitragliando.
2022, Adam, un ragazzino dodicenne orfano di padre e con mamma inevitabilmente molto impegnata, viene pestato per l'ennesima volta dai bulletti della sua classe, perché non riesce proprio a tenere la bocca chiusa.
Le loro strade si incrociano (chiamiamoli per comodità Adam A e Adam B), perché è proprio nel bosco vicino alla casa di Adam B che il misterioso fuggitivo è atterrato, fortunosamente ma non per caso. Adam A rivela subito, oltre che di essere un inguaribile chiacchierone pure lui, di sapere troppe cose sul ragazzino e di muoversi nella casa come fosse sua.
Poiché stiamo parlando di viaggi nel tempo, appare chiaro subito (non è questo il fulcro del film) che si tratta di due versioni della stessa persona. Dato che non siamo proprio in un film solo di fantascienza, è meglio non fissarsi su dettagli scientifico/tecnici specifici, come i paradossi temporali o altre regole del genere, che in Adam Project vengono velocemente spiegate e messe da parte.
Importa sapere che Adam A ha bisogno di Adam B per tornare ancora indietro nel tempo, al 2018, e intercettare il padre prima della sua morte per indurlo ad accantonare un progetto che Adam A ha visto avere conseguenze catastrofiche nel futuro da cui arriva (ma non spaventatevi, non siamo in Terminator).
L'avversario più feroce del gruppetto è la perfida socia del padre (Christine Keener) che, dopo la sua scomparsa, ha sfruttato in modo poco nobile il progetto, ha accumulato soldoni e potere e non pensa minimamente di farseli sottrarre. Anche se la manovra avesse successo, Adam A rischierebbe di perdere nei meandri del tempo la sua amata; ma è dai tempi di Il Paradiso può Attendere che sappiamo che un modo per farsi riconoscere esiste sempre.
Ryan Reynolds ha ormai trovato la sua chiave esistenziale, almeno sullo schermo, nei ruoli di eroe suo malgrado, logorroico e confusionario, coraggioso anche se sempre un po' improvvisato. Zoe Saldana compare brevemente nel ruolo della sua compagna, anche lei una combattente per la Libertà.
Jennifer Garner è la mamma sola, figura letta da ragazzino e adulto in modo opposto. Mark Ruffalo è il padre scienziato, troppo preso dalle sue speculazioni intellettuali per accorgersi del bene e del male che gli passano accanto e in un paio di battute fa così sul serio da farci ricordare che bravo attore sia, anche in un film così lieve.
Bravissimo il ragazzino, l'esordiente Walter Scobell, minuto e incredulo di essere diventato un adulto prestante come Reynolds, che tiene ben testa al suo alter ego adulto, due lingue lunghe che si farebbero ammazzare pur di finire una battuta.
Dirige Shawn Levy, autore di commedie facili come tutti i tre film della serie Notte al museo, che si è però riscattato con due film di gran lunga migliori come la bella commedia This Is Where I Leave You e il recente Free Guy. La sceneggiatura del film è tratta da Our Name Is Adam di T. S. Nowlin, uno scritto definito "Spec Script", definizione che indica storie scritte senza avere un committente preciso e messe sul mercato in cerca di un produttore. Avrebbe dovuto già essere realizzata nel 2012 con Tom Cruise come protagonista.
The Adam Project, che esce direttamente su Netflix e non in sala, è un film di fantascienza per modo di dire, dove le scene di azione e i "trucchi" visivi sono piacevolmente retrò, come fossimo in un film degli anni '80 (come non pensare a E.T. e si cita Star Wars in un paio di inseguimenti, oltre che con una specie di spada laser: infine si fanno battute su Ritorno al futuro, perché il gioco è scoperto).
In realtà il fulcro della storia sono i sentimenti e se si vuole salvare il mondo da un generico futuro distorto, prima di tutto si cerca di salvare se stessi e i propri affetti, di mettere a posto le cose nei limiti del possibile. Ricordando in questo altri film come Frequency, Déjà vu, The Butterfly Effect, Timeline. Perché se certi torti si possono raddrizzare, certe responsabilità possono essere chiarite, fraintendimenti spiegati, dissidi appianati, per le cose più definitive non c'è rimedio ma si può imparare a conviverci, a limitare i danni collaterali.
"È più facile essere arrabbiati che tristi", dirà Adam A ad Adam B, anche se in entrambi un passato diversamente lungo ha lasciato differenti ferite, alcune cicatrizzate, altre che non si sono mai chiuse.
In fondo chi salva un uomo salva l'umanità, in un circolo virtuoso si spera. Forse vale anche per se stessi. Senza prendersi troppo sul serio, è quello che The Adam Project ci vuole dire. Simpaticamente e con un pizzico di tenerezza, molto eighties.